I rapporti tra Cina e Stati Uniti non sono più tornati ai livelli tutto sommato buoni di prima dell’emergenza Coronavirus. In questi giorni però la situazione sta rapidamente peggiorando, dopo che Pechino si è trovata costretta a chiudere la sede del consolato cinese a Houston a causa di un incendio dalle origini ancora da accertare.
Si è innescata infatti una escalation senza precedenti tra le due superpotenze, che si va a collocare in un contesto già delicato al limite della guerra fredda, e di certo ampiamente oltre i confini della guerra commerciale cui eravamo abituati ad assistere negli ultimi anni.
Questa volta non c’entrano nulla le grandi compagnie high tech come la Huawei o i social network come Tiktok. Tutto è iniziato con l’incendio che ha interessato l’edificio del consolato cinese a Houston costringendone la chiusura.
Le fiamme hanno divampato nella giornata del 21 luglio, e sono state sedate solo in seguito all’intervento dei vigili del fuoco. Sono state ridotte in cenere intere pile di documenti, tanto che i testimoni hanno ammesso che l’odore della carta bruciata si distingueva con chiarezza: “si sentiva benissimo l’odore della carta che bruciava” ha raccontato uno dei presenti ai microfoni della Kprc2, una televisione locale “tutti i pompieri circondavano l’edificio ma non riuscivano ad entrare”.
Le cause dell’incendio non sono state ancora appurate, ma le autorità stanno ancora indagando specie considerato che una serie di dubbi sull’accaduto hanno iniziato sin da subito a circolare.
Un portavoce ha fatto sapere che “il consolato cinese a Houston è stato chiuso per proteggere la proprietà intellettuale americana e i dati privati americani. La Convenzione di Vienna afferma che i diplomatici statali devono rispettare le leggi e le regole del Paese ospitante e hanno il dovere di non interferire negli affari interni di quello Stato”.
Tuttavia ancora non è chiaro quali possano essere i legami tra le preoccupazioni espresse e l’incendio che ha colpito gli edifici del consolato cinese, ma è chiaro che vi è un nesso di una certa rilevanza.
La Cina pronta a reagire con una adeguata contromossa
Intanto per Pechino si tratta senz’altro di una “provocazione” americana. Il portavoce del Ministro degli Esteri cinese, Wang Wenbin, ha dichiarato a tal proposito che “la Cina condanna fermamente questa azione scandalosa e ingiustificata” lasciando intuire che seguirà una adeguata contromossa.
L’agenzia Reuters ritiene che la Cina potrebbe decidere di far chiudere in risposta il consolato statunitense a Wuhan, che peraltro è stato già abbandonato dagli americani dopo l’esplosione dell’emergenza coronavirus.
Intanto il quotidiano cinese Global Times, che è notoriamente vicino al governo cinese, ha lanciato via Twitter un sondaggio con il quale chiede ai lettori quali consolato USA in Cina dovrebbe essere chiuso in risposta a quanto accaduto in Texas.
Wang parla di “una provocazione unilaterale” che “mina le relazioni bilaterali”. “È una grave violazione delle leggi internazionali, delle norme alla base delle relazioni internazionali e delle misure relative ai trattati consolari Cina-Usa, ed è un tentativo deliberato di minare le relazioni Cina-Usa” ha spiegato il portavoce cinese.
I precedenti ‘incidenti’ diplomatici: Tiktok e Huawei
I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono da tempo in bilico, ed in questi giorni si continua a seguire ancora la vicenda che riguarda il noto social network Tiktok, di proprietà della società cinese ByteDance che il presidente Donald Trump potrebbe inserire da un momento all’altro nella blacklist commerciale.
Se ciò avvenisse Apple e Android si troverebbero a dover rimuovere la app dai propri store. Vicenda in tutto simile nei suoi sviluppi a quelle che interessò mesi addietro la Huawei, che per il ban imposto da Washington continua a pagare un caro prezzo in termini di fatturato. In questo caso poi all’azione della Casa Bianca ha fatto eco Londra.
Curioso in questo contesto che ricorda molto la guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il fatto che anche il braccio di ferro dei giorni nostri tra Usa e Cina sia accompagnato da una sfida nello spazio. Negli anni ’60 si trattava di portare l’uomo sulla luna, mentre oggi entrambe le superpotenze annunciano missioni su Marte che dovrebbero partire in un futuro quanto mai prossimo.
Chiuso il Consolato cinese a Houston, ma perché?
Si trattava del primo consolato cinese ad essere stato aperto, nel 1979, su suolo americano, quello che è stato chiuso in questi giorni a Houston in Texas dopo l’incendio divampato per cause ancora da accertare.
