A che punto è il ciclo economico? È questa la domanda a cui cerca di dare risposta Paul Donovan, chief economist di UBS Global Wealth management, in una recente nota condivisa con gli stakeholders.

Nella sua osservazione, Donovan sottolinea come la crescita del Giappone sia la più lunga nella storia del Paese dopo la seconda guerra mondiale, e che a partire dal mese di giugno anche la crescita degli Stati Uniti diventerà la più lunga del dopoguerra. Intanto, la disoccupazione globale si sta consolidando ai livelli più bassi degli ultimi 40 anni. Ma che cosa significano tutti questi elementi degni di nota?

La risposta, per l’analista UBS, è abbastanza semplice: il mix di determinanti di cui sopra abbiamo compiuto parziale cenno sta a significare che il ciclo economico è ormai piuttosto avanzato.

Per Donovan è importante rammentare come “la crescita economica non muore di vecchiaia, bensì termina quando l’economia si surriscalda o viene commesso un errore a livello di politiche”.

Sebbene in questo momento storico non ci siano evidenti pericoli di surriscaldamento, è pur sempre opportuno notare come la crescita economica stia durando da molto tempo e che a livello globale si stia collocando intorno al tendenziale da otto anni, in uno scenario in cui le policy monetarie delle banche centrali si stanno rivelando almeno appropriate.

Dunque, è superflua questa preoccupazione da parte degli investitori?

Forse no, a patto di comprenderne le reali motivazioni. Gli investitori sembrano infatti essere preoccupati soprattutto perché in passato l’espansione economica non è mai durata così a lungo, né è mai stata così stabile. Dunque, ci troviamo effettivamente in una situazione senza precedenti storici, ma con una memoria non particolarmente propensa al rischio: gli investitori che oggi si stanno domandando se siamo alla fine del ciclo sono prevalentemente coloro che sono stati duramente colpiti dalla crisi del 2008-2010, temendo così che succeda di nuovo.

In tutto ciò, un cenno di attenzione dovrà essere prestato nei confronti dei dazi doganali, che per certi versi potrebbero costituire uno sbaglio di policy governativa, considerato che le tariffe danneggiano l’economia, ma a danneggiare ancora di più è, evidentemente, l’incertezza in campo commerciale. “Non crediamo che i dazi attualmente in vigore possano provocare una recessione. L’incertezza potrebbe spingere la crescita mondiale al di sotto del tendenziale per la prima volta dal 2011” – conclude Donovan.

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