La due giorni sul Recovery Fund è già durata tre giorni e l’accordo è ben lungi dall’essere trovato tra i 27 leader dei Paesi membri. La situazione anzi sembra più in stallo che mai, con il premier olandese che capeggia i cosiddetti Paesi “frugali” composti da Olanda, Svezia, Danimarca e Austria cui si aggiunge la Finlandia, nel chiedere una riduzione degli aiuti a fondo perduto.

La proposta della Commissione Ue prevedeva 500 miliardi a fondo perduto e i restanti 250 sotto forma di prestiti, che in quanto tali prevedono una restituzione, seppur adeguatamente dilazionata nel tempo.

Per il numero uno di Amsterdam però la somma è da rivedere completamente ed invoca il potere di veto. Non solo, c’è poi il nodo sull’entità dei “rimborsi” concessi ai Paesi del Nord sui contributi al bilancio dell’Ue, quello sul legame tra l’erogazione degli aiuti provenienti dall’Ue e il rispetto dello stato di diritto, tema che riguarda in particolare i Paesi del blocco di Visegrad, e per finire c’è da definire l’ampiezza del quadro finanziario 2021-2027.

Il confronto è stato serrato, uno scontro “durissimo”, per usare le parole del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e la seduta plenaria che era inizialmente prevista per le ore 12 è stata prima posticipata alle 16, poi alle 17.30, ed infine ha avuto il via alle 19. L’unico assente è il premier del Lussemburgo, Xavier Bettel, che si è trovato costretto a rientrare per presiedere una riunione del Consiglio dei ministri.

Verso le 23.30 c’è stata poi una sospensione della durata di 45 minuti circa, che è diventata anche un’occasione per provare a fare il punto. Secondo fonti italiane nelle prime ore di dibattito sono stati compiuti dei “passi in avanti nella trattativa, anche se non si è chiuso”.

Nessun accordo infatti, almeno per ora. La posizione dei Paesi ‘frugali’ resta la stessa, ma la sensazione è che stiano adottando una strategia ben precisa, che consiste nello spostare l’attenzione dalla questione di natura prettamente finanziaria del Recovery Fund, al tema apparentemente più ‘elevato’ della condizionalità dello stato di diritto.

I tentativi di dirottare il focus su aspetti diversi da Recovery Fund e Bilancio Ue 2021-2027 però non sarebbero andati a buon fine, anche grazie all’intervento della stessa Angela Merkel.

Il presidente del Consiglio Ue nel ruolo di mediatore

Lo stallo a cui erano giunte le trattative pochi minuti prima era evidente a tutti, con il presidente del Consiglio Charles Michel che non aveva presentato una nuova proposta in quanto ancora non c’era nessun accordo sull’ammontare dei fondi da assegnare a titolo di sussidi e non di prestiti.

Il ruolo ricoperto da Charles Michel sembra sia inevitabilmente quello di mediatore tra le due fazioni che si contrappongono sul Recovery Fund, vale a dire i Paesi ‘del Sud’ che chiedono risorse più consistenti, ed i Paesi ‘del Nord’ che invece cercano di ridurle.

Michel ha ricordato che “oggi nel mondo abbiamo attraversato i 600 mila morti, e siamo di fronte a una crisi senza precedenti”, aggiungendo poi: “l’Ue è una delle grandi potenze economiche del mondo. Mi è stato detto che le sovvenzioni sono troppe. Ho abbassato l’importo una prima volta, poi una seconda volta“.

Infatti l’importo dei sussidi a fondo perduto, che nella proposta della Commissione Ue era di 500 miliardi di euro, per Michel poteva anche essere portato a 400, più i 350 miliardi di prestiti. Un’apertura che però non ha soddisfatto le pretese dei ‘frugali’.

Poi ci sono gli altri aspetti della trattativa, con il presidente Michel che sottolinea: “mi è stato anche detto che per accettare le sovvenzioni erano necessarie condizioni di governance molto rigide a causa della mancanza di fiducia. Abbiamo lavorato su questo argomento e abbiamo qualcosa sulla falsariga che si desidera”.

Per Conte 500 miliardi di sussidi “sono il minimo indispensabile”

Non indietreggia però il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che continua a sostenere la richiesta di 500 miliardi in sussidi a fondo perduto.

I Paesi frugali, che inizialmente erano Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, accolgono tra le loro ‘fila’ anche la Finlandia, ed inisieme mettono sul tavolo l’offerta di 350 miliardi di sovvenzioni ed altrettanti sotto forma di prestiti.

Offerta che peraltro è condizionata in ogni caso al raggiungimento di un accordo anche sulle questioni di governance e dei rebate, che secondo loro dovrebbero essere portati a 25 miliardi, portando così la dotazione alle cifre previste per il Green Deal.

All’atto pratica la proposta dei Paesi ‘frugali’ porterebbe ad un taglio di 150 miliardi degli aiuti a fondo perduto previsti dal Recovery Fund. Germania, Francia e Spagna intanto mostrano la disponibilità ad accordarsi sulla cifra di 400 miliardi, che comunque comporterebbe tagli a transizione verde, digitale e investimenti.

Le fonti italiane hanno fatto sapere che Conte ha difeso la proposta originale della Commissione Ue, vale a dire 500 miliardi di aiuti a fondo perduto, più altri 250 miliardi in prestiti. Cifre che il premier ha definito: “il minimo indispensabile per una reazione minimamente adeguata” avvertendo poi: “se tardiamo la reazione dovremo calcolare il doppio o forse anche di più”.

