Alla fine Mario Draghi ha scelto la strada delle dimissioni, troppo sgradita era evidentemente la proposta del centrodestra di formare un nuovo governo di cui non facesse parte il Movimento 5 Stelle, peraltro una soluzione che aveva una sua logica visto che l’appoggio all’attuale esecutivo è mancato proprio dai residui del partito di Beppe Grillo.
Sicché l’ex presidente della Bce si è ritrovato con una manciata di voti a sostegno della propria azione di governo, e dopo un breve passaggio alla Camera si è recato nuovamente dal presidente della Repubblica per rassegnare le sue dimissioni.
Cade il governo Draghi e si va alle elezioni anticipate
Alle 9 di stamattina a Montecitorio il premier uscente ha tenuto il discorso con cui ha annunciato le proprie dimissioni, dopodiché è salito al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani di Sergio Mattarella.
Nella giornata di ieri il passaggio al Senato ha sancito la fine dell’attuale esecutivo, infatti l’ex presidente della Bce ha ottenuto appena 95 voti favorevoli, 38 erano i voti contrari e tutti gli altri hanno deciso di disertare il voto. A non votare la fiducia all’esecutivo di Mario Draghi sono stati quindi Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia, tra le forze che fino a ieri lo sostenevano, senza contare i voti contrari del partito di Giorgia Meloni.
Sarebbe bastato quanto accaduto ieri al Senato per rassegnare subito le dimissioni, ma Mario Draghi ha voluto attendere la sessione della Camera che si è svolta oggi, ma che aveva un esito scontato. Ora non restano che le elezioni anticipate, con un centrodestra che parte decisamente avvantaggiato rispetto alle forze di centrosinistra, ma tutto il resto si deciderà nel corso della campagna elettorale.
Quali sono le cause che hanno innescato la crisi del governo Draghi
La crisi del governo di Mario Draghi è stata innescata dal mancato appoggio del Movimento 5 Stelle. L’ex premier Giuseppe Conte ha infatti deciso di non assecondare l’operato del governo in particolare sul decreto Aiuti, per il quale era stata posta la questione di fiducia come da consuetudine di questo esecutivo.
Questo ha di fatto posto fine al patto di fiducia stipulato tra i partiti che avevano deciso di appoggiare l’esecutivo dell’ex numero uno della Bce, ed ha pertanto indotto Mario Draghi a rassegnare le proprie dimissioni. I numeri c’erano ancora, anche perché del Movimento 5 Stelle che aveva vinto le elezioni politiche nel 2018 era rimasto ben poco in termini di numeri, nulla nella sostanza.
Il Capo dello Stato ha quindi respinto le dimissioni di Draghi chiedendogli di rimettere insieme i pezzi della maggioranza e di proseguire nella sua azione di governo. Il tentativo, seppur con scarso entusiasmo, l’ex uomo di Goldman Sachs lo ha anche fatto, ma l’esito è stato ben lontano da un successo.
Infatti mentre le forze di centrosinistra, insieme al gruppo di Luigi Di Maio erano pronti a dare la propria fiducia senza porre condizioni, Lega e Forza Italia chiedevano dei cambiamenti nella squadra di governo alla luce della defezione del Movimento 5 Stelle che, coerentemente, doveva essere estromesso.
Per il centrodestra che sosteneva Draghi la condizione era una sola: un governo senza i 5 Stelle o nulla, e Draghi sembra aver colto la palla al balzo. Le operazioni di voto in Parlamento lo hanno di fatto sollevato da un incarico che proprio con l’arrivo dell’autunno sarebbe stato particolarmente impegnativo.
Cosa succederà dopo le dimissioni di Mario Draghi?
Dopo che il presidente del Consiglio uscente avrà consegnato il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato questi consulterà i presidenti di Camera e Senato, dopodiché non potrà far altro che sciogliere le Camere e indire nuove elezioni in quanto non vi sono i presupposti per la formazione di alcuna maggioranza.
Le elezioni però non si terranno prima di 60 giorni dallo scioglimento delle Camere e non oltre il 70 giorni, il che significa che nel tempo che intercorre il Paese sarà ancora nelle mani di Mario Draghi ma con ‘poteri limitati’.
