Alla fine il passo indietro c’è stato, da parte di Luigi Di Maio, quella delle dimissioini da capo politico del Movimento 5 Stelle era diventata una mossa obbligata. Non conosciamo tutti i retroscena, che forse verranno fuori col passare dei giorni o magari dei mesi, ma il fino a ieri leader del M5s ha parlato di nemici inaspettati, quelli che “uno non immagina mai di avere e che contraddicono i valori per i quali si è lottato insieme”.
Non sappiamo come sarà il Movimento 5 Stelle tra un paio di mesi, quando con gli stati generali del 15-17 marzo sarà stabilita la nuova guida, che potrà essere un nuovo capo politico oppure un comitato, ma sappiamo quello che è stato nell’epoca che si è appena chiusa, l’epoca Di Maio.
In questi due anni e mezzo di leadership di Luigi Di Maio il Movimento 5 Stelle ha raggiunto risultati insperabili, il picco di consensi del 33% raggiunto a marzo 2018, il primo ed il secondo Governo Conte. Ora però il movimento creato da Beppe Grillo è in totale subbuglio e le dimissioni del suo capo politico la dicono lunga su quanto sta cambiando e deve ancora cambiare.
È salito sul palco per fare quello che fino ad un paio di mesi fa nessuno credeva possibile, davanti alla platea del Tempio di Adriano a Roma, Di Maio ha comunicato la sua decisione di non essere più il capo politico del Movimento 5 Stelle.
Ormai la voce era già stata sparsa, quindi non è stata una vera sorpresa, ma una comunicazione che lo stesso Di Maio aveva anticipato qualche ora prima dopo averla esternata ai ministri 5 Stelle. Eppure l’effetto è stato ugualmente dirompente.
Di Maio, dopo un doppio ministero nel primo Governo Conte, ed il ministero degli Esteri nell’attuale esecutivo, lascia la guida del Movimento nelle mani di Vito Crimi, come da statuto.
“Oggi finisce un’era” ha dichiarato lo stesso Di Maio, che per certi versi ha scritto la parola fine sulla “prima repubblica del Movimento 5 Stelle”. Il motivo di tale decisione? Voci di corridoio dicono che “si era esaurita la spunta propulsiva”, ma il fatto che nel movimento qualcosa fosse, e probabilmente sia tutt’ora, prossimo ad esaurirsi è abbastanza chiaro da tempo.
Potrebbe essere questo l’inizio di una nuova era auspicabilmente migliore per il MoVimento, che si avvia attraverso un passaggio necessario, quello di “azzerare tutto”.
Di Maio: “stare al Governo richiede pianificazione e realismo”
Una decisione che Di Maio covava da tempo. Lui stesso ha ammesso di aver lavorato al suo discorso per un mese. Un discorso durato circa un’ora che arriva a pochi giorni dall’inizio di una tornata elettorale, quella delle regionali in Emilia Romagna e in Calabria, che sono una sconfitta annunciata per il Movimento 5 Stelle.
Nel suo discorso, Luigi Di Maio ha ricordato prima di tutto quali sono i traguardi raggiunti dal MoVimento durante la sua leadership. Ha iniziato proprio dai primordi, da quando “nessuno conosceva il nome di chi gli stava di fianco”, poi il Governo, anzi “i Governi” al plurale e le battaglie portate avanti caparbiamente, quelle contro i vitalizi, contro le pensioni d’oro, fino alla revoca delle concessioni ad Autostrade per l’Italia.
Battaglie dure ma che alla fine sono apparse “realizzabili”. Ed era proprio questa lunga serie di successi e di obiettivi centrati che aveva per certi versi “protetto” Luigi Di Maio da eventuali spallate, evidentemente pronte ad arrivare alla prima occasione, da parte di altri portavoce del Movimento.
“Stare al Governo richiede pianificazione e realismo” sottolinea Di Maio nel suo discorso, scandendo la differenza tra annunci e realpolitik. Una lezione che ammette di aver imparato solo una volta arrivati al Governo, quando hanno scoperto che “alcuni obiettivi non si potevano raggiungere”.
A quel punto non restava che puntare ad ottenere sempre “il miglior risultato possibile” ed è anche per questo che il Movimento “non può essere giudicato” solo “per 20 mesi al governo”. Insomma dare un voto ai 5 Stelle ora sarebbe prematuro, ma il voto incombe, se non sulla sua gestione come capo politico, inevitabilmente sull’insieme e soprattutto sui candidati alle regionali.
