A rischiare la recessione economica non è solo l’Italia in questa particolare congiuntura, ma anche il resto d’Europa e, seppur in misura nettamente inferiore, persino gli Stati Uniti. Questo quanto meno è ciò che le analisi di alcuni esperti evidenziano negli ultimi giorni, con la crisi ucraina che appare sempre più lontana da una soluzione diplomatica, e il rischio di un protrarsi a lungo del conflitto armato sempre più alto.
Non dimentichiamo che la crisi energetica e delle materie prime è iniziata ben prima dell’avvio dell’operazione militare russa in Ucraina, producendo effetti più che tangibili sull’economia italiana e degli altri Paesi Ue.
È stato comunque l’inizio del conflitto armato tra Ucraina e Russia a far accelerare lo shock inflattivo, facendo raggiungere livelli del 7,5% che non si vedevano in Europa da oltre 10 anni. Ad accompagnare i record dell’inflazione però abbiamo una serie di elementi del tutto nuovi e le prospettive che si prefigurano sono ancor più inedite.
Crisi energetica e delle materie prime bloccano l’economia
Per cominciare registriamo un aumento del prezzo del gas del +840% nel giro degli ultimi 12 mesi, cioè da marzo 2021 a marzo 2022, con un incremento del +30% nei soli ultimi 3 mesi. A questo si aggiunge un aumento di varie materie prime, come l’alluminio, la plastica e il legname.
Ovviamente abbiamo assistito, specie dopo la decisione del governo Usa di imporre il blocco delle importazioni di prodotti energetici da Mosca, un incremento del prezzo del petrolio. In Italia, uno dei Paesi con il più elevato costo dei carburanti su scala mondiale, il governo si è trovato costretto a tagliare le accise per riportare i prezzi almeno temporaneamente a livelli accettabili.
Ma mentre gli Usa possono contare sulle proprie risorse, l’Europa per l’energia, e per buona parte anche per le altre materie prime, dipende dalle importazioni, e questo la rende particolarmente esposta. Con l’aumento generalizzato dei prezzi assistiamo quindi ad un blocco della crescita, con una compressione del reddito disponibile delle famiglie e un assottigliamento dei margini aziendali.
Gli effetti si vedono in maniera evidente su consumi e investimenti, e in generale le conseguenze di un protrarsi della guerra in Ucraina sono ben più pesanti per l’Europa che per gli Stati Uniti, soprattutto se si arriverà, come ormai appare inevitabile, al blocco totale delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia.
Il problema delle forniture alternative a gas e petrolio russo
Quello di un blocco totale delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia è uno scenario tutt’altro che remoto. Ormai sembra sia solo questione di tempo, ma da un momento all’altro le importazioni di prodotti energetici da Mosca potrebbero interrompersi.
Nei giorni scorsi il presidente Putin aveva annunciato che il Cremlino avrebbe dato disposizioni a Gazprom per modificare i contratti in modo che i pagamenti per l’acquisto del gas vengano pagati non più in euro o in dollari ma in rubli. Ma l’imminente blocco delle importazioni è legato anche alla decisione di estendere le sanzioni anche al settore energetico.
L’Ue si prepara all’embargo di gas e petrolio dalla Russia che, inevitabilmente, dirotterà l’export verso altri Paesi. Allo stesso modo l’Europa dovrà trovare altri fornitori, cosa che, tuttavia, è più facile a dirsi che a farsi, senza contare che comporta un ulteriore aumento dei prezzi.
Per compensare le carenze di petrolio i Paesi Ue stanno facendo affidamento anche a Usa, Iran e Venezuela. Gli Stati Uniti hanno anche recentemente sbloccato circa 1 milione di barili di petrolio al giorno dalle riserve strategiche, ma comprare da questi fornitori costa molto di più.
Stando alle ultime stime de Il Sole 24 Ore, comprare il gas liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti comporta spese nettamente superiori, calcolate per il mese di dicembre in un 50% circa in più rispetto al prezzo del gas che arriva dalla Russia.
Quello dei prezzi però non è nemmeno il problema più grave, perché in realtà l’aspetto più preoccupante è che rimpiazzare le forniture russe di gas non è materialmente possibile se non in minima parte. Questo vuol dire che se rinunciamo al gas russo alcuni Paesi Ue tra cui l’Italia e la Germania in particolare, ne risentiranno pesantemente.
