L’ultimo ostacolo, se così si può definire, sul cammino di Mario Draghi verso la formazione del nuovo esecutivo è stato rimosso, ed ora che anche il Movimento 5 Stelle è ufficialmente pronto, con tanto di benedizione della base degli elettori, a sostenere il nuovo governo, l’ex presidente della BCE è a un passo dalla presidenza del Consiglio dei ministri.
E in qualità di nuovo premier, Mario Draghi si troverà ad affrontare problematiche di natura economica alcune delle quali ha egli stesso contribuito a creare quando ricopriva altri importanti incarichi, come direttore generale del ministero del Tesoro prima, governatore della Banca d’Italia e presidente della Banca Centrale Europea poi.
La quasi totalità dei mass media ci presenta Draghi come una sorta di salvatore della patria, colui che riuscirà a sbrogliare una situazione che definire ingarbugliata significa usare un eufemismo.
Ma se a questo Paese servono dei miracoli, forse proprio Draghi è l’uomo capace di compierli, visto che ha già mostrato delle doti soprannaturali nel pacificare l’intero Parlamento sotto la sua guida. Ora personalità come quelle di Renzi, Salvini, Berlusconi convivono serenamente tra loro e con il Movimento 5 Stelle.
E quali sono i nodi che il prossimo esecutivo si troverà a dover sciogliere in ambito economico? Di criticità da affrontare ce ne sono eccome in un Paese che si trova in una gestione dell’emergenza sanitaria che fa acqua da tutte le parti, con la quale l’unico risultato tangibile che si è raggiunto è la distruzione dell’imprenditoria con il drammatico crollo occupazionale e conseguente devastazione delle economie familiari.
Se il Paese dovrà fare affidamento sulle risorse messe in campo dall’Ue attraverso il Recovery Fund, sarà Mario Draghi ad indicare la strada da seguire. La ricetta dell’ex presidente della Bce dovrebbe permettere all’economia italiana di ripartire, ed è improbabile che questa possa passare per quelle regole di austerity di cui è stato promotore negli anni passati.
Sono in pochi infatti a ritenere che Draghi possa scegliere per l’Italia qualcosa di simile a quello che fu fatto nel caso della Grecia quando occupava il posto di presidente della Banca Centrale Europea. Questo però significherebbe mettere in campo provvedimenti in realtà diametralmente opposti, tant’è che nel web ha iniziato a circolare un meme che esprime piuttosto bene il concetto.
Nella vignetta si vede un Mario Draghi che mostra la mano e dice: “questa mano può essere Friedman o può essere Keynes” a indicare due politiche economiche che sono appunto tra esse contrapposte.
Secondo Mauro Gallegati, professore di economia all’Università delle Marche, Mario Draghi “è soprattutto un uomo pragmatico”. “Prima era pro austerity, forze di mercato e privatizzazioni, ora è in una fase di transizione da Friedman e Keynes” conferma infatti il professor Gallegati.
Quale ricetta per far ripartire l’Italia?
Partiamo dal presupposto che l’economia italiana non se la cavava benissimo nemmeno prima del Covid, senza nulla togliere ai demeriti di una gestione scellerata della pandemia da Covid-19, che ha provocato il più drammatico disastro economico dai tempi del dopuguerra.
L’Italia aveva dei tassi di crescita molto bassi già da almeno un paio di decenni, e la cosa invece di migliorare è peggiorata con l’imposizione di paletti sempre più stringenti in ambito economico.
Tra i fattori che hanno contribuito a determinare questo pessimo andamento dell’economia del nostro Paese non possiamo che annoverare il progressivo invecchiamento della forza lavoro, gli scarsi investimenti pubblici e la burocrazia lenta ed inefficiente.
Dovrebbe essere superfluo sottolineare che queste peculiari criticità sono state persino alimentate da determinate scelte in ambito economico all’epoca in cui Draghi era presidente della Bce. Le istituzioni europee infatti facevano pressione per ottenere la riduzione di deficit e debito, portando a tagli che hanno penalizzato ulteriormente l’Italia.
