Il reato contestato a Matteo Salvini è quello di sequestro di persona, nel periodo in cui ricopriva la carica di ministro degli Interni, e vietò l’ingresso in porto finalizzato allo sbarco dei migranti che si trovavano sulla nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana.

Era il luglio 2019 e su quella nave c’erano 131 migranti che il leader della Lega allora titolare del Viminale, non intendeva far sbarcare. “Eventi sovrapponibili” secondo la difesa di Salvini a quelli che riguardarono nell’agosto del 2018 un’altra nave che trasportava migranti: la Diciotti.

Il no allo sbarco dei 131 migranti dalla Gregoretti sarebber arrivato quindi per motivi di “interesse pubblico di tutta la compagine governativa”, gli stessi interessi che valevano per i 137 migranti che stavano sulla Diciotti un anno prima. Di conseguenza, sostiene la difesa del leader leghista, se l’autorizzazione a procedere è stata negata per il caso della Diciotti, allo stesso modo dovrebbe essere negata per quello che riguarda la Gregoretti.

Sarebbe questa la linea della difesa di Matteo Salvini, che rischia l’incriminazione per sequestro di persona. Una linea che viene esposta in nove pagine, quattro delle quali per la ricostruzione dei fatti e le restanti cinque per negare una sua responsabilità in merito a quanto gli viene imputato. L’autrice della strategia difensiva è l’avvocato penalista Giulia Bongiorno che in questi giorni ha depositato la memoria presso la Giunta per le immunità del Senato.

I renziani pronti a votare per l’autorizzazione a procedere

A quanto si apprende però, la strategia seguita dalla difesa di Salvini non avrebbe prodotto i risultati sperati. I renziani infatti, cioè il gruppo del quale il leader del Carroccio contava di ottenere l’appoggio, avrebbero invece deciso di non sostenerlo e di votare invece per l’autorizzazione a procedere.

I 17 senatori di Italia Viva quindi non saranno dalla parte di Salvini, si esprimeranno invece in tutt’altro senso, vale a dire con lo stesso approccio che ebbero nel caso della Diciotti.

Lo spiega chiaro e tondo il coordinatore Ettore Rosato dicendo: “Salvini nella sua memoria ci ha spiegato che il caso Gregoretti è identico a quello della Diciotti. Salvini certamente conosce le carte meglio di noi, e se lui dice che i casi sono identici, noi ci comporteremo in modo identico, votando come per la Diciotti a favore dell’autorizzazione a procedere contro Salvini“.

Uno scenario che si prospetta tutt’altro che positivo per Matteo Salvini, che non solo si vedrà sconfitto in giunta il 20 gennaio, quando a favore dell’autorizzazione a procedere voteranno in 13 (6 M5s, 1 Pd, 3 Iv più Grasso di LeU, De Falco e DurnWalder dell’Swp) contro 10 (5 Lega, 4 FI, 1 FdI), ma anche in Aula, a fine febbraio, quando per il no i voti saranno a stento 140.

Per Iv, il raffronto con il caso della Diciotti rende semmai tutto più chiaro. “La memoria di Salvini non introduce alcun elemento nuovo. Il caso della Gregoretti, dopo il decreto sicurezza bis, è più grave di quello della Diciotti” spiegano i renziani “il sequestro scatta perché i migranti si trovavano già su una nave militare, quindi in territorio italiano”.

Per Salvini però bisogna considerare la linea collegiale del Governo, che dimostrerebbe che quanto accaduto era stato fatto nell’interesse del Paese. La difesa di Salvini cita quindi tre pagine del contratto di Governo 5 Stelle-Lega, ma anche le dichiarazioni dello stesso premier Giuseppe Conte.

Nel caso della Diciotti Luigi Di Maio e il premier Conte si dichiararono corresponsabili. “L’interesse pubblico è evidente sotto molteplici profili, che segnano inequivocabilmente la linea su cui si è articolata l’attività di tutta la compagine governativa nella gestione dell’evento in modo del tutto sovrapponibile a quanto avvenuto con la Diciotti” si legge più volte, con un chiaro tentativo di chiamare in causa il presidente del Consiglio, che al Senato evidenziò “la sussistenza di un preminente interesse pubblico messo a repentaglio da un incontrollato accesso di migranti”.

A sostegno di questa linea difensiva, Salvini riporta le email intercorse tra i ministeri di Esteri, Difesa e Trasporti con le quali si tentava di sollecitare l’esecutivo comunitario e provvedere alla ridistribuzione dei migranti. Negli allegati vengono anche riportate le dichiarazioni dell’allora vice premier Luigi Di Maio e quelle del Guardasigilli Alfonso Bonafede, i quali hanno esortato l’Ue “a farsi carico del problema”.

Una strategia difensiva debole, visto che, come evidenzia lo stesso Gregorio De Falco, ex 5 Stelle “ci fu collegialità del Governo sulla redistribuzione dei migranti, che però è il momento successivo a quello dello sbarco, e di quest’ultimo non c’è traccia”.

Piero Grasso di Liberi e Uguali parla addirittura di “difesa suicida” facendo presente che l’esecutivo di allora non è stato “coinvolto nell’assegnazione del place of safety e nello sbarco dei migranti, ma solo nella ricerca di Paesi disponibili per il ricollocamento” specificando che tale fase “nulla ha a che fare con il reato contestato a Salvini”.

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