L’annuncio del raggiungimento di un accordo commerciale sulla Brexit è stato dato nel pomeriggio di giovedì, e dalle prime dichiarazioni rilasciate nel corso della conferenza stampa congiunta, si è cercato di capire chi alla fine avrebbe tratto maggior vantaggio dalle condizioni dell’accordo.

Chi è quindi il vincitore, Londra o Bruxelles? Quando Boris Johnson ed Ursula von der Leyen hanno annunciato di aver trovato un accordo sui futuri rapporti commerciali tra i due Paesi, è stato piuttosto facile notare che le dichiarazioni non sono state rilasciate con il medesimo entusiasmo, e questo già lascerebbe pensare che il livello di soddisfazione per l’esito delle trattative differisca alquanto.

È apparsa alquanto evidente la differenza dei toni usati dal primo ministro britannico e dalla presidente della Commissione Ue, infatti mentre il primo si è mostrato piuttosto entusiasta nell’annunciare il raggiungimento dell’accordo, parlando di “catarsi politica” per il Regno Unito, la seconda non ha dato affatto la stessa impressione.

Brexit: l’accordo commerciale è una vittoria per il Regno Unito?

Di certo non è facile stabilire se e quanto una delle due parti sia risultata “vincitrice” nell’ambito delle trattative sulla Brexit. I negoziati si sono protratti per molto più tempo del previsto, e su alcuni punti, come la pesca, si sono risolti con compromessi piuttosto complicati e tecnici, quindi trarre le conclusioni non è così semplice.

Sulle questioni più discusse, che sembravano lasciare quello del no deal come unico scenario possibile, ad avere la meglio sembra essere stato il Regno Unito. Quali sono però questi nodi critici su cui le trattative sono rimaste arenate per mesi? Sono sostanzialmente tre.

  • il Level Playing field, vale a dire le regole per impedire che nel medio-termine le imprese britanniche possano fare concorrenza sleale a quelle europee
  • il meccanismo di risoluzione delle controversie
  • la pesca, quindi la questione dell’accesso dei pescatori dell’Ue alle acque territoriali britanniche.

Cosa prevede l’accordo commerciale sulla pesca?

Per quel che riguarda quello che probabilmente è il tema più discusso nell’ambito dell’accordo commerciale tra Ue e Regno Unito, non c’è stato un vero vincitore. Su questo nodo si giocava una partita di grande rilevanza non tanto economica quanto politica e simbolica, non solo per la Gran Bretagna ma anche per altri Paesi direttamente interessati, come Francia, Danimarca e Paesi Bassi.

Per certi versi l’accordo raggiunto sulle pesca sembra essere più vicino alle richieste di Bruxelles, ma non le accontenta del tutto. L’accordo prevede che per i prossimi cinque anni e mezzo vi sia una riduzione del 25 per cento del pesce pescato dalle imbarcazioni europee nelle acque britanniche.

Secondo quanto riportato dalla BBC, i funzionari britannici coinvolti nei negoziati avevano inizialmente chiesto una riduzione del pescato dell’80 per cento, quindi ben distante dal 25 per cento cui si è approdati alla fine. Tra l’altro Londra fissava il termine temporale a tre anni, ma alla fine si è arrivati a cinque e mezzo, più di quanto proponeva la Gran Bretagna, ma meno di quanto proponeva l’Unione Europea.

Per quel che riguarda la percentuale di pescato, l’Ue chiedeva una riduzione del 18 per cento, dunque il 25 è piuttosto vicino a quanto voleva Bruxelles. E al termine dei 5 anni e mezzo? Londra tornerà ad avere il pieno controllo delle sue acque territoriali, e l’accesso delle imbarcazioni battenti bandiera dei Paesi dell’Ue sarà regolato da futuri negoziati.

Boris Johnson ha comunque presentato l’accordo sulla pesca nell’ambito della Brexit come una vittoria della diplomazia britannica, ed ha infatti dichiarato che con questo accordo il Regno Unito, per la prima volta dal 1973, sarà “uno Stato costiero indipendente con il pieno controllo delle nostre acque di pesca”.

Il level playing field

Su questo secondo punto su cui le trattative erano rimaste bloccate per mesi, le due parti hanno raggiunto un accordo su un livello minimo di standard ambientale, sociale e sui diritti dei lavoratori.

Sono state quindi fissate in tali ambiti delle soglie al di sotto delle quali nessuna delle due parti dovrà scendere. La richiesta era stata espressa molto chiaramento dall’Ue, al fine di evitare che la Gran Bretagna facesse concorrenza sleale alle imprese dell’Unione Europea.

