L’economia italiana non può ripartire. Si tratta ormai di un dato di fatto appurato e dimostrato, ma è sufficiente dare una rapida occhiata all’impressionante aumento dei prezzi anche dei beni di prima necessità, per non parlare dei rincari sul prezzo dei carburanti, o delle bollette di gas e luce, per rendersene conto in maniera lampante.
È iniziato tutto ad inizio 2020, quando l’Italia decise di affrontare la pandemia di Covid-19 imponendo uno dei lockdown più severi al mondo.
Il contraccolpo fu durissimo, e mentre alcuni Paesi d’Europa e del resto del mondo sceglievano un approccio completamente diverso, limitandosi talvolta a mere raccomandazioni, in Italia si imponevano chiusure di attività commerciali e pesanti limitazioni delle libertà individuali.
Le conseguenze erano prevedibili: senza aver ottenuto alcun risultato dal punto di vista della riduzione dell’impatto del Sars-Cov-2 (i dati su ricoveri e decessi dell’Italia sono in linea, e spesso anche peggiori, di quelli di Paesi che hanno adottato meno restrizioni o non ne hanno adottate affatto) l’Italia è precipitata in un disastro socio-economico senza precedenti, ritrovandosi nel frattempo con un rapporto debito-PIL che dal 134,8% del periodo pre-Covid è schizzato al 155,6% nel giro di un anno.
Dal primo lockdown alla crisi energetica e dei trasporti
A partire dal 2021 in Italia non si faceva che parlare di ripresa economica, il tanto atteso ‘rimbalzo’ che avrebbe permesso la ripartenza del dopo-pandemia. Le difficoltà però sono state evidenti sin da subito, con una crisi della supply chain su scala globale che non si era mai vista prima.
Una serie di fattori infatti, a cominciare da lockdown e restrizioni imposte in chiave anti-contagio in vari Paesi del mondo, avevano letteralmente mandato in tilt il sistema di approvvigionamenti mondiale, innescando una serie di eventi a catena che hanno pesantemente ostacolato la ripresa in diverse zone del mondo.
L’Italia è uno dei Paesi che ha pagato il prezzo più alto, anche perché nel nostro Paese imprese e famiglie non devono fare i conti solo con l’impennata dei prezzi dei trasporti, la crisi energetica, la scarsità delle materie prime e l’aumento dei prezzi fuori controllo, ma anche con pesanti restrizioni e obblighi legati alla gestione dell’emergenza Covid-19 imposti ancora oggi.
Ed è in questo quadro già ampiamente disastroso per l’Italia in particolare che subentra la crisi ucraina che sfocia presto nel conflitto armato con la Russia e, di conseguenza, con l’imposizione di pesanti sanzioni che dovrebbero indurre Vladimir Putin a desistere dall’intento di “denazificare e smilitarizzare l’Ucraina”.
Guerra in Ucraina e sanzioni alla Russia spingono l’inflazione in Italia all’8%
Per il momento le sanzioni, nonostante abbiano sicuramente indebolito in qualche modo l’economia russa, non hanno sortito gli effetti sperati, ammesso che l’intento fosse effettivamente quello di indurre il Cremlino a ritirare le truppe dall’Ucraina.
La guerra in Ucraina infatti continua, l’avanzata russa non si ferma e le porzioni di territorio sotto il controllo di Mosca aumentano rapidamente. Proprio ieri, 13 marzo, sono stati bombardati degli obiettivi militari nei pressi della città di Leopoli, a 20 km appena dal confine con la Polonia, il che offre una misura di quanto la guerra sia vicina all’Unione Europea.
Se le sanzioni non hanno fermato la Russia, in compenso però hanno contribuito a peggiorare notevolmente la situazione economica dell’Italia.
La tanto attesa ripresa del post-pandemia è rimandata a data da destinarsi, anche perché dopo il divieto di importare greggio, gas e prodotti energetici dalla Russia imposto dalla Casa Bianca, il prezzo del petrolio è schizzato alle stelle con tutto ciò che questo comporta.
In Italia infatti gli autotrasportatori si trovano in una situazione inedita in cui i margini di guadagno sono azzerati dal caro carburanti. Non dimentichiamo poi che in Italia il prezzo di benzina e diesel è composto per il 50% circa da tasse, le cosiddette accise, e che siamo intorno al 15esimo posto nel mondo per costo dei carburanti.
L’analisi di tutti i fattori che determinano l’attuale situazione economica italiana richiederebbe svariati approfondimenti ma, in questo caso, ci limitiamo ad osservare i risultati. Secondo le ultime stime, riportate da Libero, l’inflazione in Italia nel 2022 raggiungerà l’8%, un livello che non si vedeva dagli anni ’80.
Ciò potrebbe costare all’Italia circa 26,1 miliardi di euro in minori consumi, e una riduzione di 41,3 miliardi di euro dell’aumento previsto del PIL. Sono i dati di Confesercenti, che in un dossier pubblicato nei giorni scorsi cerca di fare il punto di quanto accaduto negli ultimi due anni, a cominciare dal primo lockdown fino alle sanzioni alla Russia.
Per la ripresa economica l’Italia dovrà attendere fino a data da destinarsi
Nel 2021 una qualche ripresa economica in Italia si era intravista, ma il recupero era assolutamente parziale, con un PIL ancora 52 miliardi di euro al di sotto dei livelli pre-lockdown, con consumi inferiori di 71 miliardi rispetto al 2019, per non parlare dei danni incalcolabili che il settore turistico ha subito, visto che, secondo le stime, le presenze turistiche sono ancora 174 milioni in meno di prima della pandemia.
La ripresa insomma non è arrivata e, soprattutto, non arriverà, quanto meno nel breve termine. Imporre sanzioni alla Russia invece di ascoltare le richieste di Mosca è stata una scelta politica molto forte, e al momento la sensazione è che, almeno per l’Italia, sia stato fatto il passo più lungo della gamba.
Ed eccoci costretti a rivedere al ribasso le previsioni per l’anno in corso, a cominciare dalla crescita del PIL che nel 2022 non sarà di +61,5 miliardi di euro (che corrisponderebbero ad un più 3,7% sul 2021) come precedentemente previsto, ma di soli +20,2 miliardi (cioè +1,2% sul 2021).
Stesso discorso per i consumi, che invece dei +35,9 miliardi di euro inizialmente previsti, segneranno un incremento di appena +9,8 miliardi. In questo modo per tornare ai livelli pre-Covid bisognerà attendere ancora un bel po’, difficile dire quando e, a dirla tutta, è anche difficile dire se.
Fatto sta che il PIL alla fine del 2022 resterebbe ancora 52 miliardi di euro sotto i valori del 2019, mentre il gap dei consumi si attesterebbe intorno a -31,5 miliardi. E per completare il quadro non dimentichiamo di considerare il fatto che lockdown e restrizioni sono costate il posto a circa 325 mila lavoratori dipendenti in due anni ai quali si aggiungono i vari lavoratori ‘no vax’ sospesi senza stipendio.
Insomma le previsioni per il futuro non sono delle migliori, e vale la pena osservare che queste stime si basano sulla situazione attuale, in cui la Russia non ha ancora deciso di tagliare il gas all’Europa, per non parlare delle possibilità, tutt’altro che remote, che il conflitto si allarghi fino a coinvolgere direttamente altri Paesi europei e non.
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