Le accuse del presidente uscente, Donald Trump, riguardanti possibili brogli elettorali sono state seguite da azioni concrete. Infatti, come aveva preannunciato, il tycoon sta agendo per vie legali per contestare i risultati delle elezioni presidenziali che stando alla situazione attuale consegnerebbero il Paese alla guida dello sfidante democratico Joe Biden.
La battaglia legale per il riconteggio dei voti è appena iniziata, con il team legale che ha avviato una denuncia in Pennsylvania, sostenendo che città come Philadelfia e Pittsburgh sono state interessate da brogli. I legali di Trump hanno pertanto chiesto una ingiunzione di emergenza con la quale si mira ad impedire ai funzionari statali di certificare la vittoria di Biden nello Stato.
L’inizio della battaglia legale intrapresa dal presidente degli Stati Uniti è segnato anche dal via libera arrivato dal procuratore generale degli Stati Uniti, William Barr, il quale ha autorizzato i pubblici ministeri federali ad avviare le indagini circa le presunte irregolarità nelle operazioni di voto.
William Barr ha già spiegato che il via libera alle indagini non significa di per sé che vi siano già delle prove a sostegno di quanto il presidente uscente afferma da giorni, ma ha comunque sollevato i pubblici ministeri dalle restrizioni previste per indagini di questo tipo.
Infatti le indagini che riguardano i brogli elettorali sono generalmente di competenza dei singoli Stati, i quali non solo stabiliscono le proprie regole elettorali ma hanno anche il compito di verificare che siano rispettate.
Fino a questo momento il Dipartimento di Giustizia ha sempre adottato una politica diversa, evitando qualsiasi coinvolgimento federale fino a quando i conteggi dei voti non siano stati certificati e siano stati ultimati i riconteggi.
In risposta alla decisione del procuratore generale Barr, Richard Pilger, alto funzionario del Dipartimento di Giustizia, responsabile proprio delle indagini sui brogli elettorali ha presentato le sue dimissioni. Il funzionario del dipartimento contesta a Barr di esser venuto meno alla “linea politica di non interferenza” che aveva retto per quarant’anni.
Il procuratore generale William Barr ha però illustrato le sue ragioni spiegando che “trattandosi di pratiche che non sono mai veloci” se viene fuori qualche elemento che potrebbe invertire i risultati delle elezioni presidenziali è necessario aprire un’indagine.
La battaglia legale di Donald Trump però non riguarderà solo lo Stato della Pennsylvania, ma anche altri Stati chiave come la Georgia, il Nevada e l’Arizona, dove Biden risulta vincitore con un margine piuttosto ristretto.
I Rapubblicani sono dalla parte di Trump con rare eccezioni
Le azioni legali intraprese non hanno ancora prodotto risultati e per quanto sia del tutto normale visto che occorre il tempo materiale per portare avanti le indagini necessarie, bisogna sottolineare che anche in caso di successo, come sottolinea La Stampa “non è detto che questo basterebbe per rivendicare la vittoria”.
Nel frattempo il Gop (Grand Old Party) cioè il partito Repubblicano, continua a sostenere Donald Trump in larghissima parte con solo alcune eccezioni. Solo tre senatori repubblicani infatti hanno voltato le spalle al presidente uscente, Mitt Romney, Lisa Murkowski e Susan Collins che si è anche congratulata con Joe Biden per il risultato ottenuto.
La Collins ha fatto le “congratulazioni al presidente eletto” e sempre stando a quanto riportato da La Stampa “il suo nome è girato per un suo possibile ingresso nella squadra della futura amministrazione”.
Per il resto il partito è tutto dalla parte di Donald Trump, e di recente, per la prima volta in pubblico, il leader della maggiroanza repubblicana Mitch McConnell ha dichiarato nell’Aula del Congresso che il presidente Trump ha “il pieno diritto di accusare di irregolarità e valutare le sue opzioni legali”.
I mass media censurano le dichiarazioni del presidente Usa
Mitchell McConnell, esponente del partito repubblicano, ha sottolineato un concetto che in un Paese democratico dovrebbe essere ampiamente condiviso, vale a dire il diritto di un cittadino di rivolgere accuse e adire per vie legali per dimostrarne la validità assumendosene la piena responsabilità.
Nel frattempo i mass media, e nello specifico alcune delle più grandi emittenti a stelle e strisce, decidono di censurare le parole del presidente degli Stati Uniti. La conferenza stampa di Donald Trump, che per legge resterà in carica fino al 20 gennaio 2021, è stata infatti oscurata dalla CNBC e da altre emittenti.
Il giornalista della CNBC, dopo aver interrotto il collegamento ha dichiarato candidamente “bene interrompiamo il collegamento perché quello che il presidente sta dicendo è in gran parte assolutamente falso. Ha iniziato e non gli consentiremo di andare avanti, perché sta mentendo. Ha affermato che ci sono voti illegali e che se conteggeranno solo quelli legali vincerebbe facilmente. Se conteggeranno i voti illegali, ‘stanno provando a rubare le elezioni’. Non c’è nessuna evidenza che questo sia vero, nessuna: sono solo parole, nessuna verità”.
Si tratta di un episodio senza precedenti che dovrebbe indurre a serie riflessioni. Le affermazioni del presidente degli Stati Uniti sono chiaramente delle accuse pesanti per le quali si assume le sue responsabilità davanti alla legge e davanti a milioni di cittadini. Se queste accuse sono infondate e risulteranno false saranno gli organi preposti e le istituzioni a stabilirlo attraverso l’iter previsto dalle leggi vigenti, non saranno le emittenti televisive, che si tratti della CNBS, della CNN o della Abc.
La stessa linea infatti è stata adottata anche da altre emittenti televisive statunitensi, come la Msnbc, la Nbc News e la Abc News, che hanno arbitrariamente interrotto il discorso che il presidente degli Stati Uniti stava facendo in diretta alla Nazione.
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