Sempre nell’ambito di questo punto si è molto dibattuto deglla questione degli aiuti di Stato, riguardo ai quali alla fine il governo di Londra ha accettato di attenersi alle regole comuni, che prevedono valutazioni da parte di un’agenzia indipendente.

È utile osservare però come la Gran Bretagna possa comunque garantire il rispetto di questi standard anche senza seguire la legge europea, stabilendo invece delle proprie norme. Potrà eventualmente valutare lo sviluppo di un sistema preposto a intervenire solo dopo il verificarsi di episodi di concorrenza sleale, a differenza dell’attuale sistema in vigore nell’Ue, che prevede una valutazione dell’impatto delle sovvenzioni prima della loro erogazione.

Un punto su cui, ad ogni modo, pare che Bruxelles abbia ottenuto da Londra le necessarie rassicurazioni al fine di scongiurare il rischio della concorrenza sleale, nonostante il Regno Unito possa, come accennato, sviluppare un proprio sistema di garanzie lontano dalle leggi dell’Ue, proprio come chiesto dai sostenitori della Brexit.

Il nodo della risoluzione delle controversie

Questo punto serve a stabilire in che modo si andrà ad intervenire qualora una delle due parti dovesse violare i termini dell’accordo. Un nodo intricato e delicato da sciogliere, ma una soluzione alla fine pare sia stata trovata in qualche modo, stabilendo la possibilità di attivare un meccanismo che potrebbe portare all’imposizione di dazi su alcuni beni.

La soluzione consiste di una “clausola di equilibrio” piuttosto rigida. “Molto più rigorosa di misure simili adottate in altri recenti accordi commerciali firmati dall’Unione Europea” secondo quanto spiega Il Post, sottolineando poi che si tratta di un’altra richiesta centrale avanzata dai negoziatori dell’Ue.

Tuttavia la Gran Bretagna ha avuto la meglio su un altro aspetto della trattativa, imponendo l’intervento di un arbitrato indipendente in caso di controversie. In questo modo ha evitato che fosse la Corte di Giustizia dell’Ue ad entrare in gioco con un ruolo diretto nel rispetto dell’accordo commerciale, come invece avrebbe voluto Bruxelles.

Su questo punto Londra aveva tracciato una sorta di “linea rossa” invalicabile, ed alla fine ha avuto la meglio. Ciò non toglie però che la Corte di Giustizia continuerà ad essere la massima autorità legale per alcune controversie che riguarderanno l’Irlanda del Nord, territorio che rimarrà soggetto alle norme del mercato unico dell’Ue e dell’unione doganale.

Cosa cambia con la Brexit?

Sono passati 4 anni e mezzo da quando il popolo britannico con il referendum si è espresso favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, e ci è voluto un anno intero di negoziati con Bruxelles per giungere finalmente ad un accordo commerciale condiviso dalle due parti, ma cosa dice questo accordo alla fine dei conti?

Il raggiungimento dell’accordo di libero scambio tra Londra e Bruxelles mette fine all’incubo del no deal, possibilità che era diventata quanto mai tangibile a pochi giorni dall’esito che ormai conosciamo, e che avrebbe significato caos doganale, guerra dei dazi, conseguenze sulla stretta cooperazione tra il Regno Unito e l’Ue in settori cruciali come quello della sicurezza o della ricerca scientifica.

Vediamo anche qualche cifra, per capire meglio di cosa si tratta. L’accordo tra UK e EU vale 668 miliardi di sterline, cifra che in euro naturalmente è ancora più alta. Stiamo parlando quindi del più grande trattato di libero scambio mai concepito al mondo ed è al contempo il primo patto bilaterale del genere “a zero dazi e zero quote”.

Ma cosa succederà ora, e quali saranno le prossime tappe? Insomma quello che dobbiamo capire adesso è in che modo questo accordo commerciale cambierà i rapporti tra Regno Unito ed Unione Europea, ed in che modo ciò si ripercuoterà sulle vite dei cittadini nei vari ambiti.

Prima di tutto una data, quella del 1° gennaio, che segna l’entrata in vigore dell’accordo tra Londra e Bruxelles. È quella la data della scadenza del periodo di transizione di un anno e dell’uscita a tutti gli effetti del Regno Unito dall’Ue.

Cosa cambia con la Brexit per l’Erasmus

Dal momento che dal 1° gennaio il Regno Unito non farà più parte dell’Ue ed a regolare i rapporti commerciali sarà l’accordo raggiunto nei giorni scorsi, il Paese sarà ufficialmente fuori dal programma Erasmus.

Nel Regno Unito ad oggi ci sono 150 mila studenti europei, e con l’entrata in vigore delle nuove norme saranno probabilmente costretti ad iscriversi alle varie università britanniche che peraltro non sono esattamente tra le più economiche, per fare la stessa esperienza che prima si svolgeva nel contesto del programma Erasmus appunto.

