Il ciclo economico USA si sta avvicinando alla fine, con revisione della crescita degli utili aziendali: una condizione che potrebbe favorire l’emersione di un alto livello di leva finanziaria e di indebitamento delle aziende sul mercato americano, inducendo di conseguenza gli investitori a focalizzarsi maggiormente sulla qualità del loro portafoglio.

Così la pensano, almeno, Alexandre Marquis, Head of Client Portfolio Management, Equities e Anisse Marzouk, Client Portfolio Manager, Equities di Unigestion, che in una nota diramata poche ore fa hanno contribuito a condividere alcune interessanti valutazioni sull’attuale scenario per gli investitori.

La fine del ciclo

Nella nota, i due analisti ricordano come l’indice S&P 500 abbia registrato risultati molto buoni dalla crisi finanziaria globale ad oggi, tanto che negli ultimi 10 anni ha reso quasi il 14% all’anno. La media mobile su base annua della performance decennale dell’indice S&P 500 è ora tornata a livelli elevati.

Insomma, due dati che permettono di apprezzare quanto sia stato lungo e sostenuto il ciclo statunitense, con i margini delle imprese finora sostenuti dalla riduzione dei tassi di interesse e dalle significative misure di stimolo fiscale. Ne è conseguito un indebitamento particolarmente elevato, soprattutto tra le PMI.

Naturalmente, in un contesto di fine del ciclo tali elementi non possono che costituire dei campanelli di allarme sulla sostenibilità della crescita del mercato azionario statunitense. Margini in calo e alti livelli di leva finanziaria potrebbero dunque condurre a problemi di rimborso e, nella peggiore delle ipotesi, innescare insolvenze e fallimenti.

Proprio per questo motivo la nota suggerisce che gli investitori siano prudenti riguardo ai livelli esplosivi del debito delle aziende USA e puntare su società di qualità, che si contraddistinguono per la solidità dei loro bilanci.

Dove investire

Ma dove investire in questo frangente? Stando agli analisti, gli investitori hanno l’abitudine a concentrarsi spesso sulla valutazione, sugli utili e sul conto economico, invece di considerare le prospettive generali dell’azienda (ovvero, la sua capacità di generare reddito e flussi, di rimborsare il debito, e così via).

Naturalmente, buona attenzione potrà essere riposta sui segnali del taglio ai dividendi: un simile comportamento potrebbe condurre infatti a lanciare un chiaro allarme dinanzi agli investitori, ed è proprio per questo motivo che il taglio ai dividendi è una scelta sempre piuttosto sofferta da parte dei consigli di amministrazione, che preferiscono ricorrere ad altre strade per reperire la liquidità per far fronte al pagamento del debito.

Ad ogni modo, che la politica dei dividendi delle società americane possa subire cambiamenti anche radicali è un dato di fatto. Molte obbligazioni corporate giungeranno infatti a scadenza nei prossimi cinque anni e che un’enorme quantità di debito, in un periodo in cui i margini di profitto sono destinati a ridursi, comporterà un rischio significativo per loro. Tali rientri di debito avranno un impatto significativo, e la conseguente erosione dei margini di profitto spingerà molte imprese a rivedere la già citata policy sulla remunerazione degli azionisti.

Da quanto sopra, dovrebbero scaturirsi pericoli di downgrade, anche “sorprendenti”, tanto che non è da escludersi che aziende investment grade vadano direttamente in default. Le società con rating BBB, la cui esposizione passiva rischia di cadere verso l’high yield, potrebbero avere difficoltà nel far fronte ai loro debiti durante la prossima recessione.

Dunque, conclude la nota, “riteniamo che sia giunto il momento in cui gli investitori azionari si assicurino di essere esposti verso azioni di qualità, in grado di fornire protezione del capitale in mercati sfidanti”, laddove per azioni di qualità si intendano azioni di società con bilanci solidi e valutazioni interessanti, che potrebbero essere le ultime ad essere toccate da correzioni del mercato.

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