A quanto pare non ci sarà nessuna alleanza tra il Pd di Nicola Zingaretti e il Movimento 5 Stelle. Non si tratta di formare un governo, non più, visto che quell’accordo è stato ampiamente raggiunto e dovrebbe iniziare a portare i suoi frutti quanto prima, ma di tentare il colpaccio alle prossime elezioni che si terranno in alcune regioni italiane.
Ci sperava il Partito Democratico, che aveva avanzato questa ‘generosa’ offerta ai 5 Stelle, e la Lega temeva che potessero accettare. Se non altro, almeno da questo punto di vista, Salvini può dormire sonni tranquilli, perché i grillini non hanno intenzione di stringere alleanze finalizzate alla vittoria di confronti elettorali.
La risposta ufficiale da parte del Movimento 5 Stelle è arrivata dopo qualche giorno ed è risultata essere un secco no, nonostante le lusinghe giunte da parte del PD. In mattinata, il segretario dem Nicola Zingaretti ha ripreso l’idea di Dario Franceschini definendola in fin dei conti “corretta”.
“Bisogna rispettare le realtà locali, ma se governiamo su un programma chiaro l’Italia, perché non provare anche nelle regioni ad aprire un processo per rinnovare e cambiare?” ha detto Zingaretti “ho sempre creduto nella necessità di aprire con coraggio e migliorare la vita delle persone”.
Fin qui potrebbe sembrare pura retorica politica, ma al Pd un’alleanza serve, e con una certa urgenza visto che il primo appuntamento, quello con le elezioni regionali in Umbria, si fa sempre più vicino. Lì il centro-sinistra potrebbe incassare una sonora sconfitta proprio per mano di quei partiti, Lega e Fratelli d’Italia in primis, che considerano la coalizione al governo alla stregua di usurpatori.
Decisivo anche il confronto in Emilia Romagna, con un Salvini più che agguerrito. “L’Alleanza? La facciano” sfida l’ex ministro dell’Interno “Questi nel nome della poltrona non conoscono vergogna, La facciano anche in Umbria. Li sfido.”
Ma come anticipato, il Movimento 5 Stelle non ne vuole sapere. Dopo alcuni segnali piuttosto chiari è arrivato il no. Maria Elena Spadoni annuncia che in Emilia Romagna il Movimento farà alleanze solo con liste civiche, linea confermata dallo stesso Manlio Di Stefano che ha spiegato: “non è previsto dal nostro statuto” e ha precisato poi che in ogni caso “non c’è alcuna volontà di farle”.
Una nota attribuita a “fonti M5S”, da ritenersi quindi ufficiale, ha poi confermato che “il tema delle alleanze alle regionali non è all’ordine del giorno. Dunque non c’è in ballo alcuna possibile alleanza con il Pd in vista delle prossime elezioni Regionali. Le priorità per il Movimento sono altre, ci sono temi importanti da affrontare e provvedimenti da realizzare in tempi celeri. Una cosa è certa: le dinamiche interne tra le forze politiche non interessano agli Italiani e non servono a far crescere il Paese. Rimaniamo concentrati sulle cose concrete come il taglio dei parlamentari e l’abbassamento delle tasse”.
Il Pd teme la scissione con l’ala renziana
A preoccupare il segretario dem Nicola Zingaretti, il rapporto con quell’ala del Pd che fa capo a Renzi. Timori che vanno ben oltre la questione delle elezioni Regionali, visto che le due correnti si trovano in disaccordo, a pochi giorni dalla fiducia al Conte bis, sulla questione della legge elettorale.
Sin dall’inizio si riteneva più realistico un dissidio interno al PD che non tra il Pd e il M5S, e così sembra che stia effettivamente accadendo. Zingaretti ne ha parlato anche a Porta a Porta, senza però riuscire a spiegare né a spiegarsi quali siano le ragioni che potrebbero portare ad una frattura. “L’unica cosa che non si capisce” ha detto il segretario “è quali motivi possano esserci alla base di un fatto tanto lacerante“.
Quelli che ne sanno di più, anche se in via del tutto ufficiosa, prevedono un passaggio, entro il 2020 di Renzi e altri 5 o 6 senatori al Gruppo Misto, mentre gli altri ‘fedelissimi’ resterebbero all’interno del Pd per questioni che si possono ricondurre ad una qualche strategia politica.
L’obiettivo potrebbe essere quello di costruire una forza centrista, percorrendo forse la strada aperta in questi giorni da Carlo Calenda, per poi formare un’alleanza con il Pd. “Dai test fatti un partito renziano prenderebbe tra il 2 e il 3%, che senso avrebbe questa operazione?” è la domanda che si pongono i dem, che mettono in conto anche il fatto che buona parte dell’area riformista, considerata vicina a Renzi, non seguirebbe l’ex leader Pd neppure in caso di separazione consensuale.
La sopravvivenza a Renzi, nel caso in cui decidesse di andare per la sua strada, la garantirebbe però una legge proporzionale, ed è questo il motivo per cui lui spinge in questa direzione. Il segretario del Pd però precisa che “ci sarà tempo per discutere. Non c’è nessuna decisione presa“.
Veltroni e Prodi intanto si sono già schierati per un sistema maggioritario sostenendo che “garantisce i governi” e “se tornassimo al proporzionale sarebbe il festival della frammentazione”. I 5 Stelle sono però favorevoli proprio al proporzionale, mentre dal Pd fanno sapere: “ci siamo impegnati ad accompagnare il taglio dei parlamentari con un nuovo sistema di voto. Non abbiamo sposato il proporzionale“.
In altre parole la riforma costituzionale che porterà al taglio dei parlamentari e che accompagnerà la nuova legge elettorale potrebbe portare ad uno stravolgimento degli assetti e delle alleanze. Intanto l’ultimo voto in Aula per la riforma slitta ad ottobre.
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