La crisi ucraina un mese fa è sfociata in un conflitto armato tra Ucraina e Russia, con i Paesi occidentali che hanno preso le parti della prima contro la seconda. Il fallimento della diplomazia, determinato dalla decisione dei Paesi occidentali di ignorare completamente le richieste di Mosca finalizzate ad ottenere garanzie di sicurezza per la Russia, ha portato all’inizio della guerra e quindi alle sanzioni.
Ora, dopo la firma di Joe Biden sull’ordine esecutivo che vieta l’importazione dalla Russia di greggio, gas naturale e altri prodotti energetici, appare evidente che è stato superato il punto di non ritorno. Si è creata una profonda spaccatura tra i Paesi occidentali e la Russia che, tuttavia, continua anzi intensifica i rapporti commerciali con Paesi alleati come Cina e India.
I Paesi occidentali costretti a cercare fonti di energia alternative
I Paesi occidentali che hanno deciso di imporre sanzioni alla Russia nel dichiarato intento di indurre Mosca a rivedere i propri piani per la de-nazificazione e de-militarizzazione dell’Ucraina, si trovano ora nella necessità di trovare fonti energetiche alternative per essere completamente indipendenti dalla Russia.
Quelli dell’Unione Europea sono, tra i Paesi occidentali, i più esposti agli ‘effetti collaterali’ delle sanzioni imposte contro la Russia, e questo impone all’esecutivo comunitario di trovare delle soluzioni efficaci, quindi delle alternative valide al gas russo in primis, ma anche alle altre risorse energetiche che arrivano normalmente proprio dalla Russia.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha già annunciato che entro il 2027 l’Unione Europea non sarà più dipendente dalla Russia per quel che riguarda le risorse energetiche. Un processo quindi che dovrebbe completarsi nel giro di cinque anni soltanto, e che permetterà all’Europa di adottare qualsiasi tipo di politica contro Mosca senza temere ripercussioni sotto il profilo energetico.
Attualmente alcuni Paesi europei temono infatti che imporre ulteriori sanzioni contro la Russia possa avere gravi ripercussioni anche per chi quelle sanzioni le impone e non solo per chi le subisce.
Oggi l’Ue importa circa il 45% del gas dalla Russia (dati del 2021) ma con il piano REPower Eu, l’Europa si prefigge l’obiettivo di sostituire almeno il 20% di gas naturale proveniente dalla Russia con il biometano per 35 miliardi di metricubi entro il 2030 e con altre fonti rinnovabili. Bruxelles punta quindi a ridurre la dipendenza dal gas russo del 65% entro la fine del 2021.
Per l’Ue sarà fondamentale armonizzare le politiche energetiche dei Paesi membri
Il raggiungimento degli obiettivi che Bruxelles si prefigge tuttavia vede diversi ostacoli sul percorso, a cominciare dalle difficoltà che si incontreranno inevitabilmente nel tentativo di armonizzare le politiche (e le dipendenze) energetiche dei vari Paesi membri Ue, che al momento si presentano con caratteristiche molto diverse le une dalle altre e spesso del tutto scollegate.
Bruxelles quindi presenterà nei prossimi mesi una proposta di regolamento che dovrebbe permettere a tutti i Paesi dell’Ue di raggiungere il riempimento degli stoccaggi almeno al 90% della loro capacità.
Per i mesi di febbraio, maggio, luglio e settembre sono stati fissati degli obiettivi intermedi da raggiungere in modo tale da assicurare che l’obiettivo finale sia conseguito, e si abbia eventualmente un margine di manovra per corregere il tiro.
Per quanto riguarda le scorte di gas, il periodo di riempimento degli stoccaggi è stato fissato nel periodo che va dal 1° aprile al 30 settembre. Nel frattempo si punta anche sull’acquisto volontario comune di gas allo scopo di avere prezzi migliori nelle trattative con i venditori oltre il price cap con limite che dovrebbe attestarsi intorno agli 80 euro per megawattora.
In Germania una delle situazioni più complesse sul piano energetico
In tutta Europa è probabilmente la Germania a ritrovarsi maggiormente in difficoltà dal punto di vista energetico tra le maggiori economie. La Germania infatti stando ai dati del 2020 importa dalla Russia circa il 65% del gas, per un totale di circa 42,6 miliardi di metri cubi.
La Germania ha compiuto delle scelte nel corso degli ultimi 10 anni che hanno infatti aumentato il livello di dipendenza dal gas russo. L’incidente di Fukushima che ha interessato il Giappone nel 2011 ha infatti indotto il governo di allora di abbandonare del tutto il nucleare, incrementando invece l’importazione di gas dalla Russia.
Qui si colloca il progetto del Nord Stream 2, poi bloccato da Berlino ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina, e il piano per il potenziamento dell’eolico offshore.
Le ultime tre centrali nucleari in funzione in Germania sarebbero state spente entro la fine del 2022 (nel 2011 le centrali attive erano 8) ma adesso alla luce del drastico peggioramento delle relazioni diplomatiche con la Russia, Berlino sta valutando la possibilità di lasciare accese almeno queste ultime rimanenti.
Si cercano freneticamente fonti di energia alternativa intanto, ed il ministro dell’Economia Robert Habeck, dei Verdi, ha fatto visita in Qatar e negli Emirati Arabi Uniti proprio allo scopo di procurare alla Germania nuove forniture di gas in grado di rimpiazzare quelle della Russia. Questo dovrebbe permettere alle aziende tedesche di realizzare in breve tempo i relativi accordi.
