L’Europa fa un passo indietro sul tema dei piani economici e ambientali e rispetto a ciò che sarebbe già dovuto essere sul tavolo a pochi giorni dalla presentazione del terzo volume del Sesto Rapporto di Valutazione del Gruppo intergovernativo sulla lotta ai cambiamenti climatici.

Durante un’intervista a La Stampa, Thierry Breton, commissario europeo all’Industria e al Mercato interno, ha illustrato in dettaglio il piano di contingenza a cui sta lavorando per “essere pronti” nel caso in cui si dovessero interrompere le forniture di gas provenienti dalla Russia (sia che questo avvenga per una decisione dell’Unione stessa, sia che venga dalla Russia).

Il commissario ha poi specificato che si tratta di un piano ideato “ma nella speranza di non usarlo”. L’obiettivo è quello di sostituire i 155 miliardi di metri cubi di metano che i Paesi dell’Unione europea importano attualmente dalla Russia, chi più chi meno, a seconda del proprio mix energetico.

Tuttavia, pur avendo dato una forte spinta al settore delle rinnovabili, le alternative che si presentano oggi rischiano di non permettere all’Europa di raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% (rispetto ai livelli del 1990) fissato per il 2050.

Inoltre si rischia di dare un messaggio pericoloso ai Paesi extraeuropei che inquinano molto di più e ai quali si chiede di compiere un enorme sforzo. In altre parole, il rischio più grave è quello di accelerare drasticamente la corsa che sta portando il pianeta verso la soglia di 1,5° C di aumento della temperatura globale rispetto ai livelli pre-industriali.

Sostituire il gas con carbone e nucleare è una scelta valida?

Durante l’intervista, il commissario Breton ha spiegato che entro la fine dell’anno l’Unione europea sarà in grado di “sostituire 50 miliardi di metri cubi di gas con l’aumento delle forniture di gas naturale liquefatto” grazie all’incremento della rigassificazione.

Altri 19 miliardi arriveranno “via gasdotto, soprattutto a Sud, dal Nord Africa e dall’Est”. Altri 14 miliardi si potrebbero recuperare “abbassando i termosifoni e climatizzatori, e accelerando il risparmio energetico”. Inoltre vi sono 25 miliardi che potrebbero essere sostituiti con biometano, o anche con eolico e solare.

Restano infine altri 50 miliardi di metri cubi, per una parte dei quali si pensa a delle “misure estreme”, come quella di non chiudere o addirittura riaprire le centrali a carbone (le peggiori in quanto a emissioni di gas inquinanti), oppure quella di puntare maggiormente sulle centrali nucleari (che di certo non compaiono tra le fonti pulite).

La prima, in realtà, non è una proposta del tutto nuova per l’Italia dato che lo stesso premier, Mario Draghi, alcune settimane fa aveva già ipotizzato una “non chiusura” delle centrali. Così facendo, circa 20 miliardi di metri cubi di gas verrebbero sostituiti dal carbone (14 miliardi solo dalla Germania), mentre altri 12,5 verrebbero sostituiti dal nucleare.

A tal proposito, dall’Italia arrivano diverse dichiarazioni di apertura verso l’energia dell’atomo, che arrivano sia dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, sia dal premier italiano. Inoltre non destano meraviglia le parole di Breton, che già prima del conflitto tra Russia e Ucraina aveva detto la sua sul tema del nucleare, rispecchiando la posizione di Parigi.

“Le centrali di nuova generazione richiederanno all’Unione europea un investimento di 500 miliardi di euro, da qui al 2050“, aveva affermato. Purtroppo non tutti i Paesi possono aumentare le varie quote di mix energetici a seconda della necessità.

Per questo motivo, sottolinea Breton, “bisognerà trovare il modo di distribuire l’energia e aiutare, con spirito di solidarietà, quei Paesi che hanno scelto di essere più indipendenti dal gas e, in particolare, da quello russo”.

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