L’ex numero uno di Bankitalia infatti potrà emanare decreti legge, anche schemi di decreti legislativi, e assolvere agli obblighi comunitari, ma di fatto si tratterò solo del “disbrigo degli affari correnti” o di ordinaria amministrazione. Sarà quindi ancora Mario Draghi a rappresentare l’Italia nei prossimi summit internazionali, e sarà sempre lui ad incontrare i sindacati per discutere del salario minimo, del cuneo fiscale e delle altre questioni su cui vertono i negoziati.
Se dovessero esserci delle situazioni di emergenza economica, energetica o sanitaria – e di questi tempi si tratta di una possibilità quanto mai concreta e tangibile – il presidente della Repubblica conferirà al governo dimissionario l’autorizzazione ad emanare decreti che, in ogni caso come previsto per qualsiasi provvedimento d’urgenza, dovranno essere convertiti in legge entro i 60 giorni previsti dal nostro ordinamento giuridico.
Per qualsiasi disegno di legge o riforma il governo dimissionario non potrà però contare più sull’arma del voto di fiducia, da questo esecutivo usata con una frequenza ampiamente superiore di qualsiasi altro governo che lo abbia preceduto, di fatto bypassando il Parlamento che fino a qualche giorno fa si era limitato ad assecondare l’operato del governo.
Ora quindi per prima cosa il presidente Mattarella scioglierà le Camere, cosa che dovrebbe avvenire tra oggi e domani, senza perdere tempo con le consultazioni, e come spiega Today.it, “non si esclude che il Capo dello Stato possa, con un messaggio, spiegare direttamente agli italiani la sua scelta di mandare al voto, e magari dare il suo punto di vista sulla fine dell’esperienza, assicurando che non ci saranno vuoti di potere”.
L’ipotesi di Mario Monti: un governo transitorio con pieni poteri
Il senatore a vita, Mario Monti, ha commentato l’attuale situazione politica del Paese spiegando che esiste anche la possibilità che il governo di Mario Draghi, le cui funzioni perdureranno fino all’insediamento del nuovo esecutivo, sia un governo con pieni poteri. Monti infatti parlando con La Stampa ha spiegato:
“Ora Draghi va al Quirinale, ma il governo non è stato sfiduciato e, almeno sinora, le dimissioni non sono state accolte. Vale il precedente del gennaio 1994, quando il presidente della Repubblica Scalfaro ricevette le dimissioni di Ciampi e le respinse. A quel punto, convocò i presidenti di Camera e Senato e indisse le elezioni. Ma il governo restò in sella. Se questo dovesse avvenire, ma dipende naturalmente dal capo dello Stato, il governo Draghi sarebbe nella pienezza dei suoi poteri. Potrebbe andare oltre gli affari correnti in attesa del successore. Con la conseguenza di essere in grado di impostare la Legge di Bilancio e procedere nella gestione del Pnrr”.
Quando si vota? Ecco le date possibili
Se da una parte è ormai stabilito che si andrà ad elezioni anticipate, dall’altra non vi sono certezze ancora per quel che riguarda la data del voto. In teoria la data più gettonata è quella del 2 ottobre, ma non si può escludere del tutto nemmeno il 25 settembre. Tuttavia questa è anche la data della vigilia del Capodanno ebraico, e solo una volta fu scelta per le elezioni politiche in Italia, era il 1994 e all’epoca fu la prima vittoria di Silvio Berlusconi.
Se la data scelta per le elezioni anticipate dovesse essere alla fine questa, allora si voterebbe anche il 26, che cade di lunedì, ma si tratta della scelta meno plausibile proprio per via della coincidenza con una festività religiosa.
Resta quindi decisamente più probabile la data del 2 ottobre, oppure persino quella del 9 ottobre. Quest’ultima è stata ipotizzata negli ambienti del Pd e del M5s, nei quali si ritiene che il presidente della Repubblica possa optare per questa soluzione nel caso in cui lo scioglimento delle Camere dovesse richiedere più tempo del previsto.
Il primo passaggio nell’iter stabilito dalla Costituzione prevede che il presidente della Repubblica consulti i presidenti di Camera e Senato, dopodiché predisporrà il decreto per lo scioglimento delle Camere, cosa che in ogni caso non avverrà prima della prossima settimana. Ci sono infatti dei tempi da rispettare per quel che riguarda i vari step per il passaggio delle consegne attraverso l’esercizio del voto, e quindi per stabilire la data delle elezioni, che devono essere indette con decreto del governo entro 70 giorni dallo scioglimento del Parlamento.
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