In materia di ESG Investimenti nel vecchio Continente, le ESG labels, le etichette di finanza sostenibile, stanno riscuotendo un crescente successo. Ne è facile dimostrazione il fatto che nel corso dell’ultimo anno il numero di fondi “con etichetta” sia sostanzialmente raddoppiato, passando dai 414 di fine 2018 agli attuali 806, con masse gestite per 302 miliardi di euro, su un totale di circa 500 miliardi di euro di asset gestiti da fondi che si dichiarano sostenibili, stando agli ultimi dati forniti da Novethic.
Evidentemente, si tratta di numeri che, pur in crescita, sono poca cosa rispetto al patrimonio dei fondi socialmente responsabili in Europa, che conta circa 14 mila miliardi di euro di gestiti. Tuttavia, l’impressione è che la strada di sviluppo sia già tracciata e che, dunque, valga la pena cercare di capire come funzionano le etichette di finanza sostenibile e come possono realmente aiutare lil settore.
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Come funzionano le ESG labels
Nelle more di una normativa europea comune che possa istituire un’etichetta omogenea per tutti i Paesi, e che si stima possa diventare realtà entro la fine del 2020, ad oggi esistono 8 diverse etichette nate negli ultimi dieci anni, progettate per rassicurare sull’asset allocation dei portafogli e fruite come punti di riferimento dai professionisti degli investimenti responsabili.
Due sono i criteri seguiti nell’assegnazione dell’etichetta. Il primo fa riferimento all’inclusione che favorisce i best in class della categoria, intese come quelle società più virtuose, da porre in portafoglio sotto forma di azioni oppure obbligazioni. Il secondo è invece quello dell’esclusione, eliminando cioè i settori o i titoli meno responsabili dal portafoglio.
Stabiliti i criteri, sono due le principali tipologie di etichette della finanza sostenibile, la cui applicazione divide i prodotti in due classi:
i fondi che hanno l’etichetta perché inquadrabili come ESG Investimenti (applicazione di criteri ambientali, sociali e di governance) nella gestione dei portafogli
i fondi che sono green e che nella maggioranza dei casi sono fondi tematici ambientali oppure climatici.
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Chi attribuisce le etichette
Ma chi attribuisce le etichette?
In realtà, non esiste un unico “fornitore”, considerato che le origini delle etichette possono essere ricondotte a associazioni specializzate su investimenti responsabili, organizzazioni specializzate nell’etichettatura ambientale, e così via.
In Francia, poi, il governo – unico caso in Europa – ha scelto di creare due etichette pubbliche: quella SRI, che è dedicata agli investimenti socialmente responsabili, e quella Greenfin, che è invece destinata ai fondi ambientali più impegnati per la transizione ecologica ed energetica.
Diverso il caso del Belgio, che possiede l’etichetta Towards Sustainability, mentre il Lussemburgo ha l’etichetta LuxFLAG. Nei Paesi scandinavi c’è poi il marchio Nordic Swan Ecolabel.
Conviene investire nei fondi etichettati ESG?
Ma conviene o no investire nei fondi con etichetta ESG?
Di sicuro, il possesso di una certificazione da parte di un fondo può offrire rassicurazioni sulla qualità dei processi, considerato l’audit compiuto da terzi. Per quanto, evidentemente, non possa costituire elemento sufficiente di convenienza per un simile impiego.
Risulta tuttavia utile comprendere che il settore è in fase di forte sviluppo, e che entro il 2020 le novità non dovrebbero mancare. Entro fine anno, infatti, l’Unione Europea dovrebbe approvare il bollino verde, l’Ecolabel, per i fondi e per gli ETF… anche se non sono ancora chiari quali saranno i criteri e i parametri da rispettare.
Inoltre, per quanto riguarda i portafogli obbligazionari, sta diventando una certezza il fatto che il 70% dell’asset allocation dovrà essere composto da green bond UE, obbligazioni green che utilizzano gli standard europei, e che lo stesso destino – ma probabilmente con quote diverse – riguarderà le azioni.
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