Cambio di programma per quel che riguarda la nuova imposta che avrebbe dovuto colpire i giganti del web, infatti stando a quanto riportato in questi giorni da alcuni media nazionali e stranieri, la Web tax non ci sarà.
L’idea di introdurre una tassazione ad hoc che andasse ad incidere sul reddito dei colossi di Big data sembra sia stata clamorosamente messa da parte, infatti alcuni Paesi dell’Ue come Italia, Francia, Austria, Spagna, insieme al Regno Unito, si sono impegnati con gli Stati Uniti a ritirare l’imposta unilaterale sui servizi digitali, la Digital Services Tax (Dst).
Una decisione importante che naturalmente prevede anche una contropartita da parte degli Usa che in cambio hanno assicurato che saranno ritirati i dazi su alcuni prodotti europei.
I termini dell’accordo transitorio per il passaggio dalle attuali web tax verso la nuova proposta fiscale che è stata avanzata dall’Ocse sono stati definiti proprio in questi giorni. Ciò permetterà di introdurre una tassazione fondata su principi condivisi per quel che riguarda il giro d’affari dei giganti del web.
Un accordo in tal senso era in realtà stato già raggiunto nel mese di ottobre, quando ben 136 Paesi membri Ocse si erano impegnati per una riforma del fisco internazionale riguardante i grandi monopoli del web che avrebbe dovuto essere messa in campo entro il 2023.
Le web tax attualmente in vigore resteranno valide fino a quando sarà operativo il primo pilastro della riforma fiscale dell’Ocse sulla tassazione che interesserà i colossi del web.
Fin qui tutto bene quindi, ma le multinazionali potranno contare su un trattamento di tutto riguardo, infatti i Paesi aderenti hanno già stabilito che verrà loro offerto un credito fiscale a titolo di rimborso della somma della tassa raccolta in eccesso qualora l’accordo Ocse dovesse giungere in anticipo.
Gli Stati Uniti dal canto loro hanno garantito che i dazi di ritorsione che erano stati emanati contro Italia, Austria, Francia, Spagna e Regno Unito, ma in seguito temporaneamente sospesi, verranno definitivamente messi da parte. I dazi avrebbero dovuto essere del 25% su prodotti della moda made in Italy per un valore complessivo di circa 140 milioni di dollari.
Tuttavia il governo degli Stati Uniti avrebbe preferito ottenere qualcosa in più. Le aspettative erano infatti quelle di un’abrogazione delle Web Tax europee immediata già a partire dall’8 ottobre 2021, cioè dalla data in cui è stato trovato un accordo politico sul Primo Pilastro della riforma fiscale dell’Ocse.
Questo accordo in realtà prevede che “tutti i Paesi che hanno adottato misure unilaterali prima dell’8 ottobre 2021, non sono tenuti ad abrogare le proprie misure unilaterali fino all’effettiva applicazione del Primo Pilastro”.
Ed ecco che si arriva al rimborso previsto nel caso in cui si giunga ad un accordo sulla web Tax sulla base della proposta dell’Ocse. Il rimborso stabilito sarà “nella misura in cui le imposte maturate” nei cinque Paesi europei in relazione alle Web Tax prima dell’effettiva applicazione del Primo Pilastro, eccedono l’importo previsto da quest’ultimo per la totalità del primo anno di applicazione della nuova tassa.
L’accordo prevede che in tal caso l’eccedenza sarà detratta “dalla porzione di imposta sul reddito delle società dovuta ai sensi del Primo Pilastro rispettivamente in questi Paesi”.
Per quanto riguarda il caso specifico dell’Italia, non è previsto che ci siano da restituire somme particolarmente rilevanti alle multinazionali digitali, e questo per via dei miseri risultati raggiunti attraverso l’introduzione della web tax nel nostro Paese.
In tutto infatti sono state 49 le società digitali straniere che hanno versato degli importi a titolo di tasse in Italia, per un totale di 233 milioni di euro nel 2021, mentre le aspettative erano di almeno 700 milioni di euro, pari al 3% del fatturato realizzato attraverso l’offerta di servizi digitali da parte delle multinazionali del digitale agli utenti italiani.
Se prendiamo l’esempio di Amazon, vediamo che ha versato in Italia poco più di 10,4 milioni di euro di imposte in tutto, mentre Google ha versato appena 11,5 milioni.
Non dimentichiamo che a pagare la web tax sono chiamate tutte le imprese, anche non residenti, che conseguono ricavi globali che vanno dai 750 milioni di euro in su, e che abbiano realizzato almeno 5,5 milioni di euro di fatturato offrendo servizi digitali in Italia. L’imposta è stata versata il 17 maggio 2021 ed il periodo di riferimento è il 2020.
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