Sembra che la caccia ai responsabili abbia già prodotto i suoi frutti, anche se dei nomi di chi sosterrà il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si sa molto poco. A Palazzo Chigi però si respira un’aria piuttosto tranquilla, anche se di certezze ce ne sono poche, eccetto forse il fatto che Renzi è definitivamente tagliato fuori dalla maggioranza.
Un Matteo Renzi all’opposizione insomma è l’unico elemento certo di questa crisi di governo, almeno per ora. “È escluso il ritorno con Renzi” ha detto chiaro e tondo il primo ministro, che nelle conversazioni con Bettini e con Travaglio pare sostenere, stando a quanto riportato da Il Messaggero, di avere già i numeri per superare l’esame di Palazzo Madama di martedì.
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, non può che sentirsi sollevato dal fatto che Conte si mostri così convinto di aver ‘risolto il problema’ della maggioranza al Senato, ma non guasterebbe saperne di più sui nomi e sui numeri che dovrebbero fare la differenza tra un paio di giorni.
Nel frattempo in vista del nuovo esecutivo guidato da Giuseppe Conte, Zingaretti inizia a mettere in chiaro alcune richieste, a cominciare dalla necessità di un “cambio di passo” del governo che verrà, rispetto a quello precedente.
Insomma una volta che il Senato avrà dato il suo appoggio all’attuale premier il Pd si aspetta che Conte dia seguito alla discontinuità sollecitata dai dem in più occasioni e chiesta anche dai gruppi parlamentari.
Non sarà accettabile, per il segretario dem, che il nuovo esecutivo sia in fin dei conti una riedizione del Conte bis, con stesso programma e giusto qualche ritocco nella squadra di governo. Il Partito Democratico, secondo quanto riportato da Il Messaggero, chiede a Conte “maggiore velocità nell’azione di governo” puntando “alla delega sull’attuazione del Next Generation Eu”. Questo dovrebbe permettere ai dem di “mettere finalmente un piede a Palazzo Chigi”.
Alcuni possibili sviluppi di questa crisi però non permettono né ai dem né ai 5 Stelle di dormire sonni tranquilli. A preoccupare un po’ è la nascita dei gruppi per Conte (Maie Italia 2023) che potrebbe tradursi nella creazione di un vero e proprio partito del premier.
Per il Pd però l’importante, almeno per il momento, è superare lo scoglio di martedì a Palazzo Madama. L’eventuale nascita di un partito del premier preoccupa forse più i 5 Stelle che i dem, con Alessandro Di Battista che via social ‘fa il tifo’ per Conte ma augurandosi “che stia dentro il M5s”.
La decisione di Italia Viva dell’astensione al Senato
Ma come siamo messi coi numeri? Dal Partito Democratico sembrano voler celare i timori. “I numeri? Chiedete a Palazzo Chigi” dicono dal Nazareno, intanto arriva la notizia che Italia Viva si asterrà al Senato, mossa con la quale Matteo Renzi intende ricompattare i suoi, riducendo il rischio di voti a favore di Conte proprio da parte dei senatori renziani.
Una strategia che apre infatti uno spiraglio, spiegato dal costituzionalista Stefano Ceccanti. “Il governo di maggioranza relativa sarebbe costituzionalmente legittimo” dice, ma il punto è che bisogna anche fare i conti con il presidente della Repubblica, che sull’importanza di una maggioranza stabile e non arrangiata è stato molto chiaro.
Se Italia Viva si astiene infatti a Conte potrebbero bastare 152-155 voti per superare l’esame del Senato, e potrebbe lavorare per allargare la maggioranza con più calma nei giorni successivi, eppure non solo sarebbe uno scenario che non piacerebbe a Sergio Mattarella, ma preoccupa il Pd anche per i problemi che questo potrebbe far sorgere nelle commissioni parlamentari.
Le trattative coi responsabili
Clemente Mastella il concetto lo esprime in modo abbastanza chiaro: “nessuno pensi di recuperare il dialogo con Iv alle spalle dei responsabili”, che potrebbe essere tradotto con un ancor più diretto “prima ci date le poltrone e poi arriveranno i voti” come fa notare Il Messaggero.
Giuseppe Conte infatti si troverebbe in pratica a concedere ai cosiddetti responsabili quello che si era rifiutato di dare ad Italia Viva. Il premier si troverebbe quindi a rassegnare le dimissioni per scrivere un nuovo patto di governo e comporre una nuova squadra con ministeri per i centristi di Cesa, i socialisti di Nencini e per quelli che, come alcuni esodati 5 Stelle, decideranno di tornare all’ovile.
Lo scenario descritto dal noto quotidiano è quello in cui Conte supera anche se di poco l’esame del Senato, per poi dimettersi, ricevere quindi un nuovo incarico e comporre un nuovo esecutivo nel quale al posto di Italia Viva ci sarebbe il gruppo dei responsabili. In alternativa Conte potrebbe “comporre il ter, senza Iv, dopo il voto alla Camera”.
Le trattative sono tutt’altro che finite, andranno avanti anzi per tutto il fine settimana se non fino all’ultimo momento utile. Tutto dipende da quali ostacoli si frapporranno sul cammino del premier verso la sua nuova maggioranza, e tra questi sembra esserci ancora una volta il tema del Mes, con alcuni esponenti del M5s che colgono l’occasione per chiedere maggiore chiarezza.
Il no al Mes deve essere messo nero su bianco nel programma del nascente esecutivo, ammesso che ci si arrivi. Ci sono almeno cinque senatori grillini che avanzano questa richiesta, ma non solo, chiedono infatti di “valutare il sostegno ad un nuovo governo insieme a forze conservatrici, in qualunque forma esse si presentino”.
Probabilmente queste posizioni finiranno col rientrare, anche perché nel M5s sono rimasti ben pochi esponenti ancora fedeli al programma con cui si sono presentati alle elezioni del 2018. La maggior parte dei grillini che non intendevano voltare le spalle ai propri elettori, o sono stati espulsi o se hanno lasciato il Movimento.
Quanto alle forze di opposizione, bisogna se non altro riconoscere la loro coesione, mentre il centrosinistra, in cui ormai possiamo serenamente collocare anche il M5s, ha mostrato e continua a mostrare enormi spaccature, di cui Italia Viva è la massima espressione.
Matteo Salvini comunque non sembra nemmeno più tanto convinto di volere elezioni anticipate. Secondo il leader leghista il presidente del Consiglio non ha ancora i numeri, eppure non spinge più che tanto perché sia ridata la parola al popolo.
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