una petroliera e il porto nello sfondo

Si parla piuttosto spesso, e a ragione, del problema degli aumenti del costo dei carburanti. Ora che il governo di Giorgia Meloni ha deciso di ridurre lo ‘sconto’, che deriva dal taglio delle accise su diesel e benzina, fare il pieno costerà intorno al 15 centesimi in più al litro.

Si parla molto meno però di una questione che forse è persino più importante, e cioè il rischio, tutt’altro che remoto, che diesel e benzina facciano la fine del gas, e cioè che inizino a scarseggiare.

Ne parla in un approfondimento VisioneTv, dove si analizza nel dettaglio questa situazione a dir poco preoccupante in cui l’Italia rischia di trovarsi non tra qualche anno ma tra una manciata di settimane.

Ci si arriverà, probabilmente, attraverso alcune tappe che tuttavia sono già fissate e ben definite. Non è detto che il risultato finale sia quello di non avere la possibilità di fare il pieno pur non mancando le risorse economiche, ma il rischio c’è e vale la pena prenderlo in considerazione seriamente.

Perché in Italia potrebbero mancare benzina e diesel

I fattori che potrebbero far sì che in Italia i carburanti inizino a scarseggiare sono più di uno. È chiaro che tutto è stato innescato dalle decisioni politiche sulla base delle quali è stata tracciata la linea per la gestione della crisi ucraina. La scelta di schierarsi a fianco del governo di Volodymyr Zelensky, e di sanzionare la Russia di Vladimir Putin, ha innescato la crisi energetica per via delle speculazioni che ne sono derivate.

Questa crisi, che ha comportato un esorbitante aumento del prezzo di gas e di energia elettrica, nonché una limitata disponibilità di queste risorse, ha visto al tempo stesso un aumento del prezzo dei carburanti, con diesel e benzina che hanno ampiamente superato la soglia dei 2 euro al litro.

In seguito il governo di Mario Draghi ha provveduto a tagliare le accise, riducendo il prezzo di circa 30 centesimi al litro, e riportandolo stabilmente ben al di sotto dei 2 euro al litro. Ma il problema di fondo è tutt’altro che risolto, anzi è destinato ad aggravarsi notevolmente, e non solo per via dell’arrivo della stagione fredda e quindi dell’aumento dei consumi.

Per capire quello che sta accadendo, e soprattutto quello che rischia di accadere a breve, dobbiamo ripercorrere alcune tappe, e fissare le prossime date chiave.

Nei giorni scorsi è stato imposto il divieto per i Paesi Ue di importare petrolio dalla Russia a partire dal 5 dicembre, e alla stessa data scatta anche il tetto di prezzo per il petrolio russo fissato a 60 euro al barile. Questo significa che per esportare petrolio la Russia deve necessariamente venderlo a quel prezzo, ai compratori occidentali se non altro, cosa che ha già chiarito di non essere disposta a fare.

Ma se il prezzo di vendita non sarà di massimo 60 dollari al barile, allora le petroliere non potranno ottenere, dalle compagnie assicurative occidentali, alcuna certificazione per il trasporto. Abbiamo notizia di un certo ingorgo proprio in corrispondenza dello stretto dei Dardanelli, dove a quanto pare le autorità turche hanno iniziato a controllare se le petroliere che attraversano sono in regola oppure no con assicurazione e certificazione.

Per la Russia quindi non resta che rivolgersi ancor più ad altri compratori, e si è attrezzata con fornitori alternativi di assicurazioni e certificazioni. Il risultato è che, ancora una volta, i Paesi europei rischiano di essere quelli che pagheranno il prezzo più alto delle sanzioni.

Il divieto di importare prodotti petroliferi dal 5 febbraio

Abbiamo quindi il problema del tetto al prezzo del petrolio e delle sue inevitabili conseguenze, ma non è tutto. Un’altra data importante è quella del 5 febbraio 2023, a partire dalla quale scatta il divieto di importare dalla Russia prodotti petroliferi. Il divieto, che va ad aggiungersi al divieto di importare petrolio scattato il 5 dicembre, riguarda tutti i Paesi europei con una sola eccezione: l’Ungheria, che ha ottenuto un’esenzione e potrà continuare ad importare petrolio russo attraverso gli oleodotti.

Se già a partire da ora di petrolio russo in Europa non ne potrà più arrivare, a partire dal 5 febbraio, quindi tra giusto un paio di mesi scarsi, non arriveranno nemmeno i derivati, tra cui i carburanti diesel e benzina appunto.

Cosa dobbiamo aspettarci che succeda quindi intorno a quella data? Per capire quali potrebbero essere gli effetti di questo embargo bisogna prima di tutto approfondire quali sono i volumi di petrolio che l’Ue importava dalla Russia.

Secondo l’Iea (International Energy Agency) nel mese di ottobre scorso l’Ue ha importato 1,1 milioni di barili di petrolio al giorno dalla Russia. A questi si aggiungono 1,1 milioni di barili di carburante derivato dal petrolio.

Per ora insomma possiamo ancora importare diesel e benzina dalla Russia, anche se non possiamo importare petrolio, ma da febbraio non potremo fare nemmeno questo, cosa significa? Il rischio è che queste risorse inizino a scarseggiare.

Le raffinerie hanno le loro scorte naturalmente, quindi il problema non si porrà immediatamente; a quelle si vanno ad aggiungere poi le scorte nazionali di emergenza, ma si tratta di quantità limitate a cui non si potrà attingere senza che siano introdotte norme sui razionamenti.

È chiaro che si cercherà di trovare nel frattempo dei fornitori alternativi, così come si è tentato di fare con il gas, ma ci saranno ancora una volta due problemi, uno strettamente collegato all’altro. Da una parte la limitata disponibilità dell’offerta, e dall’altra l’inevitabile aumento dei prezzi.

In altre parole possiamo aspettarci che con diesel e benzina accada qualcosa di simile a quanto accaduto con il gas. Tutto questo per mettere in difficoltà la Russia che, grazie a questi interventi, dovrebbe desistere dal tentativo di conseguire gli obiettivi prefissati nell’ambito dell’operazione militare speciale in Ucraina.

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