Nell’estate del 2011 fu lo stesso Draghi, allora presidente designato della BCE, a firmare insieme ad altri economisti una lettera all’allora governo italiano chiedendo tagli alla spesa pubblica e una riduzione più marcata del deficit.
Nel 2011 e per i successivi 4 anni il FMI stimava la dinamica del PIL potenziale dell’Italia intorno al +0,7%, cioè il tasso di crescita che il Paese può sostenere senza generare inflazione. Un paio di anni più tardi, dopo l’intervento di Mario Monti e la sua politica di austerity, il FMI ha rivisto le stime che ora indicavano un PIL potenziale al -0,3% nel 2013, con una crescita inferiore a 0,5% per i successivi 4 anni.
Diciamo che se l’obiettivo era quello di affossare ulteriormente il Paese, il piano messo in atto da Monti come premier, e supportato da Draghi alla Bce, ha funzionato perfettamente. Fu Draghi infatti a figurare nel 2012 tra i promotori del Fiscal Compact, vale a dire quel trattato europeo che prevede un percorso di risanamento più rapido per Paesi con un debito alto come appunto l’Italia.
Una ricetta che ancora una volta ha mostrato dei limiti enormi, che però lo stesso Mario Draghi condivideva. Se il debito pubblico italiano si attestava intorno al 116% nel 2011, nel 2014 il rapporto debito Pil aveva già raggiunto il 132%.
“Penso che tutti si siano resi conto che quel che è stato fatto ai Paesi del Sud Europea sia stato un errore” ha dichiarato a tal proposito il professor Roberto Perotti, docente di economia all’Università Bocconi di Milano “nessuno parlava più di austerity anche prima del Coronavirus”.
Mario Draghi il privatizzatore
Negli anni in cui ricopriva l’incarico di direttore generale del Tesoro, Mario Draghi giocò un ruolo chiave nel processo di privatizzazioni che ha interessato l’Italia nel corso degli anni ’90.
Tra le società che sono state privatizzate figura anche Autostrade per l’Italia, che finì poi nelle mani della famiglia Benetton attraverso il gruppo Atlantia. Il drammatico crollo del ponte Morandi che nell’estate del 2018 costò la vita a 43 persone ha poi innescato quella caccia al colpevole che ha portato il M5s a chiedere con forza l’estromissione dei Benetton dalla gestione di Api.
Sono stati gli stessi 5 Stelle quindi a chiedere a Mario Draghi di mantenere questa linea, di andare verso un ritorno di Autostrade per l’Italia sotto il controllo pubblico. E mentre dal gruppo Atlantia negano ogni responsabilità per quel che riguarda l’incidente avvenuto nel 2018, gli inquirenti continuano a far luce su presunte insufficienze nella manutenzione.
Quella campagna di privatizzazioni che ha portato alla svendita del patrimonio pubblico italiano fu fortemente voluta proprio da Mario Draghi, ed ora il Draghi premier andrà nella direzione opposta come chiesto dalla maggior forza politica in Parlamento?
Tra l’altro, con particolare riferimento alla questione della privatizzazione di Autostrade per l’Italia, Massimo D’Antoni, professore di economia a Siena, ha espresso un parere molto chiaro e di certo non positivo.
“Possiamo dire che la privatizzazione non fu un’operazione conveniente per il bilancio pubblico” ha detto D’Antoni “i profitti di Autostrade sono stati molto superiori agli interessi risparmiati sulla quota di debito pubblico che la vendita consentì di ripagare”.
“Si voleva rendere attraente l’operazione per gli acquirenti in modo da fare cassa, ma in questo modo la privatizzazione è stata un affare solo per chi ha comprato, a spese degli utenti e dei contribuenti” spiega D’Antoni. Certo però sarebbe legittimo domandarsi se la privatizzazione non sarebbe potuta essere gestita in modo diverso, in modo che almeno non si rivelasse un doppio fallimento per il Paese.
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