Nel dichiarato intento di contrastare la diffusione del Covid-19 l’Italia in primis, ma anche altri Paesi del mondo, ha deciso di imporre lockdown e misure restrittive tali da portare al collasso l’economia, con debito pubblico aumentato di 20 punti percentuale in meno di un anno, ma soprattutto quasi un milione di posti di lavoro persi e decine di migliaia di imprese sul lastrico.

Per contenere la catastrofe sociale il governo ha introdotto il divieto di licenziare, dando alle imprese la possibilità di accedere a diverse forme di ammortizzatori sociali a costo zero o a costi agevolati, a cominciare dalla Cassa Integrazione Covid.

Il divieto di licenziare però, dopo una serie di proroghe, sta per scadere. Il governo guidato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea ha infatti deciso di non prorogare ulteriormente il blocco dei licenziamenti, linea che l’Ue stessa naturalmente condivide e incentiva.

Da Bruxelles infatti sono arrivate delle indicazioni piuttosto chiare su come gestire il problema dei licenziamenti nel post-pandemia. Il 2 giugno scorso l’Ue ha infatti pubblicato le sue raccomandazioni indicando l’Italia come l’unico Paese ad aver introdotto una norma volta ad impedire il licenziamento di centinaia di migliaia di lavoratori.

Si tratta di una norma che il governo Conte bis aveva introdotto inizialmente, e che il governo Draghi ha solo prorogato per un breve periodo di tempo. Il tempo per lo stop ai licenziamenti però giunge ora al termine con le due scadenze che sono quella di giugno prima e quella di ottobre poi.

Secondo l’Ue una norma come quella che impedisce alla imprese di licenziare i propri dipendenti – che quindi finiscono in cassa integrazione per lo più a spese dello Stato – è deleteria per il mercato del lavoro in quanto verrebbero avvantaggiati i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e penalizzati invece quelli con contratti a termine.

Per l’Europa questa ‘discriminazione’ non può essere accettata, ed il concetto di fondo che viene espresso dall’esecutivo comunitario è che se non è possibile proteggere tutti allora è meglio non proteggere nessuno.

Si va verso un progressivo abbassamento del livello di diritti del lavoratore e delle garanzie che i contratti in essere sono in grado di offrire ai dipendenti di aziende private.

Una linea, quella indicata dall’Ue, che si concilia in modo estremamente armonico con le intenzioni di Mario Draghi, il quale aveva già esternato il parere che prorogare il blocco dei licenziamenti non sarebbe stato possibile.

Draghi è tra l’altro un convinto sostenitore della politica di selezione delle aziende in base alle quale le più grandi e ‘in salute’ debbano essere salvate, mentre le altre vadano accompagnate verso il fallimento. Una linea che era già stata illustrata nel documento che fu stilato nel dicembre 2020 per il Gruppo dei 30 nel quale le imprese con un piede nella fossa vengono definite ‘zombie’.

Il Segretario generale della CGIL è intervenuto sull’argomento spiegando: “non stiamo dicendo che non si può licenziare mai più, ma di fare il 31 ottobre per tutti”. La prima scadenza per quel che riguarda lo stop dei licenziamenti dovrebbe quindi slittare anch’essa al mese di ottobre, ma non sarà questa la strada che il governo Draghi imboccherà, forte delle conferme che arrivano dall’Ue.

“Mi sono stancato di sentir parlare di garantiti e non garantiti” ha detto poi il segretario Maurizio Landini “chi sarebbero quelli garantiti? I lavoratori che pagano le tasse e prendono mille euro al mese? Sono stati tolti diritti ed è aumentata la precarietà, perché non tolgono quelle leggi balorde che hanno creato 30 forme diverse di lavoro? Gli imprenditori non trovano lavoratori stagionali? Vanno pagati di più“.

Intanto il ministro dell’Economia tedesco Wolfgang Schauble, prima ancora che dall’Ue vennisero fatte all’Italia delle precise raccomandazioni, aveva espresso la sua opinione sull’argomento in un’intervista rilasciata al Financial Times.

“Dobbiamo tornare alla normalità monetaria e fiscale” ha dichiarato Schauble “l’onere del debito pubblico deve essere ridotto”. E per quel che riguarda nello specifico l’Italia ha poi aggiunto: “sono sicuro che Draghi intenderà rispettare i principi di stabilità finanziaria”, vale a dire quegli stessi principi che hanno penalizzato la crescita negli anni passati, e che sono stati sospesi senza alcun effetto negativo sulla stabilità del sistema finanziario da oltre un anno e mezzo.

Appare plausibile quindi che nei prossimi mesi accadranno sostanzialmente due cose: da una parte avremo migliaia di posti di lavoro destinati ad andare in fumo, e dall’altra il ritorno di misure di austerity che dovrebbero contribuire a ridurre il debito pubblico, obiettivo peraltro sempre ampiamente mancato già prima della crisi economica legata all’emergenza Coronavirus, e che difficilmente si raggiungerà utilizzando ostinatamente sempre la stessa ricetta.

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