Ancora nessuna svolta per il presidente del Consiglio, che sta avendo evidentemente più difficoltà del previsto nella sua ricerca dei “responsabili”. Una situazione che invece di sbrogliarsi sembra più che altro complicarsi per Giuseppe Conte, con l’inchiesta per associazione a delinquere aggravata da metodo mafioso in cui è incappato il leader dell’Udc, che di fatto lascia i negoziatori pro premier senza interlocutore.
Un problema di numeri che non tende a risolversi, quello con cui si trova alle prese il presidente del Consiglio. Servono almeno altri 10 senatori, ma al momento non ne è stato trovato neppure uno ed il tempo non gioca certo a favore dell’avvocato del ‘popolo’.
Obiettivo 170 sempre più irraggiungibile
Al Senato il premier ha ottenuto una fiducia estremamente risicata, con 156 voti a favore e 140 contrari, per pura grazia di Italia Viva che evidentemente ha ritenuto non fosse ancora il momento di affondare il colpo e gettare lo scompiglio con un’aula spaccata a metà come una mela.
Ad indicare con maggior precisione il traguardo da raggiungere è lo stesso piddino Dario Franceschini, che posiziona l’asticella intorno a quota 170. Sarebbe quella la soglia necessaria per avere al Senato una maggioranza solida come piacerebbe al Presidente della Repubblica, ma vista la situazione ci si accontenterebbe anche di qualcosina meno, tipo 3 o 4 senatori in meno.
Insomma se non saranno 170 che siano almeno una decina in più dei 156 che hanno votato sì martedì, ma il problema è che di quei 10 Conte ne ha trovati ancora zero. Il tempo stringe, si sa, e nel frattempo invece di sbrogliarsi, la situazione si è ulteriormente complicata dopo l’indagine che ha preso in pieno il leader dell’Udc, Lorenzo Cesa.
La trattativa con l’Udc e il problema del simbolo
L’indagine ai danni di Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, è stata per il presidente del Consiglio quella che si definisce una doccia fredda. Ma perché questo imprevisto rischia di far arenare definitivamente un progetto che di fatto non è mai realmente partito? Tanto per cominciare c’è il problema del simbolo, perché da regolamento è indispensabile per costituire un nuovo gruppo parlamentare.
È stato infatti grazie al simbolo del nuovo Psi che Renzi ha potuto formare il gruppo di Italia Viva, e serve un altro simbolo presente in Parlamento per formare il gruppo dei “responsabili”. Questo simbolo era stato individuato nell’Udc di cui troviamo al Senato tre esponenti: De Poli, Saccone e Binetti.
Ottenendo l’appoggio a Conte da parte degli esponenti dell’Udc infatti, non solo il premier avrebbe già racimolato tre voti preziosi, ma si sarebbe assicurato il simbolo necessario per formare il gruppo dei “costruttori” o “responsabili” che dir si voglia, nel quale far confluire gli altri senatori disponibili a voltare le spalle al proprio elettorato.
Cesa indagato per “associazione a delinquere aggravata da metodo mafioso”
Una trattativa con l’Udc però, all’indomani dell’apertura dell’inchiesta ai danni di Lorenzo Cesa, è diventata la trattativa con un partito il cui segretario è indagato per associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso. Non esattamente il tipo di interlocutore che il Movimento 5 Stelle vorrebbe avere.
Non che sia rimasto molto dell’elettorato 5 Stelle, ma evidentemente qualcuno vuole salvare quel poco che resta, e di trattare con l’Udc non ne vuole proprio sapere, o almeno questo lascerebbero pensare le parole di nomi noti in ambiente grillino, come Di Maio e Di Battista.
“Il problema è che noi con Cesa trattavamo, così viene a mancare un interlocutore politico, ora con chi si parla” è la domanda che si pongono dalla maggioranza in crisi. Per i 5 Stelle la trattativa con l’Udc non s’ha da fare “a tutto c’è un limite” dicono “ma tu pensi che l’ala nostra più barricadera ingoierebbe tranquillamente un governo con un partito il cui segretario è indagato per rapporti con la ‘ndrangheta? Va bene che stiamo ingoiando tutto, ma siamo pur sempre grillini. Ce lo vedi Lannutti a votare fiducia?”.
