Ha annunciato la linea dura nel negoziato post-Brexit con l’Ue, il primo ministro britannico Boris Johnson, il quale ha avvertito che se entro il mese di giugno non saranno stati fatti “buoni progressi”, il Governo di Londra è pronto a interrompere la trattativa e ad uscire il 31 dicembre anche senza accordo.

La scadenza del 31 dicembre quindi verrebbe rispettata in ogni caso per la separazione dall’Ue, ma in questo caso la fase di transizione si concluderebbe con il cosiddetto “no deal”. Le future relazioni con Bruxelles quindi si baserebbero in tale scenario solo ed esclusivamente sulle regole della World Trade Organization.

Nella giornata di ieri Downing Street ha reso nota la posizione dell’esecutivo britannico, che sembra si stia preparando alla prospettiva di completare il divorzio senza un accordo. Un annuncio che segue quello analogo fatto dall”Ue nei giorni scorsi in vista dell’avvio della trattativa previsto per la giornata di lunedì.

Alla linea intransigente del primo ministro Johnson siamo in realtà abituati, e non sorprende la sua dichiarazione di essere pronto a procedere con un “no deal”, ma sembra che anche l’Europa non stia scommettendo molto sulla buona riuscita del negoziato. Da Bruxelles infatti arrivano voci sempre più numerose secondo le quali appare “difficile” giungere ad un accordo data la divergenza degli obiettivi.

Per Londra è di prioritaria importanza riuscire ad evitare dazi sull’import-export e riuscire ad ottenere il maggiore accesso possibile all’Europa per i servizi finanziari della City, allo stesso tempo però non sarebbe disposta a garantire il rispetto delle norme europee su diverse procedure e settori.

Ed è lo stesso Johnson a dire che pretende di avere “la botte piena e la moglie ubriaca” espressione che è proprio lui ad utilizzare per descrivere la realtà dei fatti. Ed è proprio questo che rende sempre più plausibile un “no deal” seppure secondo alcuni rischi di essere la prospettiva più economicamente svantaggiosa per entrambe le parti.

“Il Governo lavorerà con il massimo impegno per arrivare a un accordo” affermano da Downing Street “tuttavia, se non sarà possibile negoziare un risultato soddisfacente, i rapporti commerciali con la Ue si baseranno sull’accordo di uscita del 2019 e saranno simili a quelli dell’Australia”.

L’accordo di uscita del 2019 cui accennano dall’ufficio del primo ministro è quello che fu raggiunto in seguito ai negoziati condotti da Boris Johnson con Bruxelles, e che fu definitivamente approvato dal parlamento britannico nel mese di dicembre dopo le elezioni che hanno visto stravincere il partito Conservatore.

Quanto al riferimento all’Australia poi, non ci sono accordi commerciali con l’Unione Europea al momento, anche se il Governo di Canberra sembra aver mostrato interesse affinché ci possano essere in un prossimo futuro. Londra quindi parla di rapporti “simili a quelli dell’Australia” quando in realtà si tratta semplicemente di “no deal”.

La decisione circa l’accordo da raggiungere con l’esecutivo comunitario dovrebbe essere presa secondo Boris Johnson, entro il mese di giugno. D’altra parte dopo l’accordo occorreranno comunque dei mesi per la ratifica da parte di tutti i parlamenti, ed in questo modo il premier britannico ritiene che un’intesa possa essere firmata a settembre.

L’uscita senza accordo però è uno scenario che non si può assolutamente escludere come detto, ed è lo stesso Johnson a sottolinearlo. Un “no deal” trasformerebbe la Gran Bretagna in una “sorta di Singapore-sulla-Manica” si legge su La Repubblica “una specie di paradiso fiscale ultraliberista davanti alle coste del continente”.

Il prezzo della nascita di questo grande paradiso fiscale in Europa potrebbe essere molto alto per l’industria britannica e per i suoi servizi finanziari, sempre stando a quanto afferma il noto quotidiano, e potrebbe avere conseguenze politiche su Scozia e Irlanda del Nord, che alla Brexit sono contrarie e spingono per l’indipendenza da Londra.

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