Le probabilità che l’Italia torni in lockdown sembrano essere notevolmente aumentate negli ultimi giorni, con pressioni sempre maggiori all’interno della maggioranza per istituire un’unica zona rossa mettendo da parte la divisione in fasce di rischio stabilita con l’ultimo Dpcm entrato in vigore dal 6 novembre scorso.
L’ipotesi di un lockdown generalizzato non è stata messa da parte in maniera definitiva con l’ultimo decreto firmato dal premier Giuseppe Conte, anzi adesso si riaffaccia con forza e restano solo pochi giorni per sperare che la curva epidemiologica inizi a mostrare qualche segnale positivo, che dimostrerebbe finalmente l’efficacia delle misure restrittive adottate fino ad oggi.
In particolare un miglioramento della curva dei contagi indicherebbe che la divisione in fasce di rischio con regioni in zona gialla, arancione o rossa, ha funzionato. Al momento infatti non vi è alcuna certezza in tal senso e all’interno della maggioranza vi sono esponenti del centrosinistra in particolare poco inclini ad attendere per scoprirlo.
Per le regioni in zona gialla si sta pensando intanto a possibili ulteriori restrizioni, come la chiusura dei ristoranti il sabato e la domenica a pranzo, o la sospensione di altre attività commerciali per le quali nelle zone rosse sono state concesse delle deroghe.
Conte: “non possiamo mettere in discussione il meccanismo della divisione in zone sull’onda dell’emotività”
Ma sono i ministri Dario Franceschini (Pd) e Roberto Speranza (LeU) a chiedere con forza di ricorrere al lockdown nazionale, mentre il presidente del Consiglio continua ad indicare una strada diversa. “Non possiamo scardinare il meccanismo scientifico delle zone rosse, arancioni e gialle. Dobbiamo aspettare gli effetti delle misure. Ci siamo dati un metodo scientifico e non possiamo metterlo in discussione sull’onda dell’emotività” ha spiegato infatti Giuseppe Conte.
Il governo si è prefissato l’obiettivo di arrivare almeno fino al 15 novembre, e solo allora alla luce dei dati riguardanti l’andamento del contgio, decidere eventualmente di ricorrere al lockdown nazionale.
Prima di domenica infatti sarà di fatto impossibile stabilire se il meccanismo della divisione in fasce che racchiude alcune regioni in zona gialla, arancione e rossa funziona oppure no. La curva epidemiologica però a quel punto dovrà aver mostrato qualche segnale di remissione altrimenti le probabilità che tutte le regioni diventino “zona rossa” sono decisamente alte.
E se così dovesse essere dovrà anche essere rivista la lista dei negozi che in questi giorni hanno beneficiato di deroghe alla chiusura. Occorrerà quindi un nuovo Dpcm con il quale l’esecutivo dopo il confronto con Regioni e Comitato Tecnico Scientifico, imporrà il nuovo lockdown e ciò potrebbe avvenire già dal prossimo fine settimana.
Il termine ultimo per l’inizio della decrescita è il 15 novembre
Ogni giorno il governo riceve un report che descrive l’andamento dell’epidemia sulla base del rapporto tra totale dei tamponi effettuati e numero di tamponi positivi. Il report tiene conto però anche della situazione degli ospedali e soprattutto di quella dei reparti di terapia intensiva, vale a dire quei reparti per i quali il decreto Rilancio aveva previsto un notevole aumento dei posti letto che però non c’è mai stato salvo un paio di eccezioni.
Ed è proprio quello il punto debole dell’intero meccanismo, la saturazione di quegli stessi ospedali che nel corso degli ultimi 20 anni hanno subito continui tagli in nome di un Patto di Stabilità che ora è stato cancellato con un colpo di spugna per essere reintrodotto forse prima o poi.
Mancano i posti letto, manca il personale, e questo significa che anche se la corsa del virus rallentasse da qui al 15 di novembre si rischia di arrivare comunque alla saturazione degli ospedali. Così ora, dopo aver ignorato le disposizioni dell’esecutivo che aveva disposto la creazione di migliaia di posti letto stanziando 1,3 miliardi di euro, le regioni si potrebbero trovare nella necessità di creare dei Covid Hospital in tempi record.