In effetti il discorso non fa una grinza, suonerebbe strano che il Movimento 5 Stelle accetti di trattare con un partito il cui segretario risulta indagato per rapporti con la mafia, mentre altrettanto normale sembra si debba ritenere che a farlo sia un qualsiasi altro partito.
Comunque sia anche Alessandro Di Battista conferma che per il M5s si tratterebbe di un rospo troppo grosso da ingoiare, e taglia corto: “con chi è sotto indagine per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta di ‘ndrangheta non si parla. Punto”.
Così pure Luigi Di Maio, che spiega: “mai il M5s potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi. Il consolidamento del governo non potrà avvenire a scapito della questione morale”. Secondo alcuni però il leader partenopeo si riferiva solo a Cesa e non invece all’intero partito dell’Udc, e in questo caso non tutto sarebbe perduto, a parte gli ultimi brandelli di dignità.
Crisi di governo: non resta che tornare con Renzi o al voto
La situazione quindi invece di migliorare è persino peggiorata, ma qualche speranza resta ancora, per Conte se non altro. Se ad esempio a lasciare Forza Italia fosse anche qualche altro senatore, o se quei renziani che hanno già dichiarato di non essere in ogni caso disposti a sfiduciare Conte, decidessero di lasciare Italia Viva.
Si ritiene infatti che segnali di questo tipo potrebbero innescare una sorta di reazione a catena che porterebbe altri parlamentari a confluire in una nuova formazione politica. Resta il problema del simbolo, ma sarebbe già qualcosa in termini di numeri, mentre al momento è tutto completamente fermo come un veliero bloccato dalla bonaccia in mare aperto.
Toccherà trattare con Italia Viva allora, ed in tal senso il premier qualche passettino lo ha già mosso, rinunciando alla delega ai servizi segreti, che è stata lasciata ad un suo uomo di fiducia, Pietro Benassi.
Ma soprattutto sembra che il Recovery Plan sia tornato sul tavolo per far ripartire il dialogo, per intervenire con modifiche, per migliorarlo insieme ai sindacati, alle Regioni, alle imprese e agli enti locali. E Matteo Renzi conferma: “siamo ancora in tempo per fermarci e tornare a confrontarci”.
Il “mai più con Renzi” di un paio di giorni fa sta svanendo, ora che l’alternativa sembra essere quella della fine della legislatura e del ritorno alle urne. Prospettiva che non piace a nessuno di quei parlamentari che in Aula non rimetteranno più piede, e sono tanti. Tanti cioè ad essere “responsabili”, e pronti a sacrificarsi per il bene del Paese s’intende.
Nel forte senso di ‘responsabilità’ dei vari senatori ci contano in tanti, anche nel M5s “alla fine si tornerà con Renzi, vedrai, e noi dovremo ingoiarcela perché nessuno vuole rischiare le urne”. Ed è proprio così che potrebbe andare a finire tra qualche giorno.
Non manca molto al prossimo checkpoint, visto che la settimana prossima, il 27 gennaio per l’esattezza, si voterà al Senato sulle comunicazioni del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, occasione in cui, se qualcosa non cambia, la maggioranza rischia seriamente di andare sotto.
Questo contenuto non deve essere considerato un consiglio di investimento.
Non offriamo alcun tipo di consulenza finanziaria. L’articolo ha uno scopo soltanto informativo e alcuni contenuti sono Comunicati Stampa
scritti direttamente dai nostri Clienti.
I lettori sono tenuti pertanto a effettuare le proprie ricerche per verificare l’aggiornamento dei dati.
Questo sito NON è responsabile, direttamente o indirettamente, per qualsivoglia danno o perdita, reale o presunta,
causata dall'utilizzo di qualunque contenuto o servizio menzionato sul sito https://www.borsainside.com.