Una nota a cura di Peter Wen, US Small and Mid Cap Healthcare Analyst di Schroders ci permette di fare il punto sull’evoluzione del settore biotech negli ultimi anni e tracciare alcune utili prospettiv di breve e medio termine.

L’esperto ci rammenta innanzitutto come negli ultimi 10 anni le aziende biotech e i loro investitori abbiano ottenuto grandi soddisfazioni dai relativi investimenti, in virtù del fatto che un numero sempre maggiore di nuovi produttori di farmaci si è quotato in borsa a valutazioni molto più elevate rispetto a quelle tipiche degli anni precedenti.

Per esempio, nel 2021, nonostante quanto accaduto a causa del Covid-19, oltre 100 aziende biotech si sono quotate in borsa, raccogliendo quasi 15 miliardi di dollari di finanziamenti. A dimostrazione di tale impulso, sia sufficiente rammentare che se all’inizio del 2021 il sotto-settore Biotech rappresentava l’11,4% dell’indice Russell 2000 Small Cap e se il peso dell’Healthcare era pari al 20,5% del benchmark, ora il settore Healthcare rappresenta il 14% dell’indice e il Biotech è sceso a una ponderazione del 6%. 

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Ma che cosa è accaduto? Secondo Schorders, una risposta potrebbe essere riconducibile alla crescente diffusione dei fondi crossover, che costituiscono un collegamento tra i mercati privati e i mercati pubblici quando investono nell’ultimo ciclo di società private prima di fare un’inversione di rotta e vendere le azioni ai mercati pubblici attraverso un’IPO.

Questi investitori hanno prosperato durante il boom delle IPO nei primi anni dopo il 2010, in particolare a partire dal 2013, consentendo alle startup biotech di accedere a grandi quantità di capitale – si legge nella nota dell’esperto – Grazie a questo processo, agli investitori crossover viene “garantito” un ritorno sul round di raccolta di finanziamenti precedente all’IPO. Tuttavia, le aziende biotech favorite dai fondi crossover sono ancora considerate sperimentali e lontane dalla fase commerciale. Il movimento dei fondi crossover ha provocato un’artificiosità nel mercato, in quanto molti investitori si sono ritrovati a detenere società biotecnologiche pubbliche che si sono quotate troppo presto nel loro ciclo di vita. Tali aziende sono state vittime di un ciclo vizioso e infinito, che le obbligava a raccogliere capitali in un mercato illiquido ogni pochi trimestri solo per rimanere a galla”.

In particolare, prosegue poi l’analista, la sfida della traiettoria di sviluppo di un’azienda biotech è che a volte riceve capitali in eccesso, e che alla fine ha bisogno di raccoglierne altri – e regolarmente – per tenere il passo con il suo burn rate, ovvero con la velocità con cui sta spendendo il suo capitale.

In totale – conclude l’analista – le società pubbliche in fase di sviluppo devono raccogliere circa 15 miliardi di dollari entro la fine del 2022 per finanziare un anno di attività. Se non dovessero riuscirci, non potranno far altro che ridurre il loro burn rate, costringendole dunque a comprimere gli sforzi di R&S e a compromettere le probabilità di successo nella scoperta di farmaci…  

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