L’Italia sta cercando di fronteggiare la dura crisi economica scaturita con l’avvento della pandemia con l’unica arma a sua disposizione nel brevissimo termine: facendo debito. Nella fattispecie, molto debito.

A questo punto, è evidente che – ventate di ottimismo a parte – il nostro Paese non possa che proseguire lungo questa delicata strada con l’accompagnamento coerente di qualcuno che possa sostenere il debito tricolore… acquistandolo. E, evidentemente, il riferimento non può che essere all’azione della Banca Centrale Europea, non particolarmente chiara nel post-Draghi, e ora caratterizzata da molteplici perplessità sulla sostenibilità dell’azione futura.

Dubbi che, peraltro, il quotidiano Milano Finanza riassumeva molto bene citando le valutazioni già compiute da Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management. Ma quali sono le considerazioni sul prossimo futuro a breve termine del debito italiano?

Il deficit fa paura (e non solo agli investitori)

Ricordiamo come nel Def di aprile sia stato previsto un deficit fiscale del -10% circa per il 2020, che equivarrebbe a un ricorso al debito per un importo per 160 miliardi di euro. Per i due gestori, però, bisogna anche considerare la quota aggiuntiva di deficit derivante dall’eventuale default degli emittenti garantiti dallo Stato, e che potrebbero dunque gravare in misura ancora più rilevante sui numeri italiani.

Sull’altro lato, gli interventi comunitari che fino ad oggi sono stati concordati (dal Mes alla Bei) sono valorizzabili per l’Italia in circa 85 miliardi di euro per l’Italia. Come a dire che, in fondo, le manovre fiscali finora decise, e in “accredito” entro l’estate, serviranno a coprire solamente la metà del nuovo debito. E il resto?

Anche aprendo le porte al tanto auspicato (da parte di governo) Recovery Fund, tale strumento non entrerà in auge fino al 2021 e, dunque, richiederà almeno la presenza di un finanziamento ponte che possa traghettare il Paese da oggi ad allora.

I conti 2020 non quadrano: chi ci penserà?

Dal quadro di cui sopra emerge, dunque, che l’Italia dovrà indebitarsi molto e che le misure finora concordate non sono sufficienti.

Anche ammesso che il Recovery Fund possa trovare applicazione nel 2021, ne deriva che il Paese dovrà in qualche modo garantirsi la sostenibilità del proprio debito pubblico, che salirà dal 135% del Pil ad almeno il 155%.

È evidente che sugli 80 miliardi di euro “mancanti” l’Italia guardi con molta attenzione alla Bce, che dovrebbe aumentare gli acquisti previsti dal programma PEPP sulla pandemia. Insomma, l’Italia finanzierà il proprio debito in maniera non certo nuova, emettendo titoli di Stato che la Bce “coprirà”, fino ad almeno dicembre 2020, quando è in scadenza il programma. E dopo?

A questo punto – sottolineano i gestori – emerge una domanda: che cosa accadrà se e quando la Bce reimmetterà nel mercato i titoli in portafoglio?

Difficile stimarlo. È possibile che le quote di debito che verranno reimmesse sul mercato possano essere inglobate da un veicolo ad hoc che si finanzi emettendo obbligazioni sul mercato (con garanzie). Ovvero, per i due gestori di Pictet, “Eurobond sintetici”. Sarà così?

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