Continuano ad arrivare numeri incoraggianti, per quel che riguarda l’andamento del contagio in Italia, e tuttavia non altrettanto incoraggianti sono le dichiarazioni di una parte dell’esecutivo guidato da Mario Draghi.

I cosiddetti rigoristi ‘capeggiati’ dal ministro della Salute Roberto Speranza (LeU), spingono infatti per un ulteriore prolungamento delle restrizioni, che dovrebbero agevolare un ulteriore abbassamento del contagio per alleggerire ulteriormente la pressione sui reparti di terapia intensiva. 

Niente zona gialla fino a maggio? L’ipotesi sul tavolo del governo

L’ala rigorista del governo guidato dall’ex presidente della Bce chiede una proroga della misura contenuta nel decreto del 13 marzo che prevede la temporanea abolizione della zona gialla. Il fronte composto dai partiti di centrosinistra al cui interno si colloca ormai in pianta stabile anche il Movimento 5 Stelle, spinge perché nessuna Regione torni in zona gialla prima di maggio.

Il ministro della Salute indica ancora la strada del rigore all’indomani della pubblicazione dei dati relativi all’ultimo bollettino sull’andamento dei contagi in Italia. Dal bollettino della Protezione Civile di ieri 24 marzo emerge un lieve calo del numero dei decessi (460), ed un lieve aumento del numero dei positivi nonché della percentuale dei positivi sul totale dei tamponi effettuati.

I nuovi positivi registrati nelle ultime 24 ore sono risultati infatti 21.267 contro i 18.765 del giorno precedente. Il numero totale dei tamponi fatti è leggermente salito, passando da 335.189 a 363.767, ma è cresciuta anche la percentuale dei positivi per tamponi effettuati, che passa dal 5,6% al 5,8%.

Una situazione tutt’altro che preoccupante se si tiene conto del fatto che dalla fine di ottobre alla prima metà di gennaio la percentuale dei positivi è stata costantemente al di sopra del 10%, spesso oltre il 15% con picchi del 17%, mentre ora, se si contano i soli test molecolari, la percentuale si attesta alla giornata di ieri al 9%.

Fonte grafico Lab24 per Il Sole 24 Ore

Altro dato rassicurante è quello relativo all’indice Rt, del quale tuttavia si sta facendo un ‘uso improprio’ in quanto la sua validità come dato da utilizzare nell’analisi statistica dell’andamento del contagio, non ha una affidabilità tale da essere preso come principale parametro di riferimento per stabilire quali misure di contenimento adottare.

L’indice Rt nazionale comunque si attesta oggi intorno al valore di 1,07, il che indica che l’andamento del contagio non è in crescita ma in decrescita. Il governo infatti sembra incline a seguire una strada diversa da quella indicata dall’ala rigorista, e lo stesso Mario Draghi ha fatto sapere ieri in Parlamento di essere al lavoro per permettere almeno la riapertura delle scuole fino alla prima media anche in zona rossa.

Sul tavolo però c’è anche la possibilità di bloccare la zona gialla fino a maggio in tutta Italia. Tutte le Regioni che non si trovano in zona rossa quindi resterebbero in zona arancione, senza la possibilità di beneficiare di qualche allentamento delle restrizioni che invece sarebbe previsto nelle zone gialle.

Almeno 7 Regioni e una provincia resteranno in zona rossa fino al 12 aprile

Se da una parte abbiamo Lega e Forza Italia che sembrano spingere per ottenere un allentamento delle misure di contenimento, dall’altra abbiamo il centrosinistra che spinge per mantenere la linea del rigore.

Quel che è certo è che la riapertura di cinema e teatri inizialmente prevista per il 27 marzo è già saltata e spostata a data da destinarsi. E tra le certezze possiamo ormai inserire la classificazione di zona rossa per almeno 7 Regioni e una provincia fino al 12 aprile, se non anche oltre questa data.

Le Regioni che restano in zona rossa anche dopo Pasqua sono il Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte, Marche, Lombardia, Puglia più la provincia autonoma di Trento, e mentre il Veneto potrebbe scendere in zona arancione dopo Pasquetta, la Valle d’Aosta rischia di finire in zona rossa a partire dalla prossima settimana. Per il Lazio infine dovrebbero aprirsi le porte della zona arancione.

Cala l’indice Rt ma non le restrizioni

Abbiamo sentito parlare dell’indice Rt fin dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, e abbiamo visto in più occasioni cosa indica esattamente e perché viene tenuto così in considerazione. Tuttavia, per quanto questo indice possa rappresentare un valido strumento per misurare l’andamento del contagio, quello che se ne sta facendo può essere definito a tutti gli effetti un ‘uso improprio’, ma questo lo vedremo tra poco.