La Germania deve diventare “più autonoma” dal gas russo, ed è un obiettivo per raggiungere il quale si deve lavorare su più fronti. Il ministro dell’Economia, che ha anche delega all’Ambiente, intende accelerare il processo di transizione verso l’idrogeno verde, e cinque aziende tedesche hanno già firmato le dichiarazioni d’intenti con le autorità degli Emirati Arabi.
Il Belgio sulla stessa linea della Germania
Una situazione simile a quella della Germania la troviamo in Belgio, con il governo che ha deciso in seguito al drastico peggioramento della crisi ucraina con l’introduzione di sanzioni economiche contro la Russia, di estendere di dieci anni la produzione di energia nucleare.
Il premier Alexander de Croo, annunciando che l’attività dei reattori Doel 4 e Thiange 3 sarà estesa per 10 anni, ha spiegato: “la guerra sta cambiando la nostra visione dell’energia. In questo modo, l’energia può essere garantita a medio e lungo termine”. Anche in questo caso però il nucleare non basta, ed il governo belga ha già fatto sapere che punterà anche sul potenziamento delle rinnovabili.
L’Italia è il secondo Paese più dipendente dal gas russo dopo la Germania
Se la situazione della Germania, per via della forte dipendenza dalle forniture di gas dalla Russia, si presenta particolarmente complessa, quella dell’Italia non lo è di meno anche per via delle poche alternative.
Dopo la Germania, tra i Paesi che maggiormente dipendono dal gas russo, troviamo proprio l’Italia, che importa circa il 38% del suo fabbisogno di gas, per circa 29 miliardi di metri cubi che arrivano dritti dalla Russia.
Nel corso degli anni, come per la Germania, anche l’Italia ha visto crescere la propria dipendenza dalle forniture di gas russe, infatti nel 2012 la percentuale si aggirava intorno al 30%, e la produzione nazionale oggi è a minimi con circa 3 miliardi di metri cubi.
Ora il governo di Mario Draghi intende aumentare la produzione nazionale di gas, potenziando le strutture già in funzione in questa fase, senza procedere con nuove trivellazioni. Non dimentichiamo che oggi dall’estero arriva circa il 95% del fabbisogno di gas del Paese che consuma circa 72 miliardi di metri cubi l’anno.
Per le forniture di gas l’Italia fino ad oggi ha sempre contato, seppur in misura decisamente minore, anche su Algeria, per il 27,8% del totale, Azerbaigian (9,5%) e Libia (4%), Il restante 13% del fabbisogno italiano di gas arriva sotto forma di Gnl dal Qatar.
In seguito all’inizio della guerra tra Russia e Ucraina l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si è recato con l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi in molti Paesi africani e del Medio Oriente proprio con l’intento di rafforzare la cooperazione energetica e incrementare le forniture.
Intanto da parte di Descalzi è arrivata la rassicurazione che nel breve e medio periodo sarebbe stato possibile accedere a maggiori forniture di gas per un tutale di 14 trilioni di metri cubi.
Il Regno Unito importa dalla Russia solo l’8% del gas di cui ha bisogno
La Gran Bretagna importa dalla Russia solo l’8% del suo fabbisogno di gas, e insieme agli Stati Uniti ha imposto il divieto di importare greggio, gas naturale e altri prodotti energetici dalla Russia.
Il premier Boris Johnson sta cercando nuovi fornitori di greggio, per questo motivo nei giorni scorsi si è recato ad Abu Dabi e a Riad. L’obiettivo sarebbe quello di convincere Emirati Arabi e Arabia Saudita ad aumentare le esportazioni di petrolio in modo da calmare i mercati in questa fase così incerta.
Il Regno Unito inoltre, stando a quanto lo stesso premier ha affermato, intende puntare anche sul potenziamento delle rinnovabili pertanto ha già annunciato nuovi investimenti nei settori green,
Infatti di recente il gruppo saudita Alfnar ha fatto sapere che investirà un miliardo di sterline in un progetto finalizzato alla produzione di carburante per l’aviazione partendo dai rifiuti.
Stati Uniti e Giappone spingono per un aumento della produzione di greggio
Gli Stati Uniti dipendono dalle risorse energetiche russe molto meno dei Paesi europei, tuttavia fino ad ora importavano dalla Russia circa l’8% del proprio fabbisogno di idrocarburi (petrolio e gas), di cui il 3% solo il greggio per un totale di 700 mila barili al giorno.
Gli Usa d’altra parte sono attualmente il primo produttore mondiale di petrolio e gas, e nonostante ciò stanno tentando di riallacciare rapporti diplomatici con Paesi finora ritenuti “nemici” a cominciare dal Venezuela.
Washington sta infatti cercando di convincere il governo di Maduro ad aumentare la produzione di greggio di almeno 400 mila barili al giorno, pertanto ha già inviato una delegazione in Venezuela.
Quanto al Giappone, le mosse sono più o meno le stesse, infatti il governo si è rivolto agli Emirati Arabi per chiedere di aumentare la produzione di petrolio visto l’impennata del prezzo dopo la firma dell’ordine esecutivo di Biden che vieta l’acquisto di greggio e prodotti energetici dalla Russia.
Dal G7 sono quindi state inoltrate richieste di questa natura all’Opec+, i cui leader sono appunto Russia e Arabia Saudita, ma con scarsi risultati in quanto la produzione è stata aumentata di appena 400 mila barili al giorno dallo scorso mese di agosto.
Intanto il ministro degli Esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, ha chiesto agli Emirati Arabi di “contribuire alla stabilizzazione del mercato petrolifero globale aumentando la produzione e attingendo alle riserve”.
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