Per venir fuori dalla crisi di governo, il Pd ha posto inizialmente 5 condizioni. Li ha chiamati i “principi non negoziabili” che se accettati dai 5 Stelle possono rappresentare la base per un accordo e quindi per la formazione di una nuova maggioranza.

E’ stato poi il turno della delegazione del Movimento 5 Stelle, e Luigi Di Maio di punti ne ha enunciati 10 ai giornalisti. Un vero e proprio programma se vogliamo, che comprende le cose che si stavano per completare, prima che Salvini staccasse la spina, e quelle che sarebbero state fatte in seguito. I “10 impegni presi con gli Italiani” li ha chiamati Luigi Di Maio.

Insomma tra i 5 principi del Pd e i 10 punti del M5s dovrebbe trovarsi un punto d’incontro, possibilmente in breve tempo, visto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso fino a martedì. Ma un accordo sembra oggettivamente possibile, visto che grossi contrasti tra i 5 dell’uno e i 10 dell’altro non se ne notano.

Poi però dalle pagine di Repubblica e dell’Huffington Post viene fuori un retroscena e spunta fuori un 3: quello dei 3 paletti di Zingaretti. A occhio e croce la prima sensazione è che le cose si stiano complicando, e che trovare la combinazione giusta per far partire questa nuova maggioranza stia diventando sempre più difficile.

Ed infatti è così, in particolare per via del terzo dei tre paletti. Zingaretti avrebbe consegnato al presidente Mattarella i famosi 5 punti, che secondo le due testate citate poche righe fa si potrebbero riassumere in 3 richieste.

I punti alla base della possibile trattativa per un governo sono quelli decisi all’unanimità dalla Direzione di ieri e che abbiamo presentato oggi al Presidente della Repubblica” spiega il segretario dem Nicola Zingaretti “qualora ce ne fossero le condizioni e la disponibilità, è giunto il tempo di aprire una fase di confronto e approfondimento”.

Le parole di Zingaretti lasciano intravedere, anche con una certa chiarezza, un’apertura al dialogo coi 5 Stelle, ma quelle tre richieste nascoste nei 5 punti potrebbero in realtà far saltare l’accordo. Ed è proprio di questo che un’ala del Pd sta accusando il segretario, di voler far naufragare la trattativa per un governo coi grillini.

La prima delle tre richieste che allontanano il Paese dal governo Pd-M5s e lo avvicinano invece alle urne riguarda aspetti economici. Zingaretti vuole concordare nel dettaglio tutte le cifre che riguarderanno la manovra economica. La seconda richiesta riguarda le politiche migratorie e mira a cancellare i due decreti sicurezza che portano il marchio di Salvini. La terza richiesta, quella che potrebbe realmente precludere l’alleanza, riguarda il taglio dei parlamentari.

E probabilmente basterebbe quest’unico paletto a far saltare l’accordo, visto che il Movimento 5 Stelle si è espresso molto chiaramente sull’intenzione di portare a compimento la riforma costituzionale che prevede il taglio di 345 poltrone. Manca una sola firma, ha detto in più occasioni Di Maio, e in più occasioni ha anche detto che su questo punto il Movimento non cede.

Insomma quando Zingaretti parla di “centralità del Parlamento” si riferirebbe proprio alla questione del taglio dei Parlamentari, che il Pd non è intenzionato a votare. Un’idea però che non nascerebbe da Zingaretti ma dall’ex premier e presidente del Pd, Paolo Gentiloni. Allora è lui che vuole stroncare sul nascere ogni possibile alleanza col Movimento 5 Stelle? Alcuni, anche all’interno del Pd, hanno iniziato a pensarlo.

Andrea Orlando: “non abbiamo detto di non andare avanti col taglio dei parlamentari”

Una prima pezza ce la mette Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, che dichiara: “non abbiamo detto di non andare avanti col taglio dei parlamentari, abbiamo detto che va fatto con un quadro di bilanciamento, a partire anche dall’aggiustamento della legge elettorale. Quindi quantomeno non farlo subito ma vedere quali sono gli altri interventi di accompagnamento”.

“Abbiamo detto esplicitamente che siamo disponibili ad un governo di svolta che affronti i problemi veri del Paese” dice invece Graziano Delrio “siamo per fare una cosa seria e stabile. Siamo a favore del taglio dei parlamentari che pure avevamo già proposto in passato, ma chiediamo sia inserito in una agenda complessiva che tenga conto di una riforma della legge elettorale che garantisca rappresentanza democratica ai territori”.

Delrio spiega poi che “i tempi si possono decidere insieme, visto che in ogni caso il taglio entrerebbe in vigore nella prossima legislatura” e tocca anche un altro paletto “un accordo preventivo sui contenuti della legge di bilancio è segno di serietà e di attenzione alle priorità del Paese. Nessun tentativo di far fallire quindi, ma piuttosto di fondare su solide basi un governo all’altezza della crisi”.

Ma è l’ala renziana all’interno del Pd ad essere maggiormente in subbuglio per la questione dei 3 paletti di Zingaretti. I renziani si dicono “sconcertati” anche perché è stata data “piena fiducia e pieno sostegno al segretario” e ricordano che “in Direzione non abbiamo nè discusso nè votato quei 3 punti”.

Anna Ascani dopo un colloquio con Matteo Renzi ha dichiarato: “se di fronte al rischio della destra così come si presenta, con Salvini e Meloni in primissima linea, qualcuno nel Pd pensa di far saltare il banco di un possibile governo, istituzionale o di legislatura, sul taglio dei parlamentari, se ne assumerà le responsabilità di fronte al Paese e all’Europa” e conclude in sintesi: “le condizioni sono quelle poste in direzione, altre condizioni rischiano di essere fuori luogo in questo momento.”.

Da Matteo Orfini arriva invece un quieto richiamo all’ordine. “A consultazioni aperte non ci si parla con veline e contro veline. Non si fanno esegesi anonime. Non si gioca con le dichiarazioni fatte da ‘fonti vicine a’. Si va al Quirinale e si parla lì. Per rispetto al Capo dello Stato, al Paese. E anche a se stessi.”.

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