Sappiamo che ormai da mesi una Regione viene inserita nella zona di un colore piuttosto che in un’altra in base a 21 parametri, uno dei quali è proprio l’indice RT, ritenuto peraltro un parametro di importanza determinante.

Abbiamo anche visto però che i parametri che determinano il ‘colore’ di una Regione sono stati cambiati qualche settimana fa. Per l’esattezza sono state modificate le soglie, il che significa che se prima si doveva raggiungere un Rt regionale pari a 1,5 per finire in zona rossa, dopo bastava arrivare a 1,25.

Le Regioni con Rt inferiore a 1,25 invece venivano inserite in zona gialla, mentre ora l’Rt deve essere pari o inferiore a 1. E dal momento che l’Rt nazionale attualmente si attesta intorno a 1,07, è facile dedurre che non siano poche le Regioni che dovrebbero trovarsi in zona gialla che, tuttavia, è stata soppressa dal decreto del 13 marzo.

Nel seguente grafico possiamo osservare il numero di Regioni italiane con un Rt inferiore a 1 in base ai dati del 14 marzo. Balza facilmente all’occhio che le Regioni che porebbero essere in zona gialla sono almeno 4 o 5, e sarebbero almeno altre 8 o 9 se le soglie fossero quelle ritenute valide in precedenza. Ma altrettanto interessante è notare come l’Rt preso in considerazione sia in fin dei conti la media tra due stime, aspetto che approfondiremo più avanti.

Fonte grafico Lab24 per Il Sole 24 Ore

Il quadro generale indica un miglioramento dell’andamento del contagio, come confermato dal fisico Roberto Battiston, dell’Università di Trento, coordinatore dell’Osservatorio dei dati epidemiologici, il quale ha sottolineato che “la situazione è stazionaria ma in via di miglioramento”.

Ed è ancora Battiston ad evidenziare che “si iniziano a vedere segni di stabilizzazione e di discesa dell’indice Rt” e ad aggiungere che “a partire da martedì-mercoledì ci si aspetta di vedere gli effetti sugli Rt delle Regioni rosse attivate lunedì 15 marzo”.

Tuttavia il fisico invita alla prudenza sottolineando che “siamo ancora in piena seconda ondata, con una forte ripresa della crescita probabilmente a causa delle varianti più contagiose che hanno preso il sopravvento”.

Tra i dati che attualmente vengono presi in considerazione per valutare se una Regione può essere inserita in zona arancione o deve passare alla zona rossa, troviamo ora, dall’entrata in vigore del decreto del 13 marzo, anche quello relativo ai nuovi casi positivi settimanali che non deve superare la soglia dei 250 per 100 mila abitanti. Basta questo dato infatti a determinare per una Regione l’assegnazione alla zona rossa.

Ad evidenziare come l’indice Rt risulti in miglioramento un po’ su tutto il territorio nazionale, anche La Stampa, che però ricorda l’elevata incidenza dei casi. Secondo il noto quotidiano piemontese stando a questi dati a partire da lunedì il Lazio passerà in zona arancione e la Valle d’Aosta in zona rossa.

Perché il modello usato per il calcolo dell’indice Rt non è affidabile

L’indice Rt, come abbiamo visto, ha determinato, insieme ad altri parametri secondari, la fascia di rischio in cui ciascuna Regione italiana è stata inserita a cominciare da ottobre-novembre 2020.

Ma questo indice Rt, che sappiamo essere basato su un algoritmo, come viene calcolato, quanto è affidabile e soprattutto come dovrebbe essere utilizzato? Stando a quanto spiegato dal professor Antonello Maruotti, ordinario di statistica dell’Università Lumsa nel corso di un’intervista rilasciata a Radio Radio, si tratta di un indice che nasce con tutt’altre finalità.

“Purtroppo, ma questo avviene sempra quando ci si basa su un modello statistico, ci sono diversi modi per stimare Rt” inizia a spiegare il professore “al variare del modello otterremo stime di Rt completamente diverse, ed è quello che succede: i miei colleghi di Palermo ad esempio utilizzano un modello diverso da quello ufficiale, e lo stesso altri colleghi di Firenze”.

Il professore chiarisce quindi un punto molto importante, e cioè che l’Rt varia in base al modello, non esiste un Rt necessariamente corretto ed un Rt necessariamente sbagliato.

