soldato ucraino di fronte ad edificio distrutto dalle bombe

La missione speciale russa in Ucraina è tutt’altro che terminata, e grazie al più o meno costante supporto dei Paesi Nato che continuano ad inviare armi a Kiev, senza peraltro incidere minimamente sull’esito del conflitto che appare comunque scontato, i tempi non fanno che allungarsi ulteriormente, con tutto ciò che ne deriva in termini di devastazione del territorio.

Eppure si parla già di quali sarebbero i costi per la ricostruzione dell’Ucraina a guerra finita, e le cifre che vengono fuori sono già adesso da capogiro. Il premier ucraino, Denys Shmyhal, ha spiegato in occasione della Ukraine Recovery Conference 2022 che “per ricostruire l Paese serviranno 750 miliardi di dollari, una somma che useremo per finanziare 850 progetti che ridaranno un volto vivibile al Paese“.

Naturalmente il costo stimato dal premier ucraino per la ricostruzione del Paese non tiene conto di quello che accadrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ma per quel che riguarda la provenienza di queste ingenti risorse Shmyhal non sembra avere molti dubbi: dovranno arrivare dalla Russia.

La maggior parte dei finanziamenti per ricostruire l’Ucraina, dopo che il governo di Kiev l’ha lanciata in un conflitto armato senza speranza contro la Russia, dovranno arrivare proprio da Mosca, “cioè dalla Federazione russa e dai suoi oligarchi i cui beni in Europa sono stimati tra i 300 e i 500 miliardi di dollari” come lo stesso premier ha tenuto a sottolineare.

Quanto alla restante parte, i circa 250 miliardi di dollari mancanti, arriverà invece “dai prestiti agevolati delle organizzazioni finanziarie internazionali e dai Paesi amici, dagli investimenti del settore privato e dal bilancio interno ucraini”. La realtà però è un po’ più complessa di così, e le probabilità che le cose vadano secondo quanto illustrato da Shymyhal sono quanto meno esigue.

Chi pagherà per la ricostruzione dell’Ucraina? Gli ostacoli normativi

Tutte le considerazioni svolte nel merito dei costi per la ricostruzione del Paese e della provenienza delle risorse si fondano sull’assunto tutt’altro che realistico che il conflitto termini in tempi relativamente brevi e che ciò avvenga con la vittoria dell’Ucraina.

Anche ammettendo che sia questo lo scenario vi sono comunque degli ostacoli che, tuttavia, potrebbero essere superati con qualche ritocchino qua e là dove serve per modificare le leggi internazionali attualmente in vigore, come lo stesso premier ucraino auspica.

“Certo, possiamo violare una legge fondamentale come il diritto di proprietà” ha spiegato infatti il presidente della Confederazione elvetica, Ignazio Cassis nel corso di una conferenza stampa proprio con il premier ucraino Shmyhal “ma dobbiamo creare la base giuridica”. Berna insomma non si mostra così incline e far carta straccia del diritto di proprietà, eppure resta una strada che non viene del tutto esclusa, tanto più che secondo le stime le ricchezze degli oligarchi russi nella Confederazione elvetica ammontano a 190 miliardi di euro.

Qualche perplessità sulla linea da seguire in tal senso sono state espresse però anche dalla segretaria del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, che ha affermato che “l’accaparramento delle riserve di Mosca non è qualcosa da considerare alla leggera”.

Un’opinione che trova conferma anche in quanto affermato da Simon Henrichsen, professore presso la London School of Economics, che nel corso di un’intervista rilasciata al Financial Times ha spiegato che “sarebbe essenzialmente un’azione che elimina il sistema di economia politica internazionale che abbiamo istituito nei decenni”.

In parole povere si andrebbe oltre una linea di demarcazione importante, si tratterebbe di una sorta di ‘punto di non ritorno’ superato il quale si avrebbero effetti imprevedibili.

