La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina può ancora essere evitata, ma la maggiore incertezza determinata dalle relazioni tra le due parti sta generando impatti ben tangibili su economia e finanza. A sostenerlo è una nuova view di UBS dal titolo “Inquinamento acustico”, a firma di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, che fa il punto sullo scenario globale.
In primo luogo, un primo peggioramento sembra esser stato evitato quando, a poche ore dall’entrata in vigore dei dazi, gli Stati Uniti e il Messico hanno trovato un’intesa sulle politiche migratorie evitando l’introduzione di nuovi dazi nei confronti del Messico, cosa che avrebbe evidentemente danneggiato anche gli USA, considerata la forte integrazione di molte catene produttive tra i due Paesi. Che poi si tratta di un vero e proprio abbandono di qualsiasi politica protezionistica nei confronti dei messicani, o di un semplice rinvio, sarà solo il futuro a segnalarlo.
Quel che è condivisibile, afferma Ramenghi, è che qualcosa di simile possa accadere anche sul tavolo negoziale più importante e più complesso, quello con la Cina. Se non ci saranno sorprese negative, Trump e Xi Jinping si incontreranno al G20 di fine mese sancendo formalmente la riapertura dei negoziati.
In fin dei conti, però, per i mercati sarebbe importante avere uno spiraglio di nuova stabilità nelle relazioni tra le due superpotenze mondiali. In sintesi: i dazi continueranno a rimanere, ma l’apertura di un nuovo canale di comunicazione più ufficiale, rispetto all’intenso lavoro diplomatico in corso, potrebbe dare una mano ad alleviare le preoccupazioni.
Ad ogni modo, mai dire mai. Ramenghi sottolinea come l’avvenuta trattativa con il Messico abbia dimostrato che gli Stati Uniti potrebbero essere ben disposti ad accettare politiche potenzialmente negative per l’economia pur di ottenere contropartite su altri fronti, come ad esempio il controllo dell’immigrazione, una delle tematiche più “sentite” da Trump. Nulla ci impedisce di valutare che tali strategie possano essere applicate anche in altri campi, in un’ottica – ad esempio – di compensazione dei dazi al settore automobilistico con la partecipazione alle spese militari della NATO.
Sinteticamente, per i mercati azionari questa situazione di costante incertezza ha come effetto quello di comprimere le valutazioni, che non saranno “piene” anche in una realtà di supporto, con policy accomodante, da parte delle banche centrali.
Come se quanto sopra non fosse sufficiente a rendere sempre più complicato lo scenario, sottolineiamo inoltre come le fonti di rischio politico siano anche altre, oltre al protezionismo (sia sufficiente ricordare la precaria condizione dell’Italia). “Alla luce dei crescenti rischi politici, abbiamo una posizione neutrale sul mercato azionario e manteniamo diverse posizioni anticicliche come le put, lo yen (una valuta che tende a beneficare delle fasi di volatilità) e le posizioni corte sul dollaro australiano e il dollaro canadese (che subirebbero un impatto negativo in uno scenario di escalation della disputa commerciale)” – chiosa Ramenghi.
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