Di Maio: “i peggiori nemici sono quelli che uno non immagina mai di avere”
Molti probabilmente si aspettavano che a questo punto del discorso iniziasse una sorta di autocritica, e il fatto che questa non ci sia stata può essere interpretato come un segnale che l’addio non sia stato ben digerito da Di Maio.
Una scelta obbligata come anticipato, ed un mea culpa che c’è stato ma solo in colloqui privati, come è stato raccontato a IlFattoQuotidiano. Di Maio lascia la guida ma nel suo discorso non manca di attaccare i “traditori” colpevoli di averlo “pugnalato” alle spalle e sui giornali, restando comodamente nell’ombra per poi abbandonare il gruppo.
“I peggiori nemici sono quelli che uno non immagina mai di avere” inizia a spiegare Di Maio “e che contraddicono i valori per i quali si è lottato insieme”
“Sono quelle persone che al nostro interno lavorano non per il gruppo, non per gli obiettivi comuni, ma per la loro visibilità” dice Di Maio “persone che poi non ci mettono la faccia quando si tratta di lavorare per le soluzioni, che criticano senza voler costruire ma solo per distruggere”.
“A volte credo che sia anche questione di credere in quello che facciamo. Noi abbiamo un’occasione storica: quella di cambiare le cose in Italia, un’occasione unica e se negli ultimi anni avessimo avuto fiducia un po’ di più in noi stessi, senza sentire il bisogno di andare uno contro l’altro, probabilmente avremmo risultati ancora migliori di quelli che abbiamo raggiunto”.
Non ci sono state repliche a chi lo ha accusato di scarsa condivisione, non ci sono state risposte per chi gli ha contestato l’accentramento di poteri né per quelli che hanno criticato la scarsa trasparenza della macchina.
Di Maio, Di Battista e Conte
Poi Di Maio ha detto chiaramente di fidarsi del popolo grillino “mi fido di voi” ha confidato, ma è proprio di scarsa fiducia nei confronti di chi gli era a fianco che alcuni lo hanno accusato. Il risultato di questa poca fiducia sarebbe stato l’isolamento, un Di Maio che ha finito per allontanarsi anche da chi gli era più vicino, finendo per trovarsi costretto alla fine a cedere il posto di capo politico.
Un problema di leadership che riaffiora quando appare sulla scena Alessandro Di Battista, che ora potrebbe essere tra i favoriti, almeno dalla base del Movimento 5 Stelle, per assumere la guida. Non è detto però che lui non abbia altri progetti, e soprattutto bisognerà attendere l’esito degli stati generali di marzo per capire come sarà strutturato il movimento.
Anche il rapporto con Giuseppe Conte, seppur mai davanti ai riflettori, sembra sia stato più complicato di quanto dato a vedere. “Una persona incredibile” lo descrive Di Maio nel suo discorso di addio, ma anche “un cittadino diventato politico” con il quale, ammette di non essere sempre andato d’accordo.
Un Conte che Di Maio non riesce a non vedere per certi versi come una ‘sua creatura’, ma che sembra ormai da tempo perfettamente a suo agio nelle vesti di premier, e si muove con una autonomia quasi totale, apparendo sempre più spesso a suo agio col Pd più che con i 5 Stelle.
Di Maio toglie la cravatta
Ha detto che ha lavorato al suo discorso per un mese, e forse anche a quel gesto forse più denso di significato di quanto possa apparire ad un occhio meno attento.
“Dovete sapere che Gianroberto Casaleggio per tutti gli anni in cui l’ho conosciuto mi ha fatto un solo ed unico regalo, un libro che si intitolava L’elogio della cravatta di Maria Rosa Schiaffino” ha iniziato a raccontare Di Maio, che poi racconta un aneddoto e infine il suo messaggio.
“La cravatta per me ha sempre rappresentato un modo per onorare la serietà delle istituzioni della Repubblica e il contegno che deve avere un uomo dello Stato. E quindi nel ringraziarvi, nell’abbracciarvi, me la tolgo qui davanti a tutti“.
Un gesto che enfatizza il momento, quell’abbandonare un incarico gravoso, forse ormai anche troppo per un Di Maio lasciato spesso solo ad incassare critiche non sempre giuste. Però forse vuol dire qualcos’altro e preannuncia in qualche modo un ritorno alle origini, magari ad un Movimento 5 Stelle più vicino alla base e meno comodo ai vertici nell’attuazione di logiche e strategie politiche?
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