Quello che viene usato in Italia, per l’esattezza dalla Fondazione Bruno Kessler per conto dell’Istituto Superiore di Sanità “è un modello che in epidemiologia si conosce, è note da circa una decina d’anni e ha del fondamento” spiega il professor Maruotti, che poi aggiunge “però ha una serie di limiti strutturali che gli stessi autori del lavoro originale mettono in risalto”.

Il fatto è, come spiega il professore, che di questi limiti comunque noti, non si tiene conto nel momento in cui si va ad applicare l’Rt per prendere le decisioni, quelle decisioni sulla base delle quali in alcune Regioni i cittadini potranno uscire di casa e in altre no, per intenderci, decisioni che pesano sulle entrate di milioni di famiglie e sulla possibilità dei bambini di andare a scuola oppure no.

Ma come funziona quindi il sistema che permette di calcolare l’Rt? Il professore Maruotti spiega che “qualsiasi modello si basa su delle assunzioni, su delle ipotesi che devono essere verificate. Se queste ipotesi non vengono verificate il risultato che viene fuori non ha nessuna importanza statistica, non ha nessuna significatività statistica”.

Ne deriva in questo caso in risultato che potrebbe essere valido oppure no, ed in riferimento alla verifica delle ipotesi indispensabile per determinare se il modello usato per il calcolo dell’Rt è valido o meno il professore spiega che quella verifica “è quel che manca al modello che viene utilizzato per Rt. Le assunzioni sottostanti a questo modello non sono verificate”.

“Ci sono una serie di problematiche statistiche metodologiche sottostanti a questa stima di Rt e i nostri decisori non le tengono in nessuna considerazione, quindi il numero che noi abbiamo di Rt dal punto di vista statistico è inconsistente” ha quindi osservato il professore.

L’inidce Rt “non è pensato per definire livelli di rischio”

Il professor Maruotti spiega quindi che il modello utilizzato per il calcolo di Rt “ha senso solamente se certe assunzioni vengono verificate” cosa che però, sottolinea, non avviene. Il professore fa quindi un esempio pratico e spiega che “c’è una quantità molto importante che si chiama ‘tempo di generazione’, cioè il tempo che passa tra due infezioni, cioè quanto tempo ci metto io a infettare qualcun altro”.

Una “quantità fondamentale” sottolinea il Maruotti “per stimare correttamente Rt, e nel modello ufficiale questa quantità è presa da 90 coppie di casi in Lombardia a febbraio 2020 e mai più aggiornata. Quindi stiamo applicando una ipotesi misurata su 90 casi, 90″ sottolinea il professore ricordando che abbiamo attualmente superato i 100 mila decessi Covid “e pensiamo che quella ipotesi sia valida per tutte le Regioni italiane sempre”.

“Questo aumenta l’eterogeneità e soprattutto l’incertezza nelle stime” conclude il professore. La domanda che viene posta a questo punto sorge spontanea come si suol dire: come mai non c’è stato nessun aggiornamento? “I motivi sono sostanzialmente due” risponde il professore “uno è l’assenza dei dati, perché per monitorare i contatti delle persone ci vogliono studi ad hoc, e la seconda è un motivo di comparabilità nel tempo“.

Il problema però non è questo. Che il modello possa non essere particolarmente preciso o affidabile è del tutto normale, l’errore sta “nell’utilizzo che si fa dell’indice Rt” che, spiega il professore “non è pensato per definire livelli di rischio. Non è pensato per ‘colorare le Regioni’. L’indice Rt è pensato per darci un’informazione sull’evoluzione dell’epidemia”.

“Fissate delle ipotesi, se Rt passa da 1,3 a 1,5 so che è peggiorato” esemplifica quindi il professor Maruotti “prendere questi valori per poi definire livelli di rischio e quindi i colori delle Regioni, lo dicono gli autori del lavoro originale che non è corretto, non lo dico io, c’è scritto in 8 pagine di appendice al lavoro originale che evidentemente non hanno letto”.

Ecco il video integrale con l’intervista di Radio Radio al professor Antonello Maruotti:

Questo contenuto non deve essere considerato un consiglio di investimento. Non offriamo alcun tipo di consulenza finanziaria. L’articolo ha uno scopo soltanto informativo e alcuni contenuti sono Comunicati Stampa scritti direttamente dai nostri Clienti.
I lettori sono tenuti pertanto a effettuare le proprie ricerche per verificare l’aggiornamento dei dati. Questo sito NON è responsabile, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia danno o perdita, reale o presunta, causata dall'utilizzo di qualunque contenuto o servizio menzionato sul sito https://www.borsainside.com.