Il Reddito di Cittadinanza è una misura che è stata ed è tuttora fortemente criticata da alcune forze politiche che di fatto si ritrovano a dar voce al malcontento di alcune fasce di popolazione, tipicamente costituite da imprenditori, che incolpano il sussidio grillino delle difficoltà nel reperire manodopera (a basso costo).
In passato abbiamo già approfondito, analizzando indagini svolte sul campo e pubblicate su autorevoli testate giornalistiche, quali sono le condizioni di lavoro offerte a quei giovani accusati di non ‘aver voglia di lavorare’ e di ‘preferire rimanere sul divano’ perché percepiscono il Reddito di Cittadinanza.
Il sussidio in questione tuttavia, ed appare evidente, non può certo essere, tanto meno così com’è oggi, la soluzione ideale in un Paese lacerato da profonde ingiustizie sociali in cui va costantemente allargandosi il divario tra redditi alti e redditi bassi, con una classe media che si sta letteralmente estinguendo.
Vi sono però alcuni dati che evidenziano da una parte quanto sia importante, almeno in questa fase, garantire un sussidio minimo a decine di migliaia di cittadini in difficoltà, e dall’altra mostra quanto gravi siano le condizioni in cui versa il mercato del lavoro in Italia.
Grazie al Reddito di Cittadinanza 1 milione di poveri in meno
Il primo dato, quello che indica quanto una misura come il Reddito di Cittadinanza risulti (purtroppo) fondamentale nell’attuale situazione economica, arriva direttamente dall’Istat.
L’Istituto di Statistica ha infatti pubblicato proprio in questi giorni il rapporto annuale, ed è emerso che “le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare il Reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (circa 500 mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta”.
Se non ci fossero stati questi sussidi infatti, sempre stando ai dati pubblicati dall’Istat, in Italia avremmo avuto nel 2020 una intensità di povertà di 10 punti più alta, che ci avrebbe fatto raggiungere quota 28,8%, contro il 18,7% osservato dall’istituto di statistica.
Nonostante queste misure però la situazione in cui versa l’Italia non è affatto incoraggiante. L’Istat ha rilevato che il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato tra il 2005 e il 2021, passando da 1,9 a 5,6 milioni, che corrispondono a una percentuale del 9,4% sul totale della popolazione del Paese.
Il numero di famiglie che si trovano in condizioni di povertà assoluta invece è raddoppiato, passando da 800 mila a 1,96 milioni, il 7,5% del totale dei nuclei familiari del Paese.
I dati dell’Istat ci permettono anche di apprendere che la condizione di povertà assoluta è più frequente tra i minori, e si è passati dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. Inoltre si riscontra una dinamica particolarmente negativa anche nella fascia di età 18-34 anni con un’incidenza che è passata dal 3,1% del 2005 all’11,1% del 2021.
Il Reddito di Cittadinanza risulta quindi in questa fase una misura della quale almeno un milione di cittadini italiani non possono fare a meno. Sarebbe pertanto da irresponsabili sopprimere o ridimensionare il sussidio senza prima aver risollevato il mercato del lavoro del Paese.
Inps: “il 23% dei lavoratori ha paga più bassa del Reddito di Cittadinanza”
Ed ecco il secondo dato che indica in modo quanto mai eloquente il motivo per cui l’Italia non può proprio fare a meno del reddito di cittadinanza. Il virgolettato ripreso da numerosi media e attribuito all’Inps fa saltare subito alla mente le lamentele di tutti coloro che incolpano giovani e meno giovani di non aver voglia di lavorare.
È doveroso infatti domandarsi quanto l’attuale situazione sia imputabile alla poca voglia di lavorare degli italiani, e quanto sia invece imputabile al fatto che in Italia gli stipendi sono troppo bassi. Talmente bassi che quasi un lavoratore su quattro guadagna meno di chi prende il Reddito di Cittadinanza.
Di recente abbiamo anche visto che mentre in tutta Europa i salari sono aumentati negli ultimi anni, in alcuni casi persino triplicati o almeno raddoppiati, l’Italia è l’unico Paese in cui si sono persino ridotti.
