La sentenza della Corte Costituzionale polacca è stata emessa giovedì, e ha rappresentato un significativo allontanamento tra Varsavia e Bruxelles. Si tratta tra l’altro di un evento senza precedenti nella storia dell’Ue, in quanto mai prima d’ora un organo di diritto di un Paese membro aveva preso una posizione così netta contro la supremazia delle leggi europee rispetto a quelle nazionali.

La Corte Costituzionale ha di fatto stabilito che ogni sentenza o atto normativo dell’Ue deve necessariamente risultare conforme alla legge polacca, e in caso contrario il principio della supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale, che è uno dei princìpi fondativi dell’Unione Europea, non viene riconosciuto.

Ma tra Bruxelles e Varsavia i rapporti si erano da tempo deteriorati, in particolare con la vittoria alle elezioni del 2017 del partito Diritto e Giustizia. Il popolo polacco ha infatti dato la propria fiducia al programma di destra del partito dell’attuale primo ministro Mateusz Morawiecki che coerentemente con il mandato che la maggioranza degli elettori gli ha assegnato sta portando avanti determinate battaglie.

Su Il Post leggiamo che “la stragrande maggioranza degli esperti di diritto internazionale ritengono che il governo polacco abbia compromesso l’indipendenza dei tribunali e della magistratura con varie decisioni: la stessa Corte Costituzionale polacca è piena di giudici nominati direttamente dal governo e ritenuti vicini a Diritto e Giustizia”.

Sembra si voglia far passare il messaggio che vi sia una sorta di deriva semi-autoritaria in Polonia, e che non sia possibile nel Paese garantire l’indipendenza del potere giudiziario. In realtà a differenza di quanto accade in Italia, in Polonia le forze politiche che hanno regolarmente vinto le elezioni stanno portando avanti con coerenza le idee professate e il programma che i cittadini hanno sottoscritto.

La Corte Costituzionale aveva già in passato preso una decisione simile, ma in quell’occasione si riferiva ad una specifica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che è il principale organo giudiziario dell’Unione.

Invece la sentenza che è stata emessa giovedì riguarda l’intera struttura su cui poggia il diritto comunitario, andando a colpire quanto afferma il Trattato sull’Unione Europea, che negli articoli 1 e 19 stabilisce la supremazia del diritto comunitario su quello nazionale in alcuni ambiti.

Un principio che sarebbe, secondo la Corte Costituzionale, incompatibile con la legge polacca. La sentenza infatti afferma che “nel sistema giuridico polacco il Trattato sull’Unione Europea è subordinato alla Costituzione, e come ogni norma del sistema polacco deve essere conforme”.

Secondo René Repasi, docente di diritto dell’Ue all’Università di Rotterdam “è una rivoluzione dal punto di vista legale” come riporta The Guardian “è vero che la Corte Costituzionale non è indipendente, ma questo è il passaggio più vicino a un’uscita ‘giudiziaria’ dall’Unione Europea mai compiuto da un tribunale nazionale“.

La strada della diplomazia non ha ancora portato i frutti sperati, infatti i tentativi fatti dall’Unione Europea per risolvere la contesa giudiziaria con la Polonia si sono rivelati solo dei buchi nell’acqua.

Una diplomazia sui generis peraltro quella che utilizza Bruxelles per indurre i governi nazionali dei Paesi membri ad ignorare il volere dell’elettorato che sono tenuti a rappresentare. Nel caso della Polonia in particolare l’Europa ha avviato una procedura d’infrazione nel 2017, e più di recente la Commissione europea ha bloccato le risorse del Recovery Fund.

Il meccanismo con cui Bruxelles impone i suoi diktat viene anche brevemente enunciato sempre su Il Post dove leggiamo: “finora l’Unione Europea non è riuscita ad ottenere quasi nulla dal governo polacco perché, molto banalmente, non dispone di strumenti coercitivi efficaci per costringere uno stato membro a rispettare le proprie decisioni”.

Più che la diplomazia, a non aver funzionato con la Polonia è la coercizione, salvo alcune eccezioni. Quattro Regioni polacche infatti hanno deciso di rinunciare a definirsi “zone libere dall’ideologia LGBT” per paura di perdere i fondi europei.

Si tratta però di un magro bottino, di fatto la Polonia sta facendo sentire la propria voce su alcune tematiche sulle quali evidentemente ci sono delle distanze nel Paese rispetto alle posizioni imposte dall’Ue.

Il governo di Varsavia ha accolto con soddisfazione la decisione dei giudici della Corte Costituzionale polacca dicendosi d’accordo con la sentenza emessa giovedì.

Secondo Eu Observer la decisione della Corte Costituzionale sarà legalmente vincolante solo dal momento in cui sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale dal governo polacco, ma non è da escludere che nel frattempo si arrivi ad un accordo con la Commissione Ue che però non ha lasciato trapelare molto sulle sue intenzioni limitandosi a definirsi “seriamente preoccupata” dopo la sentenza della Corte Costituzionale polacca.

La nostra posizione è chiara. La legge dell’Ue ha il primato su quella nazionale. Le decisioni della Corte di Giustizia dell’Ue sono vincolanti” ha spiegato Didier Reynders, commissario Ue alla Giustizia che ha anche ricordato che la Corte di Giustizia è l’unica che può stabilire la compatibilità tra la legge Ue e quella nazionale.

Secondo il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, la sentenza di giovedì “non può restare senza conseguenze. Il primato del diritto Ue non può essere messo in dubbio. Violarlo significa sfidare uno dei principi principali dell’Unione. Chiediamo alla Commissione di adottare le azioni necessarie”.

La strada imboccata però sembra quella che va nella direzione opposta a quella auspicata dai vertici di Bruxelles, e a prendere le distanze non è solo la Polonia ma anche l’Ungheria. Entrambi i Paesi hanno infatti posto il veto sulle conclusioni del Consiglio Ue di Giustizia riguardanti la strategia della Commissione sui diritti dell’infanzia.

Ne ha dato annuncio la ministra ungherese della Giustizia, Judit Varga, che ha dichiarato: “continueremo a resistere alla pressione della lobby Lgbtq. Poiché alcuni Stati hanno insistito strenuamente affinché gli attivisti Lgbtq fossero ammessi nelle nostre scuole, io e il collega polacco abbiamo dovuto usare il veto”.

“La lotta alla violenza sui minori o alla prostituzione minorile, o anche la garanzia dei diritti dei bambini con bisogni educativi speciali o disabilità, o ancora il rifiuto di qualsiasi forma di discriminazione sono per loro meno importanti che garantire diritti extra alla lobby Lgbtq” ha scritto in un post su Facebook la ministra Judit Varga.

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