In questi giorni si è fatto un gran parlare del limite del secondo mandato, regola fino ad ora intoccabile per il Movimento 5 Stelle. Ma in cosa consiste di preciso questa norma? Alla base di questa idea c’è la convinzione che chi si occupa di politica non dovrebbe farlo come professione, perché questo potrebbe portare ad un certo attaccamento alla poltrona. La regola dei 2 mandati insomma dovrebbe arginare quella deriva individualista che spinge il singolo a curare i propri interessi personali a discapito di quelli della collettività.
La regola dei due mandati del Movimento 5 Stelle
Il Movimento 5 Stelle viene fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio in seguito alle prime esperienza dei Meetup e delle liste civiche, il 9 settembre 2009. Il M5s nasce con annesso programma, sebbene non particolarmente dettagliato, e regolamento interno, nel quale tra le varie regole vi è quella dei due mandati di cui tanto si parla in questi giorni.
All’inizio, nonostante le folle che accorrevano numerose ad ogni V-Day, gli iscritti nel Movimento di Beppe Grillo erano soltanto 6.000. Un anno dopo il numero era decuplicato, raggiungendo i 60.000. Nel 2016 gli iscritti erano più che raddoppiati raggiungendo il numero di 135.000.
Le regole per poter entrare a far parte del Movimento 5 Stelle sono piuttosto stringenti, infatti per candidarsi alle varie elezioni ci sono sia delle procedure da rispettare che dei requisiti da soddisfare. Non si devono avere condanne penali, non essere iscritti a nessun partito politico né a società di stampo massonico.
Ma veniamo alla regola dei due mandati. Viene espressa in maniera molto chiara, quindi non vi è alcuna libertà di interpretazione. Lo statuto recita: “non aver già svolto, anche per periodi parziai, due mandati elettivi ad una o più delle cariche indicate al punto precedente.”
L’intoccabilità della regola dei due mandati era stata ribadita anche dallo stesso Beppe Grillo, che aveva dichiarato: “questa regola non si cambia né esisteranno mai deroghe ad essa.” Altrettanto chiaro era stato Luigi Di Maio quando con un post su Twitter affermò: “la regola dei due mandati per i parlamentari del M5s non è mai stata messa in discussione e non si tocca. Né quest’anno, né il prossimo, né mai.”
Fino ad ora quindi la regola dei due mandati non sembrava a rischio, poi qualcosa ha iniziato a cambiare con le recenti elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna e le elezioni europee, dove il Movimento 5 Stelle ha subito una pesante sconfitta vedendo il proprio elettorato sostanzialmente dimezzato. Nelle elezioni politiche i 5 Stelle erano diventati il primo partito italiano, nelle europee sono risultati essere il terzo.
Un terzo mandato non solo per gli amministratori locali ma anche per i parlamentari
Già in seguito al voto delle politiche del 2018, quando il Movimento 5 Stelle aveva superato il 33% dei consensi, diventando il partito più votato d’Italia, si era iniziato a parlare della possibilità di una modifica della regola del secondo mandato.
Il problema in quell’occasione si poneva nel caso in cui, nonostante l’eccellente risultato in termini di consensi, non si fosse stati in grado di formare un governo a causa della legge elettorale vigente, che non prevedeva alcun premio di maggioranza.
In quel caso la legislatura non sarebbe neppure iniziata, e si sarebbe potuti tornare anticipatamente alle urne. Naturalmente se le cose fossero andate in quel modo, insomma se non fosse subentrato il contratto di governo che sanciva l’alleanza con la Lega di Salvini, il Movimento 5 Stelle avrebbe riproposto gli stessi candidati del 4 marzo. Una vera e propria deroga alla regola del secondo mandato non sarebbe stata neppure necessaria, perché la stessa sarebbe stata agevolmente aggirata.
In seguito, con la disfatta alle europee e alle regionali in Sardegna e Abruzzo si è iniziato a vociferare di un possibile terzo mandato per gli amministratori locali. Alessandro Di Battista, ospite in Tv da Lilli Gruber ne ha parlato di recente definendosi possibilista, in caso di elezioni anticipate, per una deroga della regola anche per i parlamentari, che in quella evenienza non terminerebbero di fatto la legislatura.
E’ stato però il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio a ipotizzare il terzo mandato per amministratori locali. “Nuove regole per i consiglieri comunali” ha affermato Di Maio “per esempio che il loro secondo mandato non valga e possano candidarsi anche al consiglio regionale o in Parlamento“.
E’ nata così l’idea del mandato zero, che se dal punto di vista concettuale può essere comprensibile o almeno in parte giustificabile, non funziona benissimo sotto l’aspetto della comunicazione, e si è attirata fin da subito una lunga serie di battute ironiche che hanno spopolato sui social.
Si era anche pensato, in un primo momento, di limitare i mandati invece che nel numero, nella durata complessiva. Si era ipotizzato quindi di porre il tetto dei 10 anni, così le legislature non terminate sarebbero state conteggiate per la loro durata effettiva.
Ma per quale motivo si sta cercando di mettere da parte la regola dei due mandati? Si potrebbe pensare che si tratti di una questione di “attaccamento alla poltrona”, il sospetto naturalmente è legittimo. Il problema che si pone per i parlamentari 5 stelle però sembra essere effettivamente di natura pratica. Rispettando il vincolo infatti, il Movimento 5 Stelle rimarrebbe già dalle prossime elezioni politiche, quasi completamente privo di classe dirigente. Tutti i big, ad eccezione di Alessandro Di Battista e Paragone, non potrebbero raccogliere i frutti dell’esperienza accumulata e resterebbero tagliati fuori, mentre il testimone passerebbe ai nuovi arrivati. In altre parole si ripartirebbe da zero.
La deroga alla regola del secondo mandato dovrà comunque essere approvata dai tesserati del movimento attraverso una votazione sulla piattaforma Rousseau. Se la modifica dovesse essere accolta dagli attivisti, un consigliere comunale pentastellato che giunge al suo secondo mandato, avrà la possibilità di candidarsi ancora una volta per il Parlamento, per la Regione o in Europa.
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