Il Movimento 5 Stelle ha continuato ad accrescere i suoi consensi, superando il 30% alle poitiche del 2018, finché correva solo e non era al governo. Il voto ai 5 Stelle arrivava dai delusi dalla politica, era un voto di protesta si diceva, e probabilmente chi lo diceva non aveva torto, perché da quando i 5 Stelle hanno formato il primo governo, in alleanza con la Lega, i consensi hanno iniziato a calare.
Era l’alleanza con la Lega che metteva in cattiva luce il M5s, forse perché nel governo giallo-verde a un certo punto sembrava che si facesse tutto quello che pretendeva Matteo Salvini. In base ai sondaggi infatti qualcosa i grillini hanno recuperato a un certo punto, ed era proprio quando è arrivato qualche no. Al primo vero no infatti, quello sulla TAV, Salvini ha staccato la spina.
Nel frattempo da sopra il 30% il m5s era sceso sotto il 20, il tempo di recuperare qualche decimo di percentuale nei sondaggi e nasce un’alleanza ancora più scomoda, quella con il Pd. L’allenza su cui lo stesso Alessandro Di Battista dichiarò a suo tempo che se un giorno ci fosse stata, quello sarebbe stato il giorno in cui lui avrebbe abbandonato il Movimento 5 Stelle.
Di Battista per ora è fuori dal dibattito, tenuto lontano dalla politica da questioni personali, e nel frattempo sono arrivate le regionali in Umbria e con esse una pesante batosta per i grillini. Si sapeva che quella dell’Umbria era una causa persa, ma lo stato maggiore del Movimento alla fine ha deciso di provarci, ed è andata peggio di quel che si temeva.
Fugati i dubbi, almeno per il leader del M5s Luigi Di Maio, si torna alla vecchia linea, quella del correre da soli, contro la vecchia politica salvo eccezioni. L’alleanza con il centro-sinistra era un male necessario, pagato in consensi dal M5S, ma che alcuni elettori lo capiscano o meno, era necessario visti gli impegni con legge di Bilancio, vedi clausole di salvaguardia ecc.
Diverso il discorso dell’alleanza finalizzata al conseguimento di una vittoria. Un’alleanza con il Pd per evitare a tutti i costi che vinca la Lega era evidentemente troppo per l’elettorato 5 Stelle, e in Umbria, sebbene i dati della regione rossa vadano presi con le pinze, gli elettori hanno risposto con un misero 7%. Alleanza che invece non è costata nulla, in termini di consensi, al Pd, che tutto sommato ha retto, superando il 20% nonostante la pessima amministrazione del governatore uscente, piddino appunto.
Nicola Zingaretti infatti la sua gallina dalle uova d’oro non la vuole proprio perdere. Che si tratti anche solo di un misero 7%, del tutto insufficiente in Umbria, (ma quello era un caso disperato e si sapeva) potrebbe invece fare la differenza in Emilia Romagna, dove c’è sostanziale parità tra centrodestra e centrosinistra, e i 5 Stelle potrebbero essere l’ago della bilancia.
Di Maio però è stato chiaro: “il voto in Umbria dimostra che il M5s deve mantenere la terza via” ha dichiarato, aggiungendo poi a scanso di equivoci: “andremo da soli, che non significa non mettersi insieme a liste civiche, o ambrire ad un candidato presidente che vada oltre il Movimento”. Niente da fare quindi per il segretario dem, e questo potrebbe essere l’inizio della fine per il governo giallo-rosso.
Se il centrosinistra perde in Emilia Romagna portebbe cadere il governo?
Non è da escludere che una eventuale sconfitta del candidato del centro-sinistra alla presidenza della Regione Emilia Romagna possa causare un vero e proprio terremoto politico capace di minare le basi dell’esecutivo con tutto ciò che ne conseguirebbe.
Molto dipenderà dallo scarto tra le due forze in campo, visto che difficilmente il M5S giocherà un ruolo da protagonista. La sfida sarà tra il governatore uscente Stefano Bonaccini per il centrosinistra, e la senatrice della Lega Lucia Borgonzoni.
Secondo i sondaggi più recenti, si tratta sostanzialmente di un testa a testa, con il candidato del centrosinistra intorno al 44,5% e quello del centrodestra al 43,6%. Secondo lo stesso sondaggio realizzato dall’Agenzia Dire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ottenere solo un 8,5%, e tutto dipenderà dai molti indecisi, visto che la distanza tra i due candidati principali è di soli 0,9 punti percentuale.
E cosa succederebbe se quella distanza venisse ampiamente colmata nei 3 mesi scarsi che mancano al giorno del voto? Teoricamente il voto locale non determina alcuna conseguenza diretta per il governo nazionale. Ma se lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dovuto ‘richiamare all’ordine’ le forze di maggioranza in seguito alle reazioni al voto in Umbria, evidentemente una vittoria della Lega in Emilia Romagna potrebbe rappresentare un problema per l’attuale maggioranza di governo.
Col risultato in Umbria il M5s ha deciso di non correre più con il Pd per le regionali, che siano in Emilia Romagna o in Calabria non farà differenza. Cosa succederà dopo una eventuale sconfitta del Pd in Emilia Romagna causata dalla mancata alleanza coi 5 Stelle?
Dopo le dichiarazioni di Di Maio in merito alla chiusura rispetto ad alleanze strutturali con il Pd, Zingaretti ha dichiarato: “o si riscopre uno spirito comune o i motivi stessi di questo governo vengono meno” e ancora “quella di Di Maio è una posizione debole perché il M5s governa con il Pd. E vuole governare con altri tre anni con il Pd e non un piccolo paese dell’entroterra ma la Repubblica italiana. E’ inutile giocare con le parole: o l’alleanza è unita da una visione del futuro o non c’è“.
Insomma le parole del segretario dem ricordano un po’ il vecchio “o con noi o contro di noi”, ma quello che ci preme capire è se queste si potrebbero tradurre in una crisi di governo vera e propria davanti ad una sconfitta in Emilia Romagna. Difficile dirlo, ma il presidente della Repubblica ha messo subito le mani avanti, assicurando che non ci sarà spazio per altri rimpasti di maggioranza.
Le combinazioni sono state provate tutte, e quindi l’unica soluzione davanti ad una eventuale crisi sarebbe il ritorno anticipato alle urne. Questo potrebbe essere l’unico vero deterrente. Fine della seconda legislatura per Luigi Di Maio significherebbe, a meno che non si entri in deroga alla regola dei due mandati, fine della sua eseprienza politica coi 5 Stelle. Prospettiva tutt’altro che allettante, almeno a giudicare dalla sua ormai storica dichiarazione sul ‘mandato zero’.
Nemmeno a Matteo Renzi piacerebbe tornare a votare, visto che la sua nuova creatura, Italia Viva, non è ancora pronta a competere coi big della politica. Senza contare la ‘missione’ dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, incombenza che in caso di elezioni anticipate, a meno di miracoli, finirebbe per toccare ad un governo euroscettico.
Va da sè che nemmeno Zingaretti è ansioso di vedere quanti voti prende la Lega e il resto della coalizione sovranista. Infatti sono solo loro a spingere per un ritorno alle urne, ma lo stanno facendo dall’8 agosto, quindi nulla di nuovo.
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