Vediamo però quali sono esattamente le osservazioni che arrivano direttamente dall’Inps e che in modo così eloquente descrivono lo stato del mercato del lavoro in Italia.
Dall’Inps fanno sapere infatti che la distribuzione dei redditi tra i lavoratori dipendenti “si è ulteriormente polarizzata” con una quota crescente di lavoratori che “percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza”.
È lo stesso presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ad indicare questa situazione in occasione della relazione sul XXI Rapporto annuale dell’istituto. Il numero uno dell’istituto di previdenza ha anche precisato che “il 23% dei lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese, considerando anche i part-time”, mentre “l’11% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva”.
Poi c’è il nodo pensioni, con il 32% dei pensionati che vive con meno di mille euro al mese. È ancora il rapporto dell’Inps a mettere in evidenza che nel 2021 i pensionati con redditi da pensione sotto i 1.000 euro al mese erano il 32% del totale, per circa 5 milioni e 120 mila persone.
Inoltre se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell’imposta sul reddito personale, senza considerare varie forme di indennità di accompagnamento, eventuali maggiorazioni sociali e via dicendo, secondo l’Inps la percentuale di pensionati che hanno un reddito da pensione inferiore ai 12 mila euro l’anno sale addirittura al 40%.
Pensioni da 750 euro al mese per i lavoratori della generazione X
Il ritratto che l’Inps fa dell’Italia è impietoso quanto veritiero, e non si limita a descrivere la situazione attuale che pure è piuttosto grave, ma indica anche gli scenari futuri cui stiamo andando incontro.
In particolare il rapporto dell’Inps evidenzia che mentre oggi sono circa 4,3 milioni i lavoratori che percepiscono una paga inferiore ai 9 euro lordi l’ora, per i pensionati di domani che appartengono alla cosiddetta generazione X (nati tra il 1965 e il 1980), si prospettano scenari a dir poco angoscianti.
“Se il quadro occupazionale appare promettente, segnali più preoccupanti vengono dalla dinamica retributiva” spiegano dall’Inps, che poi ipotizza per i nati tra il ’65 e il ’79 con 30 anni di contributi versati e un salario da 9 euro l’ora, una pensione a 65 anni da 750 euro al mese.
L’Inps osserva che i giovani lavorano mediamente tre anni in più rispetto ai più anziani e spiega che “se il soggetto percepisse 9 euro l’ora per tutta la vita attiva, si stima che l’importo di pensione si aggiri sui 750 euro mensili (ai prezzi correnti), un valore superiore al trattamento minimo, pari a 524 euro al mese per il 2022″.
I salari in Italia invece di crescere come accade nel resto d’Europa continuano a ridursi, e nel frattempo le spese per le famiglie continuano ad aumentare con un’inflazione verso massimi storici e i prezzi dei prodotti energetici che non sono mai stati così alti.
Il peggio però deve ancora venire, a meno di clamorosi colpi di scena, ma restando alla situazione attuale il ritratto del Paese ci mostra una situazione disastrosa per quel che riguarda in particolare il mercato del lavoro, con un problema che assume proporzioni ancora più allarmanti se si tiene conto del costante aumento dei prezzi cui stiamo assistendo da mesi.
“La crescita dei prezzi osservata dalla seconda metà del 2021 fino a maggio 2022, in assenza di ulteriori variazioni al rialzo o al ribasso, potrebbe determinare a fine anno una variazione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo pari a +6,4%” spiega il rapporto annuale dell’Istat “senza rinnovi o meccanismi di adeguamento ciò comporterebbe un’importante diminuzione delle retribuzioni contrattuali in termini reali che, a fine 2022, tornerebbero sotto i valori del 2009″.
L’Istat ha spiegato anche che “nel 2021 la dinamica salariale si è mantenuta molto moderata, con aumenti delle retribuzioni contrattuali per dipendente dello 0,7% e dello 0,4% per quelle lorde di fatto per unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (Ula)”. “La forte accelerazione dell’inflazione negli ultimi mesi rischia di aumentare le disuguaglianze poiché la riduzione del potere d’acquisto è particolarmente marcata proprio tra le famiglie con forti vincoli di bilancio“, con conseguente aumento delle disuguaglianze sociali.
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