In Italia arriva anche lo stop all’immigrazione, per via dell’emergenza coronavirus, con la firma del decreto del 7 aprile che sancisce che l’Italia non è più un porto sicuro. Il provvedimento porta la firma di quattro ministri della Repubblica, ed arriva proprio nel momento in cui la nave Alan Kurdi di proprietà di una Ong tedesca (Sea Eye) si trova a poche miglia dall’isola di Lampedusa.
Sulla Alan Kurdi ci sono 145 migranti che sono stati imbarcati al largo delle coste della Libia, ma non potranno fare porto in Italia a causa dell’emergenza coronavirus. La pandemia di Covid-19 impone misure di contenimento e l’adozione di precauzioni che prima dell’emergenza non esistevano, e così l’Italia, ma in realtà anche il resto d’Europa, cessa di essere un porto sicuro.
I rischi sono concreti e tangibili. Si pensi all’ipotesi di un caso positivo sulla nave, che in condizioni di stallo simili a quelle viste in altri casi come quello della Diciotti, si trasformerebbe in un focolaio di coronavirus galleggiante, con conseguenze umanitarie e giuridiche del tutto inedite.
Come dovrà essere gestito quindi l’aspetto dell’immigrazione nel contesto dell’emergenza coronavirus in atto? I soccorsi in mare da parte delle navi delle Ong potranno andare avanti, e se si in che modo? Bisogna fare prima di tutto alcune considerazioni.
Stando ai dati in possesso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in Libia i casi di coronavirus confermati sarebbero in tutto 18, ma è davvero possibile ritenere il dato attendibile? Non sappiamo esattamente in che modo l’emergenza viene gestita dal Governo di Tripoli, e non possiamo sapere se sono positivi al virus anche le migliaia di persone che tentano di abbandonare il Paese.
Se queste persone tentano di attraversare il Mediterraneo, e vengono soccorse in qualche modo, restando poi in mare per un periodo che può variare notevolmente in base a vari aspetti, le conseguenze sono difficili da prevedere.
In Europa nessun porto sicuro
L’Italia nonn può più essere considerata un porto sicuro, allo stesso modo non può esserlo la Spagna con i suoi quasi 150 mila casi di contagio confermati. Ma non può esserlo nemmeno la Grecia, anche se i casi sono ancora 1.800 soltanto, e di certo non può essere un porto sicuro la Francia che ha registrato oltre 83 mila casi di coronavirus.
Il decreto firmato in evidente fretta per evitare lo sbarco dei migranti sulla Alan Kurdi, prevede che le navi che trasportano i naufraghi li portino al sicuro nello Stato del quale battono bandiera. Quelli dell’Alan Kurdi ad esempio dovranno essere portati in Germania, ma non sappiamo ancora come gestiranno la cosa i Tedeschi.
In Germania il numero dei casi registrati ha raggiunto 113mila unità, mentre le vittime sono ancora poco più di 2.300, e non c’è modo di sapere se i suoi porti saranno aperti alla Alan Kurdi, che in questo modo rischia di diventare un problema, visto che a bordo potrebbero esservi dei contagiati ma è impossibile accertarlo.
Il decreto firmato d’urgenza da 4 ministri
L’Italia ha deciso di correre ai ripari con il decreto che porta le firme del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, del ministro degli Interni Luciana Lamorgese, del ministro della Salute, Roberto Speranza, e del ministro di Infrastrutture e Trasporti, Paola De Micheli. Nel decreto leggiamo la seguente premessa:
“In considerazione della situazione di emergenza connessa alla diffusione del Coronavirus, dell’attuale situazione di criticità dei servizi sanitari regionali, e all’impegno straordinario svolto dai medici e da tutto il personale sanitario per l’assistenza ai pazienti Covid 19, non risulta possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di tali luoghi sicuri senza compromettere la funzionalità delle strutture nazionale sanitarie logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19″.
Troviamo poi le disposizioni che stabilisce, in merito alle quali leggiamo che alle “persone eventualmente soccorse, tra le quali non può escludersi la presenza di un contagio, deve essere assicurata l’assenza di minaccia per la propria vita, il soddisfacimento delle necessità primare e l’accesso a servizi fondamentali sotto il profilo sanitario, logistico e trasportistico”.
Si specifica quindi che per le operazioni di soccorso svolte da “unità battenti bandiera straniera, che abbiano condotto le operazioni al di fuori dell’area Sar italiana, in assenza del coordinamento dell’Imrcc Roma, le attività assistenziali e di soccorso da attuarsi nel porto sicuro” possono “essere assicurate dal Paese di cui le attività navali battono bandiera”.
In altre parole, se la nave che soccorre i migranti non batte bandiera italiana, i migranti dovranno essere sbarcati nel Paese del quale la nave batte bandiera. Queste disposizioni, si legge ancora nel decreto, dureranno “per l’intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale” durante il quale, si specifica “i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di porto sicuro”.
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