Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale (FMI) indicano che la situazione economica in cui versa l’Italia all’indomani del lockdown – e delle misure restrittive adottate sia nella cosiddetta fase 2 che nell’ambito di quella che oggi viene definita seconda ondata – sono ben più gravi di quanto indicato dall’esecutivo nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef).
Nel rapporto World Economic Outlook del Fmi si rilevano non solo segni di recessione profondi, ma in particolare una perdita di terreno da parte dell’intera zona Euro nei confronti sia dell’economia statunitense che di quella cinese. Si sta quindi profilando uno scenario che da questo punto di vista riprende quanto accaduto in occasione della recessione di dieci anni fa.
La crisi legata al Coronavirus brucia l’equivalente di 400 milioni di posti di lavoro
Una recessione che naturalmente mostra segni profondi in tutti i Paesi del mondo, seppur con differenze anche molto marcate in alcuni casi. Nel suo World Economic Outlook però il Fondo Monetario Internazionale ricorda le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro, circa la perdita in termini di occupazione.
Rispetto al 2019, nel secondo semestre 2020 sono andati perduti l’equivalente di 400 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nel mondo. La ripresa è al di sotto delle aspettative, rivelandosi parziale pressoché ovunque, mentre si rileva un dato leggermente più incoraggiante che arriva dalla produzione industriale, con un riavvicinamento ai livelli del 2019 nel mese di agosto.
La contrazione economica per il 2020, secondo le stime del Fmi, si aggirerà intorno al 4,4% su scala globale. In questo caso le previsioni fatte sei mesi fa erano persino meno positive, visto che si parlava di un -5,2%. Nonostante ciò continuiamo a trovarci nella più grave crisi economica dal 1945.
Per il 2021 ci si aspetta invece il più e più volte citato rimbalzo, che dovrebbe attestarsi secondo le stime degli esperti del FMI intorno al +5,2%. Una previsione che perà è vincolata all’implicita condizione che il virus non incrementi la portata di quella cui in queste ultime settimane ci si riferisce come ‘seconda ondata’.
Quali effetti produrrà la crisi sull’economia dell’Unione Europea
Alla pandemia da Coronavirus i vari Paesi, anche all’interno della stessa Unione Europea, hanno reagito in maniera diversa non solo in termini di misure di contenimento, ma anche di interventi a sostegno dell’economia per spingere la ripresa.
Le stime dell’Fmi per l’area Euro indicano un calo del Prodotto Interno Lordo di 8,3 punti percentuale, quasi il doppio del calo del Pil che si dovrebbe registrare negli Usa, che potrebbero chiudere il 2020 con un -4,3%.
Tutt’altro risultato quello invece conseguito dalla Cina, che nonostante sia stato il primo Paese ad affrontare il Covid-19, è stata in grado di far ripartire l’economia in modo estremamente rapido, il che gli permetterà addirittura di chiudere il 2020 con un incremento del Pil del +1,8%.
Se ampliamo il quadro agli effetti della crisi legata al Coronavirus sul biennio 2020-2021 osserviamo un arretramento dell’economia europea rispetto agli altri due principali blocchi commerciali e produttivi: Cina e Stati Uniti.
Alla fine del 2021 gli Usa potrebbero riuscire a registrare per l’intero biennio una contrazione del Prodotto Interno Lordo dell’1,2%, mentre per la Cina addirittura si parla di una forte espansione, che dovrebbe aggirarsi intorno al 10%. L’Eurozona potrebbe rimanere fortemente penalizzata quindi, registrando un calo del 3%.
Alla base di questo risultato negativo per l’economia della zona euro ci sarebbe la relativa arretratezza tecnologica europea rispetto a Usa e Cina, nonché il segno dello stimolo fiscale e monetario, decisamente più marcato nelle altre due aree geografiche. Si parla quindi di un declino europeo nell’economia internazionale che già si andava delineando nitidamente prima dell’emergenza Covid.
Economie a confronto: la Germania regge ma l’Italia no
Non è certo uniforme il quadro che emerge dall’Unione Europea, dove si individuano situazioni nettamente diverse tra un Paese membro e l’altro. È il caso di Italia e Germania, dove la situazione economica si presenta in modo più o meno grave in base a diversi fattori.
Stando alle stime del Fmi, l’economia tedesca registra un calo del Pil del 6% entro fine 2020, ma entro la fine del 2021 dovrebbe essere in grado di recuperare già 2/3 di quanto perso, per poi tornare ai livelli pre-crisi già entro la fine del primo semestre del 2022.
