Aumentare il quantitative easing di altri 600 miliardi. È questa la decisione che ha preso la Banca Centrale Europea dopo il summit di ieri, per sostenere la ripresa dei Paesi dell’Eurozona. Il Pepp, vale a dire il piano pandemico di acquisto di titoli, viene così portato a quota 1.350 miliardi di euro, e in più viene prorogato per altri sei mesi rispetto alla scadenza precedentemente fissata.
Il Qe della Bce durerà quindi non fino a dicembre 2020 bensì fino a giugno 2021, mentre non subiscono alcuna variazione i tassi di interesse, che contrariamente a quanto si aspettavano alcuni analisti ed investitori, resteranno a quota zero per quel che riguarda il tasso di riferimento, e al -0,50% il tasso sui depositi presso la Bce.
La banca centrale ha fatto sapere che lo scopo è quello di “migliorare le condizioni di finanziamento per l’economia reale e in particolare per le imprese e le famiglie”. La Bce ha deciso che gli acquisti del piano pandemico proseguiranno “in modo flessibile” in modo tale da “ridurre in modo significativo i rischi a una trasmissione senza intoppi della politica monetaria” che potrebbe concretizzarsi ad esempio in caso di un balzo degli spread.
Il comunicato della Bce si concentra soprattutto sul tema della ripresa, ed è in questa prospettiva che matura la decisione presa dall’Eurotower. Nei Paesi dell’Ue ci sono condizioni finanziare troppo rigide rispetto alle esigenze della politica monetaria, e proprio qualche giorno fa l’intervento della Bce veniva prospettato anche da Isabel Schnabel, membro del consiglio direttivo.
Su IlSole24Ore leggiamo a tal proposito che “le componenti delle condizioni finanziarie – cambio, Borse e soprattutto rendimenti – sono tutte insoddisfacenti. Il cambio effettivo dell’euro è in rialzo da qualche settimana, mentre gli indici di Borsa per quanto meno rilevanti in Eurolandia rispetto agli Usa sono sì in lenta ripresa, ma restano a livelli più bassi rispetto a quelli della prima metà di febbraio”.
C’è poi il discorso dei rendimenti dei bond, che rappresentano la componente più rilevante, che sono tutti più alti rispetto a quelli del 28 febbraio, vale a dire prima dell’esplosione della pandemia di coronavirus in Italia. Se guardiamo i bond a breve termine, sui quali l’impatto della politica monetaria si ripercuote immediatamente, vediamo che sono persino superiori a quelli del 2 gennaio. In tutto e per tutto analoga poi la situazione dei titoli con rating AAA.
L’analisi di questi tassi di rendimento indica naturalmente anche un incremento del rischio di default “ma la politica monetaria è ultraespansiva, e a ragione, e richiede un costo del credito più basso per essere efficiente” leggiamo ancora su IlSole24Ore, che descrive una situazione in cui prevalgono le pressioni al ribasso dei prezzi, con dati tuttavia ancora imprecisi, ed un rischio di deflazione che ricompare all’orizzonte.
La ripresa si mostra lenta, con una ripartenza della domanda che stenta a decollare, il che rischia di determinare maggiori difficoltà nel raggiungere in tempi previ i livelli di prima della crisi. Appare lampante il bisogno di liquidità, che si evince dal rialzo dei prestiti negli ultimi due mesi da parte delle imprese, che vi ricorrono nel tentativo di sbloccare la situazione. Si attendono poi gli effetti negativi sul mercato del lavoro, che al momento non sono ancora del tutto manifesti.
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