La settimana scorsa abbiamo visto i future del frumento staccarsi di circa il 20% dal massimo di nove anni, e ancora oggi sono scambiati ad oltre il doppio del prezzo di prima dell’emergenza Covid-19, il che naturalmente è dovuto al conflitto armato in Ucraina.
Il punto è che Russia e Ucraina sono due Paesi che esportano enormi quantità di grano, infatti nel 2021 hanno prodotto il 30% circa delle esportazioni globali, il che significa che il mondo dovrà fare a meno di buona parte di queste risorse seppur per via della guerra. Di conseguenza milioni di persone che dipendono dalle esportazioni di questi Paesi rischiano di non potersi più permettere il pane.
FAO: 13 milioni di persone potrebbero soffrire di malnutrizione
La settimana scorsa la FAO ha spiegato che “se il conflitto dovesse risultare in un’improvvisa e prolungata riduzione delle esportazioni di cibo da parte dell’Ucraina e della Federazione Russa, potrebbe esercitare un’ulteriore pressione rialzista sui prezzi delle materie prime alimentari internazionli, a scapito soprattutto dei Paesi economicamente vulnerabili”.
Il pericolo derivante da questo particolare contesto di crisi del grano è presto detto: secondo le stime della FAO circa 13 milioni di persone in tutto il mondo potrebbero finire per soffrire di malnutrizione.
Per l’esattezza la stima preliminare della FAO indica che tra il 20% e il 30% delle aree al momento seminate a cereali, granturco e semi di girasole in Ucraina non saranno piantate oppure resteranno incolte nella stagione 2022/2023. Inoltre le difficoltà nell’avere accesso a pesticidi e fertilizzanti ridurranno il rendimento delle aree che nonostante tutto verranno ancora coltivate.
Il problema del grano è legato anche alle sanzioni
Quello che abbiamo appena descritto tuttavia è solo un effetto diretto della guerra in Ucraina, ma ad incidere sulla disponibilità di grano sul mercato per il 2022 saranno anche altri fattori, determinati dalla guerra in modo indiretto.
Questi ulteriori ostacoli all’approvvigionamento di grano da parte dei Paesi di tutto il mondo sono peraltro più difficili da quantificare, e derivano in particolare dal sistema delle sanzioni finanziarie, nonché da altri sconvolgimenti del mercato legati alle scelte politiche effettuate nel contesto della crisi ucraina.
Il primo elemento da considerare riguarda i collegamenti commerciali, con importanti linee di spedizioni come Maersk che hanno già interrotto i viaggi da e verso i porti della Russia.
Poi ci sono le questioni che riguardano prettamente il settore finanziario, e qui troviamo ad esempio la Lloyds di Londra ed altri mercati assicurativi che hanno chiuso ai cargo russi, mentre società come Bunge e ADM hanno reso noto che ridurranno le operazioni.
E naturalmente ci sono anche le mosse che riguardano i sistemi di pagamento da considerare, con le banche russe che sono state tagliate fuori dai canali di pagamento internazionali (vedasi il ban dal sistema SWIFT) con la conseguenza che effettuare delle transazioni commerciali con le società russe diventa molto più difficile per i Paesi occidentali in particolare.
La situazione, già così piuttosto complessa, tende inoltre a peggiorare invece che a migliorare, con annunci che lasciano intendere ulteriori conseguenze sugli scambi commerciali con la Russia. Ad esempio abbiamo il colosso Bayer che ha annunciato ieri che la decisione di continuare o meno ad inviare semi e pesticidi in Russia dipende dal ritorno della pace.
Le contromisure necessarie adottate dalla Russia
Mosca dal canto suo deve tutelare l’interesse dei propri cittadini, e questo significa che il governo si trova costretto a correre ai ripari e a difendersi in qualche modo dalle sanzioni imposte dal sistema finanziario occidentale.
La Russia ha infatti deciso di introdurre delle restrizioni alle esportazioni di cereali con lo scopo di limitare i prezzi del pane in patria come conseguenza della svalutazione del rublo.
Nella giornata di ieri il governo ha approvato un decreto con il quale viene vietata l’esportazione di grano e cereali ad altri Paesi dell’Unione Economica Eurasiatica fino alla fine di agosto. Nel frattempo sono anche state vietate del tutto le esportazioni di zucchero, anche in questo caso fino a fine agosto.
Andrey Sizov, fondatore di SovEcon, nella giornata di ieri ha infatti dichiarato: “malgrado il falso allarme di oggi, potremmo in realtà assistere ad alcune restrizioni sulle esportazioni dalla Russia nella prossima stagione”. Al tempo stesso ha fatto notare che i commercianti stanno ancora ricevendo frumento dal Mare del Nord almeno per il momento.
In questo scenario la FAO teme che i prezzi degli alimenti in generale possano subire un aumento del 22% circa entro il prossimo anno come conseguenza della guerra in Ucraina, e questo non potrà che portare verso picchi ancora più alti l’ondata di inflazione che già oggi si mostra oltremodo preoccupante.
I Paesi del G7 mettono in guardia da misure protezionistiche
La situazione attuale si presenta come abbiamo visto drammatica e complessa al tempo stesso, e alcuni Paesi, come Russia e Argentina, hanno già messo in campo delle misure protezionistiche il cui scopo è da una parte quello di assicurare il soddisfacimento della domanda interna, e dall’altro quello di proteggere i consumatori domestici dall’aumento dei prezzi.
Una scelta legittima nell’interesse dei cittadini dei rispettivi Paesi che, tuttavia, è fermamente condannata dai Ministri dell’Agricoltura del G7, i quali stanno mettendo in guardia da simili scelte. La scorsa settimana infatti il G7 ha chiesto a “tutti i Paesi di tenere aperti i loro mercati alimentari ed agricoli e di evitare qualunque misura restrittiva ingiustificata sulle loro esportazioni”.
I ministri dell’Agricoltura hanno poi toccato anche il tema della speculazione, avvertendo che non saranno tollerati “prezzi gonfiati artificialmente” e hanno aggiunto inoltre: “combatteremo ogni comportamento speculativo che mette in pericolo la sicurezza alimentare o l’accesso al cibo di Paesi e popolazioni vulnerabili”.
I segnali che arrivano però indicano che difficilmente sarà possibile arginare la deriva innescata dalla guerra, specie se si considera che un ulteriore peggioramento dello scenario del conflitto non si può minimamente escludere, con il rischio sempre dietro l’angolo di un allargamento dello stesso ad altri Paesi ora coinvolti solo più o meno indirettamente.
I mercati ricevono questi segnali e reagiscono di conseguenza. La scorsa settimana infatti i prezzi del nichel sono più che raddoppiati per una violenta e disordinata short squeeze, la London Metals Exchange non ha ancora ripreso il trading del contratto.
Sono tutti segnali che indicano che le dichiarazioni rilasciate in questo contesto non bastano a placare le preoccupazioni dei mercati, né tantomeno sono in grado di impedire che i prezzi del grano, del frumento, e dei generi alimentari nel complesso continuino a salire.
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