Molto probabile che si debba ricorrere in questo caso ad ospedali anche da campo vista la situazione di emergenza, e nel frattempo la conferma di una deadline fissata al 15 novembre arriva anche dagli analisti dell’intelligence che monitorano ogni situazione di rischio del Paese.
Misure restrittive e benefici, ecco come sta andando
Il nuovo Dpcm che divide l’Italia in fasce di rischio e separa le regioni in gialle, arancioni e rosse è in vigore dal 6 novembre, mentre le mascherine sono obbligatorie in tutti i luoghi chiusi da metà agosto (quasi tre mesi) e anche all’aperto a partire da inizio ottobre (oltre un mese).
Per quel che riguarda l’uso delle mascherine, se diamo un’occhiata alla Spagna, dove sono obbligatorie anche all’aperto già da questa estate, serve proprio il balzo della fede per andare al di là di quello che vediamo. In Spagna infatti il numero dei contagi ha continuato a crescere molto rapidamente nonostante tutto, ma torniamo all’Italia.
Gli esperti spiegano che “la percentuale tra tamponi e positivi segna 17,2%, in rialzo rispetto al 16,1% di ieri, ma in linea con quanto previsto dalle nostre curve da cui si attende un inizio di crescita più debole (ma sempre crescita) entro il 9 novembre. Dal 15 novembre ci potrebbe essere la vera decrescita laddove si verificassero gli effetti benefici degli ultimi Dpcm”.
La crescita dei nuovi positivi almeno fino al 6-8 novembre era stata già prevista il 3 novembre, infatti gli esperti avevano indicato “valori compresi tra 37.000 e 44.100 con un valore mediano di circa 41.000 prima di iniziare una lenta discesa”.
Discesa che però potrebbe non arrivare nonostante le ulteriori restrizioni adottate a partire dal 6 novembre, ed in quel caso la situazione si farebbe pittosto delicata. Gli esperti quindi suggeriscono: “per poter ottenere un più efficace appiattimento della curva globale dei contagi è assolutamente opportuno implementare nuove misure che possano sovrapporsi ai primi effetti positivi dei recenti provvedimenti”.
Tamponi diagnostici e tamponi di conferma, un dato interessante
Non si parla molto di questa distinzione quando si divulgano i dati relativi al numero dei nuovi casi di Coronavirus in Italia, che in realtà non corrisponde effettivamente al numero di ‘nuovi positivi’ ma di ‘tamponi risultati positivi’. Qual è la differenza? In realtà è molto semplice.
Ogni giorno vengono fatti due tipi di tamponi, ci sono i tamponi diagnostici e ci sono i tamponi di conferma. Il dato che ci mostra un 17% di positivi sul totale dei tamponi fatti, comprende infatti entrambi i tamponi, da cui il totale dei 25 mila casi circa registrati nella giornata di ieri 9 novembre ad esempio.
Il numero di 25 mila non corrisponde quindi al totale delle nuove persone risultate positive al virus, in quanto comprende anche persone che erano risultate positive in passato e che hanno eseguito nuovamente il tampone risultando ancora positive.
Questo significa che il totale dei casi positivi che viene divulgato giornalmente in realtà è il totale dei tamponi risultati positivi, e una parte di essi si riferisce allo stesso soggetto sottoposto al tampone più volte e più volte risultato positivo.
Ora però questo dato ci interessa per un’altra ragione, infatti su Il Corriere troviamo in virgolettato quanto affermano gli analisti, che spiegano che “il calcolo della percentuale è eseguito utilizzando il totale dei tamponi (diagnostici + quelli di conferma). Se però lo calcolassimo utilizzando unicamente i test diagnostici (quelli per cui si ottiene il ‘primo positivo’) si avrebbe un valore di circa il 20% che rappresenta una soglia particolarmente critica da non sottovalutare assolutamente”.
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