In altre parole la Germania dovrebbe essere in grado di assorbire interamente l’impatto della crisi nel giro di un anno e mezzo in tutto, mentre per l’Italia le prospettive non sono affatto così rosee per una serie di ragioni.
L’Italia, sempre secondo le stime del Fmi, potrebbe perdere entro la fine del 2020 circa il 10,8% del prodotto in termini reali, mentre l’esecutivo aveva previsto con l’approvazione della Nadef, un calo del PIL del 9%, per un rapporto debito Pil che dovrebbe infine attestarsi intorno al 158%.
Il Fondo Monetario Internazionale nel suo World Economic Outlook prevede che per il 2021 l’Italia sarà in grado di recuperare solo metà del terreno perduto, registrando un rimbalzo del 5,2%, contro la stima della Nadef che indica invece per il prossimo anno un +6%. Gli economisti del Fmi prevedono quindi che l’Italia perda nel biennio non 3 punti percentuale ma addirittura 5, proprio come la Spagna.
La Francia potrebbe cavarsela un po’ meglio, con un calo del Pil che per il 2020-2021 si attesterebbe intorno al -3%. Si registra quindi una arretratezza dell’intero sistema Europa nei confronti degli altri due blocchi economici (Cina e Usa), ma al contempo una arretratezza all’interno dell’area Euro stessa, di alcuni Paesi con economie più fragili rispetto ad altri.
Per l’Italia la ripresa più lenta dell’intera area Euro
Il Fmi ha anche fatto delle proiezioni riguardanti il lungo periodo, ma anche qui non si riesce a dare molta fiducia al sistema Italia, che difficilmente riuscirà a mettere a segno una ripresa in grado di spingere il Paese fuori da una drammatica crisi economica.
Ricorrere al Recovery Fund per trasformare il sistema produttivo italiano potrebbe non essere sufficiente per ottenere i risultati necessari a risalire la china. Per il 2025 si prevede che l’Italia possa mettere a segno una crescita di appena lo 0,9%, cioè la più bassa dell’intera area euro.
A pesare sarebbe secondo il rapporto del Fmi, anche una situazione demografica molto fragile, costituita da un numero di nascite troppo basso, quindi da un rapido invecchiamento della popolazione e al contempo da un apporto di immigrazione attiva decisamente scarso.
Conti pubblici: stime del Nadef e rapporto del Fmi a confronto
Anche sui conti pubblici le stime del Fondo monetario differiscono da quelle fatte dal governo e riportate nella Nota di Aggiornamento al Def. Stando alle valutazioni dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, l’Italia si troverà a fine 2020 con un deficit al 10,6% ed un rapporto debito/Pil al 158%.
Il Fmi però fornisce dati un po’ diversi, e prevede che il Bel Paese chiuda il 2020 con un deficit al 13%, e un rapporto debito/Pil al 161,8% che segnerebbe in assoluto il più alto di sempre nella storia dell’Italia.
In questo ambito però è anche possibile che la stima più accurata sia in fin dei conti quella dell’esecutivo italiano, che è in grado di tenere sotto più stretta osservazione la spesa pubblica, e di quanto effettvamente si stia spendendo di quei 100 miliardi di euro circa che sono stati stanziati per aiuti nel corso del 2020.
Il Fondo monetario però mostra un evidente scetticismo soprattutto per quel che riguarda il possibile calo del debito nei prossimi anni, che almeno nelle previsioni dell’esecutivo, dovrebbe essere trainato da una crescita economica importante.
Il Fmi infatti ritiene che per il 2021 il rapporto debito/Pil si attesterà intorno al 158,3%, cifra che sarebbe persino più alta di quella che il governo Conte stima per la chiusura del 2020. Un rapporto che non andrebbe affatto a migliorare come invece mostrano di essere convinti da Roma, e per il 2025 secondo le previsioni del Fondo monetario dovrebbe aggirarsi intorno al 152,6%, al di sopra delle stime del governo relative al 2023.
Si percepisce quindi un certo grado di preoccupazione da parte del FMI per la situazione economica italiana all’indomani dell’emergenza coronavirus. Tra gli economisti del fondo monetario appare radicata la convinzione che difficilmente l’Italia sarà in grado di riassorbire in tempi brevi gli ingenti danni all’economia causati da uno dei lockdown più stringenti al mondo.
Il Fmi non crede affatto che sia possibile per l’Italia ottenere una rapida riduzione del debito attraverso una crescita sostenuta dell’economia, ma al contempo non prospetta affatto una stretta di bilancio, che risulterebbe comunque non applicabile per via delle condizioni precarie dell’occupazione e dell’intero sistema produttivo.
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