Abbiamo assistito in questi mesi ad una costante e duratura impennata dei prezzi delle materie prime agricole, come il grano soprattutto, ma anche olio di palma e fertilizzanti. Una situazione che, in seguito alla firma degli accordi sul Mar Nero del 22 luglio, avrebbe tutte le potenzialità per sbloccarsi, eppure questo non accadrà.
L’intesa raggiunta sortirà i suoi effetti benefici solo in parte, con un incremento dell’offerta quanto meno per i mercati nordafricani, mediorentali e asiatici grazie alla ripresa delle esportazioni dall’Ucraina.
Nitesh Shah, head of Commodities & Macroeconomic Research, Europe di WisdomTree, spiega che l’accordo rappresenta effettivamente un passo avanti nella giusta direzione, ma “non è ancora sufficiente per una piena ripresa dei flussi di esportazione ucraini. Il piano attuale prevede 4,5-5 milioni di tonnellate di esportazioni al mese, da soli tre porti: Odessa, Choronomorsk e Pivdennyi che insieme rappresentano circa la metà della capacità portuale dell’Ucraina. Tuttavia, il porto chiave per i cereali di Mykolaiv non è incluso nell’intesa, essendo un obiettivo nel conflitto in corso”.
La crisi del grano negli Usa
La situazione negli Usa conferma il momento difficile per quel che riguarda le materie prime alimentari. Se osserviamo infatti l’andamento dei prezzi del grano, notiamo che tra i mesi di giugno e luglio vi è stato un incremento del +22,3%. Secondo l’International Grains Council (IGC) dobbiamo aspettarci che le scorte globali di grano diminuiranno ai minimi da quattro stagioni nel 2022/2023, prevalentemente per via dei cali della produzione in India e nei principali Paesi esportatori.
Tra i maggiori esportatori di Grano troviamo infatti Stati Uniti ed Europa, che hanno al momento le scorte di grano più alte degli ultimi nove anni. Negli Usa in particolare il rapporto scorte di grano e utilizzo si attesta intorno al 35,33, ed è il livello più basso toccato negli ultimi sei anni, come evidenziato da Shah di WisdomTree.
Ed è sempre Shah a sottolineare: “il calo dei prezzi si scontra con i fondamentali di settore, e ci aspettiamo che il rischio di offerta continui a sostenere i prezzi”.
La crisi energetica e gli effetti sul mercato dei fertilizzanti
Il calo dei volumi dei raccolti dipende in parte anche dall’aumento dei prezzi dei fertilizzanti che è strettamente correlato ai rincari sui prodotti energetici che pesa ormai da diversi mesi sull’andamento dell’intero comparto.
Nel caso delle colture di mais tuttavia, il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha aumentato le stime per le scorte globali da 310,5 a 312,9 milioni di tonnellate, grazie agli Stati Uniti e ad una revisione al rialzo delle scorte iniziali.
Secondo le stime dell’USDA, il rapporto scorte/utilizzo globale si attesterà intorno al 26,5% nel periodo 2022/2023, in linea con la media degli ultimi 10 anni. “Essendo una coltura ad alta intensità di fertilizzanti, riteniamo che il prezzo del mais sconti l’impatto della forte riduzione dell’uso di questi ultimi nell’emisfero settentrionale durante la primavera” spiega infatti Nitesh Shah.
“Il forte aumento dei prezzi dei fertilizzanti, infatti, è stato insostenibile per gli agricoltori ed è probabile che questo faccia diminuire i rendimenti globali nel corso dell’anno prossimo” ha poi osservato l’esperto, facendo notare che l’andamento dei prezzi del gas naturale ha avuto un impatto sui prezzi dei fertilizzanti, motivo per cui con il continuo aumento dei prezzi del gas “ci aspettiamo che la tendenza al rialzo dei prezzi continui, il che potrebbe comportare una riduzione dell’utilizzo da parte degli agricoltori, mettendo a rischio le rese agricole globali e causando un’ulteriore pressione sull’offerta”.
Perché cala la produzione di cotone
Un trend completamente diverso da quello delle materie prime alimentari lo si osserva nella produzione di cotone. Il prezzo in questo caso ha infatti subito un crollo del 30,6% rispetto al mese precedente, e questo porta a due gli anni di crisi del comparto.
Il motivo è da ricercarsi nel calo delle prospettive dei consumi globali legato alle forze macroeconomiche negative che frenano la domanda di beni da parte dei consumatori a causa dell’altissima inflazione.
L’USDA registra quindi un drastico calo delle importazioni per il settimo mese consecutivo, soprattutto per i principali Paesi consumatori di cotone quali Cina, Pakistan, Vietnam e Bangladesh. La Cina, che è il maggior importatore di cotone al mondo, mostra una diminuzione notevole della domanda dall’inizio dell’anno solare.
Intanto su scala globale la produzione risulta diminuita di 1,2 milioni di balle, con un netto calo del raccolto statunitense delle colture del Texas, che rappresenta oltre il 50% delle piantagioni del Paese.
Le previsioni sull’andamento dei prezzi del grano per il 2023
I prezzi del grano non scenderanno almeno per il momento, quanto meno questo è quanto molti osservatori prevedono in questa fase. Secondo Felix Odey, Portfolio Manager, Global Resource Equities di Schroders, i prezzi del grano resteranno su livelli alti anche per il prossimo anno.
