Quando si parla di regime fiscale sui propri investimenti… il rischio è che si faccia una grande confusione. Ma perché?

È abbastanza semplice. Il risparmio gestito viene infatti spesso confuso con il risparmio amministrato, un regime in cui l’investitore affida i propri risparmi in un deposito a un intermediario, di norma mediante un contratto di amministrazione e custodia, ma senza delegarne la gestione. In altri termini, ad essere delegata è solamente la parte fiscale, ovvero il calcolo della base imponibile su cui poi bisognerà calcolare le plusvalenze o le minusvalenze.

Con il risparmio gestito, invece, si ha un diverso regime fiscale. In questo caso, infatti, l’investitore delega all’intermediario non solamente la gestione dell’investimento quanto anche gli adempimenti fiscali. Il vantaggio di tale regime è dunque quello che si possono compensare le plusvalenze e le minusvalenze, l’ultimo giorno di ogni anno. Sulla differenza, ovvero sul carico fiscale “netto”, verrà applicata un’aliquota dell’imposta sostitutiva del 26%.

Insomma, scegliendo il risparmio gestito si conferisce all’intermediario un mandato per la gestione di un portafoglio di strumenti finanziari, e sarà compito dell’intermediario che si occupa della gestione acquistare e vendere le diverse attività finanziarie, come fondi comuni di investimento, hedge fund, SICAV, gestioni patrimoniali, fondi pensione, polizze vita tipo Unit Linked e ETF.

Ognuna di queste attività finanziarie, anche presa singolarmente, può peraltro essere utilizzata per poter costruire un portafoglio di investimento diversificato, visto e considerato che al suo “interno” opera già una diversificazione più o meno amplificata. Si pensi, in termini sintetici, alla diversificazione che è possibile ottenere acquistando delle quote di un fondo azionario, piuttosto che acquistare un unico titolo azionario, su cui concentrare tutta la propria esposizione di portafoglio.

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