Secondo il segretario di Stato, Mike Pompeo, l’amministrazione di Donald Trump sta agendo nell’ambito della difesa della proprietà intellettuale dalla minaccia rappresentata dalla Cina. Nei giorni scorsi infatti due soggetti legati a Pechino sono stati accusati di hacking.
Che altro? Il Dipartimento del Commercio è intervenuto sanzionando 11 società cinesi che avrebbero violato, nella regione dello Xinjiang, i diritti umani della popolazione del luogo. Episodi che hanno richiamato l’attenzione anche di Marco Rubio, senatore del Texas, il quale via Twitter ha affermato che “il Consolato cinese a Houston non è una struttura diplomatica. È il nodo centrale della vasta rete di spie e operazioni di influenza del Partito Comunista negli Stati Uniti“.
#China’s consulate in #Houston is not a diplomatic facility. It is the central node of the Communist Party’s vast network of spies & influence operations in the United States. Now that building must close & the spies have 72 hours to leave or face arrest.
This needed to happen.
— Marco Rubio (@marcorubio) July 22, 2020
Sulla stessa linea si è espresso anche David Stilwell, citato dal New York Times come il più grande diplomatico degli Stati Uniti per l’Asia orientale, il quale avrebbe confermato che il Consolato di Houston sarebbe stato l’epicentro degli sforzi delle forze cinesi per ottenere vantaggi strategici.
“Abbiamo fatto un passo pratico per impedire loro di farlo” ha afermato il diplomatico statunitense al Times. Poi gli ha fatto eco anche Rob Davis, Ceo della Critical Start con sede in Texas, una società che lavora nell’ambito della sicurezza informatica. Secondo lui gli attori statali cinesi potrebbero essere implicati in operazioni di spionaggio sul suolo americano, teoria sulla quale i sospetti sono andati addensandosi nel tempo, e si teme che il consolato di Houston non sia che solo uno dei punti nevralgici di questa rete.
Su IlFattoQuotidiano leggiamo che, con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali negli USA, la “propaganda politica (dei Repubblicani ndr) ha già fissato dei punti fermi”. Viene quindi citato un documento che sarebbe stato redatto da un consulente strategico del Partito Repubblicano, indirizzato ai propri candidati, nel quale “sono elencati i messaggi da veicolare in campagna elettorale”.
Si concentra il ‘fuoco’ su quattro punti, che riportiamo testualmente qui di seguito:
- La Cina ha causato la pandemia attraverso l’opera di negazione e occultamento delle informazioni e accaparramento dei dispositivi medici
- La Cina è un rivale che ha sottratto milioni di posti di lavoro agli Americani, invaso il mercato statunitense con il fentanyl e recluso membri di minoranze religiose in campi di concentramento
- I candidati democratici sono troppo accondiscendenti nei confronti della Cina
- La Cina deve essere sanzionata per le responsabilità nell’epidemia.
L’Oms, secondo quanto evidenziato dal noto quotidiano continua comunque a non far riferimento a questo genere di accuse nella propria strategia comunicativa. Per l’amministrazione Trump però una maggiore chiarezza in merito all’operato dell’Organizzazione mondiale della Sanità e ai suoi rapporti con Pechino è imprescindibile e nel frattempo arriva la conferma che gli USA non riapriranno il loro consolato a Wuhan.
In Cina però gli USA hanno anche altri quattro consolati, si trovano a Shanghai, Guangzhou, Chengdu e Shenyang, ai quali si aggiunge poi l’ambasciata a Pechino.
Secondo alcuni funzionari americani la conferma della chiusura del consolato di Wuhan potrebbe mitigare la reazione di Pechino in risposta alla chiusura del Consolato cinese a Houston. Se invece non dovesse andare come prospettato, i rapporti tra Cina e Usa potrebbero sfociare verso quello che IlFattoQuotidiano definisce un “conflitto limitato”.
Questo potrebbe riguardare le Isole Spratly, situate nel Mar Cinese Meridionale, oppure l’area di Taiwan. In un documento del Dipartimento di Stato americano leggiamo:
“La Repubblica popolare cinese non può reclamare legalmente le pretese della zona economica esclusiva (Zee) derivate dalle isole Spratly, di fronte alle Filippine, nelle aree che il Tribunale ha riscontrato essere nella zona economica esclusiva delle Filippine o nella sua piattaforma continentale. Le molestie di Pechino sulla pesca filippina e lo sviluppo energetico offshore in quelle aree sono illegali, così come qualsiasi azione unilaterale della RPC per sfruttare tali risorse”.
Non è difficile cogliere quale sia l’obiettivo degli Stati Uniti in questo contesto, che evidentemente vogliono evitare che la Cina gestisca il Mar Cinese Meridionale come se fosse una sorta di suo impero marittimo.
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