Si prevede una domanda ancora elevata mentre l’offerta invece di aumentare si ridurrà ulteriormente sia quest’anno che il prossimo. Nel 2023 si stima anzi un peggioramento della tensione tra domanda e offerta per quel che riguarda il grano, anche per via dei modelli climatici imprevedibili che stanno aumentando il livello di incertezza dell’offerta, che si va ad aggiungere al sempre presente rischio di improvvise interruzioni della produzione in Ucraina.
L’uso dei fertilizzanti nelle colture si andrà progressivamente riducendo per via dei forti aumenti dei prezzi, e a causa dell’interruzione dell’offerta nei mercati dei fertilizzanti determnata dalla guerra in Ucraina.
Appare evidente la causa dell’aumento dei prezzi se si tiene conto dell’importanza dell’Ucraina e della Russia come esportatori di prodotti alimentari e di altre materie prime. Se prendiamo ad esempio olio di semi di girasole e cereali quali mais, grano e orzo, notiamo che sono stati i più colpiti nel comparto agricolo.
Per quel che riguarda in particolare la questione dei fertilizzanti invece, possiamo osservare che a subire le maggiori interruzioni nella produzione è stato il potassio, che rappresenta il 40% delle esportazioni globali se si include anche la Bielorussia.
Cosa sta succedendo con l’olio di palma
È inevitabile che con l’interruzione delle esportazioni di materie prime alimentari dall’Ucraina e dalla Russia ci saranno delle ripercussioni sui prezzi anche di altre materie prime dello stesso comparto.
Felix Odey spiega a tal proposito che “i prezzi dell’olio di palma, ad esempio, sembrano destinati a salire, dato che viene sempre più utilizzato come sostituto dell’olio di semi di girasole. L’aumento dei prezzi di un’ampia gamma di materie prime riduce anche l’incentivo per gli agricoltori di altre zone a sostarsi verso la coltivazione del grano, il che risolverebbe alcuni dei vincoli dell’offerta, visto che possono comunque ottenere prezzi buoni per altre colture”.
Come cambia la semina in corso
Una delle possibili soluzioni, per colmare il calo dell’offerta in alcuni campi come quello delle materie prime alimentari, sarebbe quella di incrementare la produzione in altre regioni, ma solo in teoria. All’atto pratico infatti questa strada è resa impercorribile dalla disruption dei fattori di produzione come i fertilizzanti.
L’incremento di prezzo dei fertilizzanti per gli agricoltori statunitensi è stato del +14% nel 2020, e del 23% circa nel 2022. Questo ha indotto dei cambiamenti nella semina, infatti secondo l’ultimo sondaggio dell’USDA gli agricoltori preferiscono piantare livelli record di soia, che richiede meno fertilizzanti, e meno grano e mais primaverili.
Di recente si sono registrati segnali di una pesante riduzione della domanda di fertilizzanti, e questo perché molti agricoltori hanno rinunciato all’acquisto, nei limiti di quanto possibile, sperando che nel corso dell’anno o comunque nel prossimo futuro, si possa beneficiare di un calo dei prezzi.
Scarsità di cibo e transizione verso i biocarburanti, in che modo sono collegate
Uno degli effetti delle tensioni sui mercati delle materie prime agricole potrebbe essere, oltre alla limitazione delle esportazioni, anche il cambiamento dei flussi e dell’utilizzo.
Attualmente viene utilizzato per l’alimentazione animale circa il 20% del grano mondiale, ma si tratta di una quota che potrebbe presto ridursi grazie all’introduzione di prodotti sostitutivi, in modo da riservare il grano per il consumo umano.
Un altro settore che potrebbe essere toccato dalla scarsità dell’offerta di materie prime alimentari è quello dei biocarburanti. Questo perché circa il 10% del grano mondiale viene utilizzato per questi speciali carburanti green.
Possiamo prevedere che le aziende che producono biocarburanti di prima generazione, vale a dire quelle che usano alimenti commestibili invece dei rifiuti, subiscano delle pressioni nel momento in cui i governi andranno ad eliminare i sussidi messi in campo in passato per spingere la svolta green anche su questo binario.
Nel frattempo osserviamo un cambiamento del quadro a lungo termine dell’approvvigionamento alimentare. Il dato relativo all’aumento della popolazione indica che la produzione mondiale di acqua e di cibo dovrebbe aumentare del +70% entro il 2050 rispetto ai livelli del 2010, ma si tratta di un obiettivo che difficilmente verrà raggiunto.
A remare contro potrebbe essere tra le altre cose il clima e i fattori ambientali, con la previsione di una riduzione di circa due terzi della disponibilità di risorse entro il 2050 appunto.
Secondo Felix Odey “nel breve termine è probabile che la sicurezza alimentare diventi la priorità dei governi. In prospettiva, il sistema deve essere reso più sostenibile, altrimenti sarà soggetto a cicli di feedback negativi sempre più dannosi, come fenomeni meteorologici estremi e degrado dell’ecosistema”.
“Anche in uno scenario di 2 gradi di riscaldamento globale, si prevede che le rese di grano e mais diminuiranno, rispettivamente, del 14% e del 12%. Tutto ciò delinea un quadro di prezzi agricoli elevati nel prossimo futuro” spiega ancora l’esperto di Global Resource Equities di Schroders.
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