Nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge sulle Autonomie che era stato messo a punto dal ministro degli Affari Regionali, il leghista Roberto Calderoli. Ma quali sono le novità che verranno introdotte con l’entrata in vigore di quanto stabilito dal testo di legge?
La questione delle autonomie, che è sempre stata tema centrale dei programmi della Lega, sembra finalmente trovare un’attuazione pratica nella riforma scritta da Calderoli. Il partito di Matteo Salvini è anche riuscito ad ottenere il via libera del Cdm in tempi inaspettatamente brevi, riuscendo ad anticipare quest’approvazione preliminare a prima delle elezioni elettorali.
In cambio la Lega potrebbe decidere di andare incontro a Fratelli d’Italia quando si tratterà di affrontare la questione del presidenzialismo, tema quest’ultimo che è invece caro a Giorgia Meloni.
Certo non mancano le polemiche sul testo di legge per le autonomie, e qualcuno ha iniziato ad evidenziare il rischio di un aumento delle disparità tra le Regioni del Nord e le Regioni del Sud, nonché la possibile esclusione del Parlamento dal processo decisionale sui singoli accordi.
Cerchiamo quindi di capire cosa comporta esattamente l’approvazione del disegno di legge di Roberto Calderoli, e quali saranno gli effetti se la riforma delle autonomie dovesse passare così come si presenta oggi. In particolare ci soffermeremo sulle novità che riguardano gli aspetti fiscali.
Cosa prevede la riforma delle Autonomie della Lega
L’approvazione preliminare da parte del Consiglio dei Ministri è arrivata il 2 febbraio scorso, e ha così dato il primo via libera alla riforma messa a punto dal ministro leghista Roberto Calderoli.
Questo ddm è composto attualmente da 10 articoli, ma il testo che il Consiglio dei Ministri ha approvato è solo una legge di principio. Questo vuol dire che ad aver ricevuto il via libera in Cdm è solo una “architettura formale che traccia il procedimento e fissa dei vincoli di solidarietà, ma non è in grado di definire gli schemi di accordo successivi” come spiega La Repubblica.
La proposta della Lega prevede che siano le Regioni interessate ad ottenere una maggiore autonomia a rivolgersi allo Stato per raggiungere un accordo sulla base di leggi che devono essere concordate e che dovrebbero toccare i i vari aspetti su cui occorre focalizzare l’attenzione.
Si esclude quindi che il Parlamento possa giocare un ruolo attivo nella definizione dei suddetti accordi da stringere con la singola Regione.
Uno degli aspetti più delicati, nella prospettiva di definire un meccanismo sulla base del quale concedere maggiore autonomia alle Regioni è quello dei Lep, nodo affrontato dall’articolo 3 del testo di legge approvato dal Consiglio dei Ministri.
Quando parliamo di Lep ci riferiamo ai livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale, ma nel testo per la riforma delle Autonomie non vi è traccia di riferimenti alle modalità con cui questi verranno finanziati.
L’Ansa ha riportato in questi giorni che “l’attribuzione delle funzioni può avvenire solo dopo la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni: i Lep, definiti con Dpcm, entro un anno come previsto dall’ultima legge di bilancio. Le intese durano fino a 10 anni: possono essere rinnovate o terminate prima, con un preavviso (di Stato o Regione) portato da 6 a 12 mesi, per evitare disallineamenti con l’anno scolastico, in riferimento alle materie relative all’istruzione”.
Ma cosa cambierà, all’atto pratico, con la riforma delle Autonomie della Lega? Oggi in Italia ci sono cinque Regioni a statuto speciale, che sono: Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige. A queste si aggiungono le Regioni che hanno già firmato dei patti con il governo e sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Tra le restanti Regioni solo il Molise e l’Abruzzo non hanno avviato negoziati con il governo per il raggiungimento di una maggiore autonomia. Le altre invece aspettano solo che la riforma proposta dalla Lega venga approvata definitivamente.
Gli argomenti su cui si andrebbe a focalizzare l’attenzione nell’ambito della stipula degli accordi per le autonomie delle Regioni sono i più disparati. Particolare attenzione viene data soprattutto al settore della scuola, a quelli dei trasporti e alla sanità, ma ci sono richieste di accordi anche sul tema dell’energia e su quello di infrastrutture come i porti.
L’aspetto più importante comunque resta inevitabilmente quello fiscale, e ciò in primis per via del fatto che gli accordi necessiteranno di risorse con le quali essere finanziati. Nel testo della proposta della Lega si legge di “compartecipazioni al gettito di uno o più tributi maturati nel territorio regionale”.
Questo significherebbe che le Regioni avrebbero la possibilità di metter mano su parte delle tasse pagate sul loro territorio come fonte per finanziare gli accordi sottoscritti.
Proprio su questo aspetto si sta concentrando l’attenzione della Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, che ritengono vi sia il rischio di squilibri tra le varie Regioni.
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