Con una Brexit no deal che a giudicare dall’andamento dei negoziati (di fatto bloccati in attesa del completamento dell’iter parlamentare della nuova legge proposta da Boris Johnson, l’Internal Market Deal) sembra sempre più l’unico scenario possibile nell’ambito del divorzio tra Londra e Bruxelles, si pone sempre più l’esigenza di valutare quali potrebbero essere le conseguenze per l’economia del Paese.

Patrice Gautry, Chief Economist di Union Bancaire Privée (UBP), ha analizzato attentamente la questione Brexit, ed ha prospettato alcuni possibili scenari futuri, che naturalmente variano in primis a seconda di come si concluderanno i negoziati con l’Ue.

Anzitutto il PIL del Regno Unito ha subito una contrazione del 2,2% t/t nel primo trimestre 2020 e del 20,4% t/t nel secondo trimestre. Ci sono già alcune considerazioni da fare, e riguardano il fatto che Londra ha adottato delle misure di contenimento anti-covid in ritardo rispetto a quanto fatto dalla stragrande maggioranza dei Paesi dell’Ue.

Il lockdown adottato nel Regno Unito ha quindi “portato a un calo del PIL più marcato nel secondo trimestre rispetto ad altri Paesi sviluppati” fa notare Gautry “con la fine del lockdown la ripresa delle attività e dei consumi ha ridato uno slancio positivo all’attività economica nel terzo trimestre, ed è probabile che il PIL mostrerà un rimbalzo a due cifre (11-18% t/t)”.

È atteso un marcato rimbalzo per il terzo trimestre 2020, ma poi il ritmo della ripresa dovrebbe tornare su livelli più contenuti nel quarto trimestre per via di una serie di fattori: “la fine delle misure di sostegno al lavoro, la tendenza al rialzo dei richiedenti, la fine del supporto specifico ai servizi e non da ultimo le incertezze crescenti sulla Brexit” elenca Gautry.

Un’economia, quella del Regno Unito, che non stava brillando particolarmente nemmeno prima della crisi economica legata alla pandemia di coronavirus. A partire dal 2016 infatti l’economia britannica ha sotto-performato rispetto a quelle degli altri Paesi OCSE.

In parte hanno influito anche le incertezze sul tema Brexit, con un calo dei consumi e degli investimenti. Ad ogni modo non è da escludere, per il 2021, una ripresa dell’economia, ma non è l’unico scenario possibile. Patrice Gautry ne descrive sostanzialmente tre:

  • Una Brexit con accordo di libero scambio. In questo caso l’economia britannica potrebbe riprendersi ad un ritmo simile a quelli dei Paesi OCSE, con una “rinnovata flessibilità sul commercio”
  • Una Brexit no deal. Vale a dire niente accordo con Bruxelles, quindi “rischi al ribasso che peserebbero sul quarto e primo trimestre, con nuovi rischi di recessione per il 2021”
  • Uno scenario di base con una “contrazione del 12% nel 2020, seguita da una ripresa del 6% nel 2021, che sconta almeno alcuni accordi con l’Ue sullo scambio delle merci.

Secondo Gautry, nel medio termine sarà necessaria una “rinnovata flessibilità nella politica, nella valuta e nel mercato del lavoro, oltre agli accordi commerciali globali” per “potersi confrontare con le extra performance ottenute dagli altri Paesi OCSE”.

Inoltre si deve tener conto del fatto che un eventuale ritardo nel raggiungimento di un accordo con Bruxelles, o peggio un mancato accordo commerciale tra le due parti, potrebbero “incidere sul raggiungimento di accordi commerciali con Paesi extra-UE” spiega Gautry, che osserva come “un margine più ridotto di manovra politica e investimenti esteri limitati potrebbero poi ridurre il potenziale di crescita: l’attrattiva del Regno Unito e i fondamentali sono a rischio”.

Il periodo di transizione durante il quale Londra e Bruxelles dovrebbero essere in grado di giungere ad un accordo commerciale termina a dicembre 2020, e non è prevista alcuna proroga. Le due parti hanno evidenziato peraltro delle priorità molto diverse.

Se per il governo di Boris Johnson è fondamentale dare la priorità al libero scambio e alle proprie leggi interne, definendo solo in un secondo momento altri aspetti, la linea seguita da Michel Barnier, capo negoziatore di Bruxelles, è quella di negoziare prima le questioni più controverse legate al commercio e poi giungere ad un accordo su quelle più ‘semplici’.

Un compromesso appare quindi difficile da raggiungere, tanto più che su alcuni temi come le disposizioni sulla parità di condizioni, non vi è neppure la volontà di raggiungerlo, così come sulla governance e gli aiuti di Stato, sulla pesca e soprattutto sulla spinosa questione dei confini tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord, e tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito.

Cosa potrebbe succedere quindi nelle prossime settimane, e quali sono le prospettive per un eventuale accordo commerciale? Gautry elenca questi scenari:

  • Una hard Brexit parzialmente gestita con l’UE
  • Un accordo su alcune misure provvisorie in alcune aree per evitare una Brexit disordinata entro la fine dell’anno
  • L’applicazione di regole meno restrittive rispetto a quelle dell’OMC con accordi per alcuni settori
  • Negoziati complessi con gli Stati Uniti, e accordi più semplici con Canada, Australia e Nuova Zelanda; limitata attrattiva per gli altri membri del Commonwealth, sull’accordo firmato con il Giappone.

In questo momento “il Regno Unito è soggetto a disinflazione” spiega ancora Gautry “ma la fine delle agevolazioni fiscali e l’aumento dei costi di trasporto e i dazi potenzialmente più elevati, potrebbero portare ad un rialzo dell’inflazione l’anno prossimo”.

La posizione della Banca d’Inghilterra per ora “è dovish, con tassi di interesse bassi e il QE che dovrebbero restare in vigore. Se necessario la BoE sarà tuttavia pronta ad adeguare il QE e ad adottare tassi d’interesse negativi” che però secondo un recente studio potrebbero non sortire l’effetto sperato di spingere all’indebitamento per investire, ma potrebbe persino indurre una maggior propensione al risparmio.

Ma proseguendo con l’analisi di Patrice Gautry, troviamo altri strumenti cui il Paese potrebbe ricorrere prima: “il Term Funding Scheme, uno strumento di finanziamento delle imprese, per modificare la composizione del QE in favore di asset più rischiosi. Le banche centrali sono infatti più caute ora nell’adozione di tassi di interesse negativi, mentre il QE potrebbe essere ulteriormente esteso a fine anno (per potenziali 60-100 miliardi di GBP)”.

Quanto al consolidamento fiscale, questo potrebbe essere rimandato ad un momento di crescita più solida, mentre il clima di incertezza dovuto all’andamento del contagio da COVID-19, quindi al rischio dell’adozione di nuove misure restrittive, e alla questione Brexit dovrebbero produrre un incremento ulteriore della spesa pubblica.

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