Nei giorni scorsi è stato pubblicato il secondo rapporto sul nomadismo digitale in Italia, e ne è emerso che il fenomeno è in netto aumento, con lavoratori in smart working che sempre più spesso decidono di ‘migrare’ verso le Regioni del Meridione.

Si tratta di qualcosa di cui si era già parlato nelle prime fasi della pandemia, quando si inizio ad utilizzare il termine di south working, inteso come lavoro in modalità agile svolto prevalentemente da paesi e città nelle Regioni meridionali. 

Quella del lavoro agile non è soltanto una tendenza, ma un vero e proprio fenomeno che sta producendo dei cambiamenti radicali nel mondo del lavoro, cambiamenti tali da portare tanti smart workers a valutare mete ben diverse da quelle scelte sulla base dei criteri prioritari per chi ha la necessità di recarsi fisicamente sul posto di lavoro.

La possibilità di lavorare da remoto, comodamente da casa, ha aperto tutta una serie di possibilità che prima non erano nemmeno immaginabili. Chi non ha bisogno di recarsi sul posto di lavoro per svolgere la propria attività può operare scelte che agli altri lavoratori sono precluse, e spesso queste scelte includono il trasferimento nelle città del Sud.

Chi sono i digital nomad

Inoltre lo smart working ha creato una nuova categoria, che è quella dei digital nomad. Una categoria che in realtà esisteva da tempo, ma che contava un numero piuttosto esiguo di appartenenti prima dell’introduzione dello smart working nell’ambito dell’emergenza sanitaria Covid-19.

I digital nomad sono quei lavoratori che, non dovendo recarsi fisicamente sul posto di lavoro per svolgere la propria attività, non si limitano a trasferirsi altrove, magari scegliendo mete più ‘estive’, generalmente tra le Regioni del Sud e le isole, ma decidono di viaggiare senza smettere di lavorare.

Chi sono quindi i nomadi digitali, coloro che possono lavorare ovunque si trovino in Italia e, perché no, anche dall’estero? Quali sono le destinazioni che preferiscono e quali vantaggi offre questo approccio?

Torna il south working

Il south working, come accennato, è quel fenomeno di cui si era iniziato a parlare ormai oltre un anno fa, che vedeva un sempre maggior numero di lavoratori in modalità smart working lasciare le città del Nord per trasferirsi nelle Regioni del Sud, spesso ricongiungendosi coi propri familiari e tornando alla propria terra.

Una migrazione al contrario rispetto a quella cui abbiamo assistito praticamente da sempre in Italia, insomma un fenomeno che non solo ha permesso a tanti meridionali con nostalgia di casa di tornare al paese d’origine, ma ha anche dato la possibilità a chi vedeva il mare una volta l’anno, di trasferirsi in una qualsiasi località marittima continuando a lavorare, appunto, in modalità agile.

Questo fenomeno ha portato a svolgere tutta una serie di riflessioni, e qualcuno ha parlato di una sorta di rivincita del Sud. Il flusso di lavoratori verso le Regioni meridionali, grazie alla modalità smart working, comporta tutta una serie di effetti non solo per il diretto interessato, ma anche per il territorio.

Gli effetti sono facili da individuare: prima di tutto la questione affitti, ma non solo, perché tutti quei lavoratori che dal Nord si trasferiscono al Sud produrranno un aumento dei consumi e quindi benefici per tutte le attività del luogo.

Ci sono comunque enormi vantaggi di cui beneficia il nomade digitale, che vanno al di là del piacere di lavorare a pochi passi dal mare, dalla montagna o da dove si preferisce, magari lasciando lo stress della vita in città a favore di calma e ritmi lenti in un paese più a misura d’uomo.

I vantaggi sono infatti soprattutto economici, con la possibilità di spendere cifre nettamente inferiori per l’affitto prima di tutto, ma anche per beni e servizi che, tra le città del Nord e i paesi del Sud, presentano differenze di prezzo spesso molto marcate.

Qual è l’identikit del nomade digitale

Il secondo rapporto sul nomadismo digitale ci dice molto di quello che questo fenomeno rappresenta e del modo in cui cambia l’approccio con il mondo del lavoro e l’impostazione della propria vita sotto diversi aspetti. 

Questo rapporto ci ha permesso anche di capire chi sono i digital nomad, cioè quali sono i soggetti maggiormente inclini ad operare scelte che li conducono lontano dalla propria sede di lavoro, a favore di città del Sud o di Paesi stranieri.

Anzitutto da quanto emerso dal rapporto sul nomadismo digitale possiamo subito mettere da parte lo stereotipo secondo cui i digital nomad sono solo giovani single che vanno a vivere all’altro capo del mondo.

Secondo il rapporto a preferire il lavoro da remoto sono soprattutto le donne, con un’età media che va dai 25 ai 44 anni. Le destinazioni preferite sono al Sud, come accennato, scelte dal 76% circa degli intervistati.

Tra le ragioni alla base della scelta di migrare a Sud non solo la voglia di conoscere il territorio e di avere un maggior contatto con la natura, ma anche quella di vivere in prima persona una nuova quotidianità fatta di tradizioni culturali ed enogastronomiche, condividendo esperienze con la comunità del posto.

Il digital nomad ha però un vincolo imprescindibile, che è l’accesso ad internet. Una connessione veloce e affidabile è la conditio sine qua non per poter valutare una nuova destinazione da cui praticare lo smart working, e come sappiamo in Italia non bisogna mai dare per scontato che la connessione internet sia adeguata alle esigenze.

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