Nel 2023 è meglio investire in azioni o in obbligazioni? Rispondere a questa domanda non è mai semplice figuriamoci in un contesto come quello attuale caratterizzato dall’incubo che il rialzo duro dei tassi FED possa proseguire anche nei prossimi mesi. Nell’ultima riunione del Fomc del 2022, il costo del denaro Usa è stata alzato solo di 50 punti base dopo che nei board precedenti si erano succeduti aumenti di 75 punti base.
Alcuni analisti, tenendo anche conto dell’andamento meno estremo evidenziato dall’inflazione Usa nell’ultima parte dello scorso anno, hanno ipotizzato che la Federal Reserve possa adottare un approccio meno aggressivo nel corso del nuovo anno. Illusioni a parte la verità è che la situazione continua ad essere molto fluida e di conseguenza non è possibile sapere come la Federal Reserve si muoverà nel nuovo anno. Sicuramente se il Fomc dovesse restare sulla linea dell’estrema fermezza, le azioni non ne trarrebbero grande beneficio, anzi.
C’è però anche dell’altro: il 2023 viene ritenuto un anno caldo sul fronte economico a causa dell’alto rischio recessione. Tutto dipenderà dall’entità della contrazione economica ma ad ogni modo è scontato che una recessione sia destinata per forza ad avere impatto sugli utili societari. Un’ipotesi che, ancora una volta, svantaggerebbe gli investimenti in azioni. Ma tutto questo è sufficiente per dire che sia meglio investire in obbligazioni nel 2023 e lasciar perdere l’azionariato? In realtà la situazione è ben più complessa di quello che può sembrare. Per cercare di vederci più chiaramente abbiamo pensato ad un articolo ad hoc. Prima di scendere nel dettaglio, approfittiamo per ricordare ai lettori che scegliendo il broker eToro è possibile comprare azioni senza commissioni. Non solo ma sempre eToro consente anche di iniziare ad operare con un deposito minimo di partenza di soli 50 dollari.
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Meglio azioni o obbligazioni nel 2023? Tutto dipende dalla FED
La pubblicazione dell’ultima minute FED del 2022 offre interessanti spunti di analisi. Dalle carte risulta evidentissimo che i membri del FOMC siano concordi nel ritenere che ogni discorso sulla riduzione dei tassi nel 2023 sia del tutto prematuro. A voler essere più precisi, il braccio operativo della banca centrale americana ha detto chiaramente che i mercati sbagliano a manifestare troppo ottimismo sulla imminente conclusione della manovra di aumento del costo del denaro.
Le puntualizzazione della minute non lasciano spazio a dubbi su quelle che potrebbero essere le intenzioni della banca centrale americana all’inizio del nuovo anno: la politica monetaria continuerà ad essere restrittiva fino a quando l’inflazione non sarà riportata sotto controllo ovvero in area 2 per cento.
Come se non bastasse, il FOMC ha fatto passare anche un secondo messaggio: non è nelle intenzioni della banca centrale andare incontro alle esigenze dei mercati finanziari (i quali premono per un contenimento dell’aggressività). Mai come accaduto nel recente passato, è quindi un problema di economia reale (appunto l’alta inflazione) ad avere la precedenza. Le esigenze dei mercati vengono dopo.
La morale di tutto questo ragionamento è che è la Federal Reserve, sia pure per via indiretta, ad avere in mano il pallino nella sfida azioni VS obbligazioni nel 2023.
E allora cosa farà la Federal Reserve nella prima riunione di politica monetaria del nuovo anno? Sia il dato in forte crescita degli occupati del settore privato Usa che la possibile contrazione dei licenziamenti e la contestuale flessione delle richieste di sussidi di disoccupazione, lasciano intendere che le probabilità che il meeting FED che si terrà nei prossimi 25 e 26 possa decidere un rialzo solo contenuto dei tassi, sono molto basse. Tanti analisti auspicano che il FOMC nel board di gennaio aumenti il costo del denaro di soli 25 punti base, ma questa sembra un’ipotesi troppo ottimistica.
E infatti se l’occupazione resta alta, i consumi calano poco, l’inflazione inizia a calare piano piano e il PIL sale, per quale motivo la FED dovrebbe cambiare rotta mettendo fine al benevolo squilibrio in atto? Insomma anche da un punto di vista pratico, la FED non avrebbe alcun interesse a cambiare ritmo poichè è oramai assodato che solo con maggiore rigore può essere ridotta l’inflazione.
Alla luce di queste premesse, l’esito più scontato potrebbe essere quello di una sorta di atterraggio morbido con una crescita che volutamente viene tenuta bassa per almeno un anno in modo tale fa rendere quanto più indolore possibile la fase di transizione. E se ai mercati questo approccio non piace poichè magari vorrebbero tornare ad essere la prima preoccupazione per la FED…questo sarà un loro problema.
Investire in azioni o obbligazioni nel 2023? Ecco come posizionarsi
Considerando tutto quello che abbiamo fin qui detto, come è meglio posizionarsi sulle azioni e le obbligazioni? Come investire nel 2023 su queste due asset class? Se tutto è davvero nelle mani della FED, allora è necessario che l’approccio stesso dell’asset allocation cambi.
Per quanto concerne le azioni, i loro prezzi, come del resto già avvenuto nel corso del 2022, continueranno ad essere molto volatili. Strutturalmente, infatti, le quotazioni dei titoli presentano una dinamica troppo connessa all’inflazione e all’andamento del PIL. Poichè questi due indicatori saranno centrali nel nuovo anno, non è più pensabile investire in azioni in modo indiscriminato per la serie si comprano quei titoli che hanno i prezzi più bassi a prescindere da ogni altra considerazione. Probabilmente sarà meglio avere una gestione attiva dei portafogli avendo cura di scegliere con molta attenzione le azioni su cui posizionarsi. Un approccio prudente che dovrebbe essere tenuto fino a quando il rischio di recessione non passerà.
Dalle azioni alle obbligazioni, l’approccio non muta più di tanto. Chi investe in bond dovrebbe puntare sulla parte anteriore della curva dei rendimenti questo perchè una buona parte della politica restruittiva delle banche centrali è già inglobata nei rendimenti attuali dei titoli di stato. Decisamente più cauto, invece, il posizionamento sulle obbligazioni a lunga scadenza che, per loro natura, sono molto più connesse all’andamento dei tassi di interesse.
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