Non cambia nulla però per quei giovani che si trovano in Gran Bretagna per motivi di studio da prima dell’entrata in vigore dell’accordo commerciale. Questo significa che chi vi si trova nel contesto dell’Erasmus potrà portare a termine la propria esperienza, che però non sarà tra le opzioni degli studenti europei a partire dal 1° gennaio 2021.

La domanda che ci si pone quindi è se per gli studenti europei, ma anche per gli studenti britannici, ci saranno altre occasioni simili a quella finora rappresentata dall’Erasmus. Il premier Boris Johnson ha già promesso a tal proposito il lancio di Alan Turing, il nuovo programma mondiale che rimpiazzerà appunto il programma Erasmus.

Tutele per i cittadini dell’Ue e trasporti, cosa cambia dal 1° gennaio 2021

I termini dell’accordo sul tema della sicurezza sociale gettano le basi per un coordinamento volto a garantire una serie di diritti per i cittadini dell’Ue che lavorano, viaggiano o si trasferiscono in Gran Bretagna, così come ai cittadini britannici che lavorano, viaggiano o si trasferiscono in uno dei Paesi dell’Ue a partire dal 1° gennaio 2021.

Per quel che riguarda i trasporti, dall’1 gennaio in base all’accordo commerciale raggiunto tra le due parti, vi sarà una connettività aerea, stradale, ferroviaria e marittima continua e sostenibile, ma l’accesso al mercato con l’arrivo del nuovo anno offrirà opportunità inferiori rispetto a quelle che offriva prima del divorzio.

Sarà inoltre garantita la concorrenza tra gli operatori dell’Ue e quelli della Gran Bretagna, anche per non compromettere i diritti dei passeggeri, così come quelli dei lavoratori ma anche la sicurezza dei trasporti.

Cosa cambia su turismo e immigrazione

La data del 1° gennaio 2021 segna un nuovo protocollo da seguire nell’ambito delle politiche sull’immigrazione nel Regno Unito. Ora infatti è previsto che chi arriva per lavoro dovrà essere in possesso di un visto che si può ottenere solo se si ha un’offerta di impiego per un’assunzione con un salario di almeno 25.600 sterline, pari a circa 28.000 euro.

Per chi è in possesso di un dottorato di ricerca sono poi previste alcune agevolazioni, mentre sarò più difficile entrare per cercare lavori come cameriere oppure commesso. Per i turisti non servirà alcun visto, ma dovranno esibire il passaporto per entrare in Gran Bretagna e non vi potranno restare per un periodo superiore ai tre mesi.

Per i controlli il governo di Londra schiererà un maggior numero di agenti. Il Corriere della Sera spiega che saranno 1.100 i funzionari che andranno a rinfoltire l’organico alle dogane a all’immigrazione. Maggiori controlli al confine però comporteranno probabilmente dei rallentamenti e si teme che a partire da gennaio migliaia di camion resteranno bloccati sulle autostrade in direzione dei porti.

Cosa cambia per import-export

L’accordo commerciale raggiunto tra Regno Unito ed Unione Europea non prevede nuovi dazi, infatti tutte le merci che rispettano le regole di origine appropriate avranno zero tariffe e zero quote.

Per quel che riguarda l’importazione di prodotti da altri Paesi dell’Ue, non vi saranno norme che possano in qualche modo ostacolare gli scambi. Questo significa ad esempio che in particolare per quel che riguarda l’importazione in Gran Bretagna di prodotti italiani quali vini e prosecco, un mercato che vale per il nostro Paese qualcosa come 700 milioni di euro l’anno, gli scambi potranno tornare a crescere.

Le esportazioni di queste eccellenze italiane nel Regno Unito hanno vissuto un periodo di forte crescita negli ultimi 10 anni, per un incremento del 48 per cento complessivamente.

Cosa cambia all’indomani dell’accordo commerciale nei vari campi, dall’energia alla pesca

Per quanto riguarda l’energia, l’accordo prevede un nuovo modello di scambio e di interconnettività in grado di garantire concorrenza aperta e leale, che comprende anche gli standard di sicurezza per l’offshore e la produzione di energie rinnovabili.

Quanto al delicato nodo della pesca su cui tanto difficile è risultato giungere ad un punto comune, ci sarà una riduzione del pescato di circa un quarto per le barche che non battono bandiera britannica nelle acque territoriali di Londra. Questo limite però sarà in vigore solo per cinque anni, dopodiché il Regno Unito recupererà la totale sovranità sulle proprie acque territoriali. 

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