A pagare per la ricostruzione dell’Ucraina, quali che siano le risorse necessarie alla fine del conflitto, non potranno essere gli oligarchi russi. Lo stesso Mark Lattimer, direttore della ONG Ceasfire Centre, ne ha parlato in un articolo su The Guardian, dove ha spiegato che “l’obbligo di pagare le riparazioni ricade maggiormente sulla Russia, ma evidentemente non pagherà di propria iniziativa. Inoltre, né la Corte internazionale di giustizia, la Corte penale internazionale o la Corte europea dei diritti umani sono in grado di concedere riparazioni della portata richieste dal conflitto in Ucraina”.

Come si potrebbe costruire la base giuridica per far pagare la Russia

I Paesi occidentali continuano a ‘fare i conti senza l’oste’ e proprio domani dovrebbe tenersi a L’Aja l’incontro tra l’Unione europea e la Corte internazionale di Giustizia a proposito di presunti crimini di guerra russi in Ucraina, una conferenza che tuttavia rischia di rivelarsi del tutto vana.

Ci sono degli ostacoli giuridici, come abbiamo visto, ma non solo, perché manca del tutto una struttura in grado di trasferire il valore dei beni sequestrati ai cosiddetti oligarchi russi dai Paesi occidentali all’Ucraina. Non dimentichiamo poi che in Europa ogni singolo Paese ha le sue regole che disciplinano il sequestro dei beni, e di solito occorre che vi sia un’azione penale alla base.

L’Unione europea sta quindi lavorando già da un paio di mesi ad un pacchetto di norme con cui l’evasione delle sanzioni diverrebbe un reato europeo, e questo fornirebbe ai Paesi membri una base giuridica per procedere con la confisca dei beni in questione. Il processo però rischia di essere lungo, e in altri casi simili in passato le cose non sempre sono andate secondo i piani.

Uno dei casi in cui si è riusciti nell’intento di far pagare i danni derivanti dalle azioni militari compiute a uno dei due Paesi belligeranti è quello dello che vedeva coinvolti Iraq e Kuwait. Parliamo dei tempi della Prima Guerra del Golfo, e all’epoca (1991) fu costituita la Commissione di compensazione delle Nazioni Unite, e alla fine si riuscì ad ottenere che l’Iraq pagasse i 52 miliardi di dollari di danni. L’importo tuttavia è stato pagato per intero solo a inizio 2022, quindi ci sono voluti oltre 30 anni.

Tutt’altro esito ha avuto invece il tentativo di far pagare 145 milioni di dollari all’ex presidente del Ciad, condannato nel 2017 da un tribunale speciale per i crimini di guerra. In quel caso fu un fallimento totale perché Hissène Habré morì nel 2017 senza pagare assolutamente nulla.

I Paesi Ue a caccia di soluzioni: spunta l’ipotesi dei reati ambientali

I Paesi occidentali quindi sono ancora adesso alla ricerca di una soluzione che, a quanto pare, non è esattamente a portata di mano. Ricostruire l’Ucraina attingendo ai beni dei gerarchi russi come ad un porcellino salvadanaio non è così semplice come si sperava, e non si può nemmeno procedere con il sequestro delle ricchezze della Banca centrale russa, che nel Continente europeo detiene circa 296 miliardi di euro. Il sequestro di queste risorse creerebbe infatti un precedente molto grave con conseguenze difficilmente prevedibili.

Tra le soluzioni prese in esame vi è anche quella di imputare alla Russia dei presunti danni ambientali derivanti dall’operazione speciale condotta su territorio ucraino. Dovrebbe essere un sistema, piuttosto contorto e presumibilmente del tutto inefficace, per ottenere almeno una minima parte delle risorse necessarie per la ricostruzione del Paese.

Un argomento affrontato sul sito Politico Europe, dove si è parlato della task force creata da Kiev e composta da 100 persone il cui scopo sarebbe quello di raccogliere le prove di presunti crimini ambientali commessi da Mosca nel corso dell’operazione militare speciale in Ucraina. Questi ‘crimini’ secondo le stime ammonterebbero a circa 6,6 miliardi di euro, ma non sarà così facile imputarli alla Russia.

Anna Ackermann, co-fondatrice dell’ONG Ecoaction Ukraine, ha infatti spiegato che “per essere etichettato come reato, il danno ambientale deve essere grave, diffuso, a lungo termine e internazionale, il che è veramente difficile da provare nei tribunali internazionali“.

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