C’è grande attesa per il voto che la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica sono chiamati ad esprimere sulla spinosa questione della riforma del Mes. Il risultato della votazione in Parlamento non solo è di grande importanza per il contenuto della stessa, ma anche per le ripercussioni sulla tenuta dell’esecutivo che avrebbe nel caso in cui a prevalere sia il fronte del No.
Secondo alcuni osservatori infatti il voto sulla riforma del Mes rischia di mettere seriamente in difficoltà il secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte. La data del voto è quella di domani, mercoledì 9 dicembre, quando il presidente del Consiglio si presenterà in Aula per le comunicazioni relative alla prossima riunione del Consiglio Europeo.
Il Consiglio europeo, che comprende i Capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri, si riunirà il 10 dicembre, dopodiché il giorno seguente si terrà anche il vertice euro, che comprende invece solo i Paesi dell’Eurozona.
E sarà con quest’ultima riunione che si dovrebbe giungere all’approvazione della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), quell’istituzione che almeno in linea teorica dovrebbe essere in grado di garantire una maggiore stabilità economica dell’intera area Euro, tenendo al riparo i Paesi membri da crisi economiche di varia natura.
Il Movimento 5 Stelle in particolare, ma anche la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia si sono sempre mostrati particolarmente scettici rispetto al Mes, tant’è che lo “smantellamento del Mes” faceva parte del programma del M5s.
Infatti la riforma del Mes è in corso di discussione già dal 2018, e fu proprio il primo governo Conte, sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, a bloccare il suo iter per buona parte del 2019.
Nel Movimento 5 Stelle però qualcosa è cambiato ed ora vi sono forti tensioni al suo interno proprio sulla questione del Mes. Si individuano ormai due correnti ben distinte e contrapposte, un’ala che qualcuno definisce moderata, che alla realtà dei fatti è quella che si sente perfettamente a proprio agio a fare carta straccia del programma e degli impegni presi con il proprio elettorato.
Questa ala ‘moderata’ è tendenzialmente favorevole al Mes, mentre l’altra ala, quella cosiddetta ‘radicale’ che ancora cerca di tenere in piedi quello che resta dei valori fondanti del Movimento 5 Stelle, è contraria al Mes e non intende votare a favore della riforma.
Il timore della maggioranza, tolta naturalmente l’ala ‘radicale’ del Movimento 5 Stelle, è che la suddetta ala ‘radicale’ abbia i numeri specialmente al Senato per respingere la comunicazione del presidente del Consiglio Conte.
Secondo alcuni osservatori è molto probabile che un simile esito della votazione di domani possa avere lo stesso valore di una mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo. Altri però ritengono che questo scenario non è realistico e che il governo non avrà difficoltà a raggiungere i numeri che servono per far passare la votazione.
Riforma del Mes: su cosa si vota il 9 dicembre?
Quello che è fondamentale chiarire è che domani 9 dicembre il Parlamento non vota per usare o non usare i fondi del Mes, ma si limiterà ad approvare oppure a respingere le comunicazioni del presidente del Consiglio Conte.
Il premier infatti si presenterà in Aula per esporre le ragioni in forza delle quali il governo italiano, in occasione del prossimo vertice euro, approverà la riforma del Mes. Non si tratta quindi di un voto sull’approvazione definitiva del cosiddetto fondo salva-Stati, che invece si terrà nei prossimi mesi nei Parlamenti dei Paesi coinvolti nel progetto, dopo l’approvazione della riforma da parte delle istituzioni europee.
Il voto del Parlamento inoltre, è importante chiarirlo, non indicherà l’intenzione del governo di accedere alle risorse messe in campo con il Mes, ma è comunque un ulteriore passo in quella direzione.
Ma in cosa consiste la riforma del Mes di cui tanto si parla e che potrebbe mettere a rischio la tenuta del governo? I cambiamenti che dovrebbe apportare al Mes sono sostanzialmente due.
In primo luogo mira ad introdurre un Fondo di risoluzione unico che dovrebbe avere la funzione di aiutare le banche private europee con una disponibilità di 55 miliardi di euro.
In secondo luogo introduce l’obbligo da parte del Paese che chiede di accedere alla linea di credito del Mes di emettere particolari titoli di Stato, i cosiddetti “single limb CAC” attraverso i quali i creditori potranno ristrutturare il debito, operazione che comporta una riduzione del suo importo, con un solo voto invece che passando per procedure più complesse previste per altre tipologie di titoli di Stato.
Questo in estrema sintesi comporta due cambiamenti, uno apparentemente positivo uno decisamente no. Il primo cambiamento sarebbe che un Paese in difficoltà potrebbe restituire importi minori rispetto a quelli che dovrebbe ai suoi creditori.
Il secondo cambiamento, come accennato, non promette nulla di buono. In pratica il timore diffuso è che sapendo di questa possibilità i creditori finiscano per chiedere interessi più alti ai Paesi che vengono percepiti come meno affidabili, e tra questi è facile immaginare che si possa collocare l’Italia.
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