Nei giorni scorsi, prima della decisione del presidente della Repubblica di assegnare l’incarico per la formazione del nuovo esecutivo all’ex presidente della Bce, Mario Draghi, abbiamo assistito ai disperati tentativi da parte di Giuseppe Conte di trovare una nuova maggioranza che lo appoggiasse per il Conte Ter.

La maggioranza su cui poteva contare l’ex presidente del Consiglio era fin troppo risicata e questo ha messo Matteo Renzi in una posizione di vantaggio, permettendogli di portare facilmente a compimento il compitino che gli era stato assegnato in tempi non sospetti, di far cadere l’esecutivo per favorire la nascita di un governo guidato da Mario Draghi.

In questi giorni poi abbiamo assistito a qualcosa di molto diverso, diametralmente opposto. Abbiamo visto con quale facilità Mario Draghi ha subito ottenuto una maggioranza sufficientemente ampia da garantire un governo più che stabile. Tutto ciò nonostante sulla carta, o nei programmi e negli slogan elettorali, per non dire nel DNA, di partiti come Movimento 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia il Sì a Draghi doveva essere assolutamente da escludere.

E anche se ancora il Parlamento non si è espresso con il voto di fiducia, pare che il governo dell’ex presidente della BCE godrà di una maggioranza più ampia persino di quella che sostenne il governo Monti di qualche anno fa.

Ma quali sono i numeri? Partiamo da quelli su cui poteva contare Giuseppe Conte. Al Senato ottenne la fiducia con 156 voti, quindi al di sotto della soglia di 161 che permette di avere la maggioranza assoluta a Palazzo Madama. Per Draghi invece la situazione si presenta totalmente diversa, con una maggioranza estremamente ampia, tanto che si parla di una maggioranza da record.

Record che in passato era detenuto, guarda caso, dal governo di Mario Monti. All’epoca il governo tecnico che strinse l’Italia nella morsa dell’austerity fu appoggiato da 281 senatori e 556 deputati.

Per quanto riguarda invece l’ormai imminente nascita dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della BCE, i numeri delle previsioni sono appunto ancora più eclatanti. Con un appoggio trasversale che parte dalla Lega di Salvini e arriva fino a LeU, Mario Draghi potrà ottenere al Senato qualcosa come 294 voti, mentre alla Camera i voti favorevoli dovrebbero essere 573, voto più voto meno.

Dalla crisi di governo alla crisi della democrazia

L’articolo 1 della Costituzione italiana dice che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Ed è attraverso l’esercizio del voto che il popolo esercita la propria sovranità, perché è con il voto che vengono scelti i Parlamentari, coloro cioè che dovranno rappresentare il popolo.

È il popolo che decide quindi, come stabilito dalla Costituzione, in quale direzione dovrà andare il Paese, scegliendo il programma della forza politica da cui maggiormente si sente rappresentato. Questa forza politica in occasione delle elezioni politiche del 2018 è risultata essere il Movimento 5 Stelle, che si presentava con un programma fortemente euroscettico.

Tuttavia dalle elezioni del 2018 è emerso anche un altro dato molto chiaro, e cioè che il Paese era sostanzialmente spaccato in tre, e che con l’attuale legge elettorale sarebbe stato ben difficile costruire una maggioranza solida. Ed ecco infatti che per la formazione del primo governo Conte è stato necessario l’appoggio della Lega di Salvini, che apparentemente era la forza politica più compatibile con le idee del M5s.

Il secondo governo Conte ha preso una direzione molto diversa, decisamente più europeista come da tradizione dem, ma anche questo governo in un modo o nell’altro ha avuto vita breve, anche perché poggiava su una maggioranza ancor più risicata.

Nonostante gli sforzi fatti per provare a formare un terzo governo Conte, l’impresa si è rivelata impossibile, ed il presidente della Repubblica è stato chiamato a svolgere il proprio ruolo di arbitro. È stato infatti lo stesso Sergio Mattarella infatti a sottolineare l’importanza dell’esercizio democratico del voto che tuttavia, a suo dire, non era tra le opzioni disponibili.

In un Paese democratico però, in un Paese in cui “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” non ci si aspetta che la chiara volontà espressa dal popolo con l’esercizio del voto venga totalmente ignorata, e che il Capo dello Stato assegni l’incarico per la formazione del nuovo governo alla figura in assoluto più distante dalla linea indicata nel programma del partito che ha vinto le elezioni.

Dopodiché fa specie notare come non solo il presidente della Repubblica abbia compiuto questa scelta, ma anche come tutti i partiti politici con la sola eccezione di Fratelli d’Italia, abbiano deciso di appoggiare il nuovo esecutivo, ignorando anch’essi il verdetto popolare come se questo non avesse, e di fatto evidentemente non ha, alcun valore.

Il paradosso è costituito poi dal fatto che mentre il primo ed il secondo governo Conte potevano contare su una maggioranza piuttosto risicata, il nuovo esecutivo, che di certo non è espressione del volere popolare, possa godere di una tale maggioranza che di fatto cessa di esistere anche quella parvenza di dibattito democratico reso possibile dall’esistenza di una opposizione.

Il ruolo di Fratelli d’Italia quindi non sembra tanto quello di garantire il contraddittorio in Parlamento, visto e considerato che coi numeri di cui dispone, quali che siano le sue posizioni saranno del tutto ininfluenti, bensì quello di interpretare un ruolo, prestandosi al conseguimento del solo obiettivo di salvare la forma, come a dimostrare che ‘non è vero che non esiste più alcuna opposizione’.

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