Gli effetti della guerra in Ucraina attualmente in corso raggiungono inevitabilmente anche molti altri Paesi oltre a quelli direttamente interessati dal conflitto. Per l’Europa questo conflitto armato comporta prima di tutto il rischio di non avere più accesso alle forniture di gas che arrivano dal Nord Stream 1, il gasdotto che attraverso l’Ucraina porta in Europa il gas russo.
Le pesanti sanzioni imposte alla Russia dai Paesi occidentali inoltre non fanno che incrementare le probabilità che la Russia si trovi letteralmente costretta ad interrompere l’erogazione di gas all’Europa. Ci si riferisce in questo caso particolare alla possibilità che i governi occidentali decidano di tagliar fuori la Russia dal sistema di pagamenti Swift.
L’Italia quindi rischia di restare senza gas, e anche se l’inverno ormai volge al termine, ciò potrebbe comportare disagi non da poco per famiglie e imprese italiane. Per questo motivo il governo di Mario Draghi deve iniziare a valutare le alternative per garantire la fornitura di energia elettrica.
L’Italia pronta a riattivare le centrali a carbone
Il presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso dell’informativa alla Camera sul conflitto tra Russia e Ucraina ha infatti dichiarato proprio in questi giorni che “potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”.
Ci sarebbe poi il problema dell’ulteriore aumento dei prezzi di gas ed energia elettrica, ed anche qui urge correre ai ripari. “Il governo è pronto a intervenire per calmierare ulteriormente il prezzo dell’energia, ove questo fosse necessario” ha infatti affermato l’ex presidente della Bce.
L’Italia insomma si sta preparando a tutte le evenienze, o almeno ci prova. Il primo passo, obbligato, è quello di far ripartire le centrali a carbone, una fonte fossile altamente inquinante, che tanto l’Italia quanto altri Paesi europei, si erano impegnati a mettere da parte in occasione della conferenza sul clima di Glasgow del 2021.
I prezzi delle bollette però hanno raggiunto livelli preoccupanti, ed ora l’approvvigionamento di gas dalla Russia potrebbe interrompersi da un momento all’altro, motivo per cui l’Italia sta valutando di fare un passo indietro.
Quante centrali a carbone ci sono in Italia?
In Italia le centrali a carbone non mancano, semmai a mancare è il carbone, risorsa su cui invece può contare in abbondanza la Germania. Abbiamo in tutto sette centrali a carbone, e due di esse sono già state riattivate alla fine del 2021 con il rapido aggravarsi della crisi energetica e in vista del peggioramento della crisi in Ucraina.
Ma dove si trovano le centrali a carbone italiane? Come abbiamo detto sono in tutto sette: La Spezia in Liguria, Fiume Santo e Portoscuso in Sardegna, Brindisi in Puglia, Torrevaldaliga nel Lazio, Fusina in Veneto, e Montefalcone nel Friuli Venezia Giulia.
Gli impianti sono per lo più di proprietà di Enel, ma non tutti. Quello di Montefalcone è della multiservizi del Comune di Milano A2A, mentre la centrale situata nella zona settentrionale della Sardegna appartiene al gruppo ceco Eph.
L’Italia costretta a tornare al carbone
Le centrali a carbone dovevano essere messe da parte perché troppo inquinanti, così a gennaio 2021 la produzione degli impianti di questa tipologia era ridotta a coprire solo il 4,9% del fabbisogno energetico del Paese. L’Italia si era impegnata, nel rispetto dell’agenda Green, ad eliminare del tutto questa fonte energetica entro il 2025, ma ora l’obiettivo rischia di slittare, nella migliore delle ipotesi, di diversi mesi.
Per uscire definitivamente dal carbone era necessario poter contare sul gas come fonte di transizione. Il prezzo però ha subito un’impennata preoccupante con la crisi energetica, sicché già prima della fine del 2021 un paio di centrali a carbone erano state riattivate.
Si tratta della centrale di La Spezia, che ha riacceso il gruppo alimentato a carbone a dicembre e, nello stesso periodo, anche la centrale di Montefalcone è tornata a funzionare.
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