Blocco gas e petrolio: per l’Italia a rischio migliaia di posti di lavoro
Dal momento che l’Europa importa mediamente il 40% del gas dalla Russia, e visto che solo una parte di questo potrebbe essere rimpiazzato da altri Paesi esportatori come Libia e Algeria, il blocco al gas russo significa per l’Italia razionamenti energetici e tagli forzati alla produzione per tutto il settore industriale.
Gli effetti sull’economia del Paese saranno devastanti, con un calo drammatico dei livelli di occupazione. A rischiare il posto di lavoro sono, secondo alcune recenti stime, circa 1 milione e 400 mila persone in Italia, con 184 mila aziende che rischiano di chiudere per via del peggioramento della crisi energetica legato al conflitto Russia-Ucraina e alle sanzioni imposte dall’occidente.
I settori più a rischio sono naturalmente queli energivori, cioè metallurgico, automobilistico, legname, plastica, vetro e ceramica. Tra l’altro molte di queste imprese avevano rapporti diretti con il mercato russo, e altre dipendono da importazioni da zone coinvolte direttamente nel conflitto, come quelle di grano, metalli e fertilizzanti.
Ad essere danneggiati dalla politica delle sanzioni contro Mosca sono anche altri settori come quelli del lusso, dei mobili, dell’abbigliamento e delle calzature, visto che le imprese non possono più contare sul mercato russo per le proprie esportazioni.
Sono quindi sempre più numerose le aziende italiane che si trovano costrette a fermare la produzione per via dei costi troppo elevate di energia e materie prime, e questo comporta conseguenze gravissime sul PIL e sui livelli di occupazione.
Se prendiamo ad esempio il settore siderurgico italiano, questo conta 550 aziende con 42 mila addetti, quello dell’automobile 1.500 aziende con più di 90 mila addetti, mentre le imprese del settore della ceramica sono circa 2.350 con 30 mila addetti e circa 23.000 aziende operano nel settore del legname.
A completare il quadro le ripercussioni sul settore del turismo. Infatti è piuttosto evidente che nel nostro Paese non arrivano e non arriveranno turisti dalla Russia per un bel pezzo, il che vuol dire che le imprese del settore, dall’alberghiero alla ristorazione fino all’intrattenimento, dovranno fare a meno di una importante fetta di mercato.
Dalla Russia arrivavano circa 2 milioni di turisti l’anno, e nel 2019 avevano speso quasi 1 miliardo di euro nel nostro Paese (980 milioni di euro), una somma pari al 2,2% della spesa complessiva dei turisti stranieri in Italia.
Carenza di gas e materie prime: le stime di Algebris Investments
Per capire la misura del danno che l’economia italiana sta subendo e che subirà nei prossimi mesi possiamo prendere in esame le stime fatte dagli analisti di Algebris Investments, che hanno calcolato la quota di consumo di gas di vari settori cosiddetti energivori rispetto al contributo del valore aggiunto lordo (GVA).
Il contributo al valore aggiunto è una metrica della produttività economica con cui si misura il contributo di una società, un’economia, una Regione o un settore e viene calcolato come differenza tra la produzione lorda e la produzione netta.
Dalle stime fatte dagli esperti di Algebris Investments emerge che con un taglio completo delle importazioni di gas dalla Russia si registrerebbe una perdita di 2,8 punti percentuale sul GVA e quindi sul valore aggiunto dell’area euro, con alcuni settori che subirebbero perdite di valore aggiunto che superno il 4%.
Si tratta di uno scenario caratterizzato da grande incertezza nel quale il rischio di recessione diventa sempre più realistico. Delle probabilità di una recessione per i Paesi europei si parla spesso ormai, ed in particolare si tratta di uno scenario la cui concretezza è confermata sia dalle stime di Bankitalia che da quelle di Confindustria.
Per valutare le reali probabilità di una recessione economica gli analisti di Algebris hanno costruito dei modelli previsionali usando diverse variabili e orizzonti temporali. Usando solo variabili di tipo economico i modelli indicano rischi di recessione relativamente bassi, inferiori al 10% sia per gli Stati Uniti che per l’Europa in un lasso di tempo da 6 mesi a 1 anno.
Se invece si prendono in considerazione anche variabili del mercato finanziario, a cominciare dalla pendenza della curva dei rendimenti e le oscillazioni del mercato azionario, il rischio di recessione economica appare notevolmente più concreto specialmente per i Paesi europei.
In questo caso i modelli di Algebric Investments indicano probabilità di recessione che superano il 30% per gli Stati Uniti, mentre per l’Europa le probabilità sarebbero addirittura più alte, attestandosi intorno al 50%.
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