Le posizioni di Conte e Rutte sono agli antipodi, ed è proprio al premier olandese che si è rivolto il presidente del Consiglio, affermando: “vi state illudendo che la partita non vi riguardi o vi riguardi solo in parte. In realtà se lasciamo che il mercato unico venga distrutto tu forse sarai eroe in patria per qualche giorno, ma dopo qualche settimana sarai chiamato a rispondere pubblicamente davanti a tutti i cittadini europei per avere compromesso una adeguata ed efficace reazione europea”.

Orban: “ci vorranno diversi altri giorni”

Il premier ungherese Viktor Orban in un primo momento ha mostrato un certo ottimismo in merito al possibile raggiungimento di un accordo tra i 27, salvo poi precisare che “ci vorranno diversi altri giorni”.

Anche secondo la premier della Finlandia, Sanna Narin, l’accordo non arriverà così presto: “se entro questo fine settimana non sarà possibile raggiungerlo, i negoziati andranno avanti fino a lunedì” e così è stato, ma sembra che ci sia ancora molta strada da fare.

“È giunto il momento per un accordo” scrive invece Sophie Wilmes, premier del Belgio, via Twitter. Sulla stessa linea c’erano anche Xaver Bettel (Lussemburgo), Micheal Martin (Irlanda) nonché il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

Aveva previsto i ritardi anche la cancelliera tedesca. “Oggi è sicuramente il giorno decisivo” aveva dichiarato Angela Merkel, aggiungendo però: “è ancora possibile” che non si approdi a “nessun accordo”.

I Paesi ‘frugali’ chiedono il potere di veto

Non li chiama Paesi ‘frugali’ ma Paesi ‘avari’ il premier polacco, che evidentemente prende una posizione molto distante da quella di Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia, che per avere una sorta di “freno di emergenza” chiedono un meccanismo in grado di bloccare l’approvazione dei piani nazionali di spesa.

Questi devono passare dalla Commissione Ue, e verrebbero portati davanti al Consiglio europeo per una valutazione. Un meccanismo che però non si può proprio attivare, secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che spiega che un simile iter sarebbe appellabile davanti alla Corte di Giustizia europea perché in violazione dei trattati.

Su IlFattoQuotidiano leggiamo che “la proposta di compromesso che l’Italia ha fatto girare ieri pomeriggio tra le altre delegazioni prevede che per bloccare l’erogazione serva una maggioranza qualificata degli Stati. Si tratta di una mediazione” spiega il noto quotidiano “perché di base è alla Commissione, non al Consiglio europeo (quindi agli Stati) che i trattati assegnano il potere esecutivo e di controllo”.

E se un Paese non rispetta gli impegni che il piano gli assegna? Vale sempre lo stesso principio. Il premier Conte ha quindi ipotizzato in risposta un ricorso alla Corte di giustizia Ue, proponendo che il “freno di emergenza” sia attivato a maggioranza qualificata, e non invece come voleva l’Olanda su richiesta di uno Stato membro, in seguito alla quale si interromperebbe l’erogazione dei fondi.

La maggioranza dei 27 è contro i Paesi frugali

Non godono di un grande seguito i cosiddetti “Paesi frugali”, le cui posizioni non sono condivise da nessun Paese dei 27. “Da una parte c’è la stragrande maggioranza dei Paesi, compresi i più grandi Germania, Francia, Spagna, Italia, che difendono le istituzioni europee e il progetto europeo” ha spiegato Conte via Twitter “dall’altra pochi Paesi, detti ‘frugali'”.

Un compromesso che appare ancora molto lontano, tra posizioni che non sembrano in alcun modo conciliabili almeno per ora. Ne ha parlato anche il presidente francese, Emmanuel Macron, che ha chiarito, prima di entrare nella sede in cui si sarebbe svolta la plenaria, che un compromesso si potrà raggiungere ma non “a spese dell’ambizione europea”.

Macron ha ricordato che si tratta di una crisi sanitaria, economica e sociale di dimensioni “inedite”, e la risposta dell’Olanda nell’ambito della trattativa sul Next Generation Plan potrebbe essere, secondo Enrico Letta, un ‘opting out’. Non si può escludere insomma che Amsterdam alla fine si chiami fuori, lasciando che a siglare l’accordo sul Recovery Fund e sul Bilancio pluriennale siano gli altri 26 Paesi membri.

L’Ungheria di Orban a fianco dell’Italia

Non tutti i Paesi a guida sovranista hanno assunto le stesse posizioni rispetto al Recovery Fund, ne è l’esempio il premier ungherese Viktor Orban, che ha preso le distanze dal collega olandese.

“Se l’intesa non si fa è a causa del leader olandese, non a causa mia. È lui che ha iniziato questa faccenda. L’olandese è il vero responsabile per tutto il caos di ieri” ha dichiarato Orban “l’Olanda vorrebbe creare un meccanismo per controllare la spesa dei Paesi del Sud. Sostanzialmente è una disputa tra Italiani e Olandesi. Noi siamo dalla parte dell’Italia”.

Una posizione che non lascia sorpreso nessuno, quella del premier ungherese, che evidentemente ha altre ragioni di scontro con l’omologo olandese. “Non so perché ce l’ha con me” ha dichiarato Orban riferendosi a Rutte “vorrebbe punire l’Ungheria” con un meccanismo che leghi il rispetto dello stato di diritto al Recovery Fund.

Un comportamento che ricorda quello dell’ex regime comunista in Ungheria, secondo Orban, che spiega: “quando i comunisti se la prendevano con noi, e con me personalmente, usavano vaghe terminologie giuridiche“, le stesse insomma che usa il premier olandese, visto che “nella sua proposta si parla di ‘mancanze generali’ e non è necessario commettere un crimine, ‘basta che ci sia il rischio’, è lo stile comunista”.

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