Le recenti minacce dei dazi statunitensi contro la Cina hanno avuto come effetto immediato quello di affossare le speranze di una pronta intesa commerciale, il cui accordo formale avrebbe dovuto essere annunciato venerdì scorso.
E invece, proprio venerdì scorso il presidente dell’amministrazione statunitense Donald Trump ha annunciato la propria intenzione di incrementare i dazi su 200 miliardi di dollari di import cinese, dal 10% al 25%, e una nuova imposta del 25% su oltre 325 miliardi di dollari di beni è attualmente al vaglio.
Come rammenta Chia-Liang Lian, Head of Emerging Markets Debt di Western Asset (affiliata Legg Mason), si è trattata di una sorpresa, considerato che nei mesi precedenti entrambe le parti avevano rilasciato dei commenti più concilianti.
Ma che cosa accadrà adesso?
In realtà, Legg Mason – così come, in verità, buona parte degli analisti – ritiene che l’accordo commerciale sia ancora possibile e sia anche in grado di rappresentare lo scenario “centrale”. Tuttavia, appare ben evidente come quanto accaduto ritarderà in maniera non marginale il raggiungimento di un’intesa che, a questo punto, sembra essere rimandata alla seconda metà del 2019.
Peraltro, in risposta al comportamento statunitense, la Cina ha già annunciato delle contromisure, che potrebbero a loro volta acuire ulteriormente i rapporti tra le parti, proprio mentre la diplomazia sta cercando di ricucire lo strappo.
Per Legg Mason, un periodo prolungato di crescenti tensioni potrebbe avere come effetto quello di sostenere le incertezze sulle prospettive di crescita globali. Certo è che le autorità cinesi dispongono degli strumenti di politica economica utili per poter affrontare le difficoltà cicliche, ma è altrettanto vero che ogni misura dovrà poi fare i conti con i fattori che limiteranno il ritmo di crescita economica cinese sul lungo periodo.
Ultimo elemento, non meno importante, è che i vicini Paesi asiatici ed emergenti potrebbero risentire degli effetti a catena, soprattutto in uno scenario di crescente protezionismo.
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