La tabella di marcia che i Paesi membri Ue hanno fissato per il processo della transizione energetica, con un sempre maggior utilizzo di fonti rinnovabili, rischia di esporre l’Europa al blackout generale di cui ormai si parla da mesi.

Un allarme circa il rischio blackout è rimbalzato sui media italiani soprattutto in seguito ai messaggi lanciati da alcune forze politiche, ma dallo schieramento opposto si tende a minimizzare. I cittadini, nel mezzo, cercano intanto di capire se esiste effettivamente la possibilità di ritrovarsi al buio e senza riscaldamento nel periodo più freddo dell’anno oppure no.

Su Il Sole 24 Ore se ne è parlato in più occasioni, e più di recente troviamo la conferma che “i sistemi elettrici europei e quello italiano sono esposti alla fragilità della transizione verde“.

Insomma il rischio c’è, a quanto pare, ma sul noto quotidiano specializzato in economia non si esita a tranquillizzare l’opinione pubblica sottolineando che non sono previsti al momento dei blackout programmati come quello avvenuto a Berlino giorni fa, in occasione del quale migliaia di persone sono rimaste senza corrente e, inevitabilmente, senza riscaldamento.

Il rischio quindi c’è, ma se sia così imminente oppure no è difficile dirlo. L’invito resta quello di essere prudenti, ed arriva anche dagli esperti del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), le cui avvertenze sono state approvate nella giornata di giovedì.

Poi ci sono le precisazioni contenute in uno studio di Alessandro Clerici del World Energy Council che è stato presentato nel mese di dicembre scorso ad un webinar dell’Entsoe (Associazione europea delle reti ad alta tensione). Qui il messaggio è piuttosto chiaro, e si rilancia l’invito a fare attenzione alla “tempesta perfetta” di cui più volte si è sentito parlare negli ultimi mesi.

La crisi energetica, come spiegato in altre occasioni, è generata da un mix di diversi fattori, dai lockdown alle scelte sbagliate in ambito energetico di alcuni governi, dalle tensioni geopolitiche alla pura e semplice sfortuna, dalle questioni climatiche ai problemi derivanti da una transizione energetica troppo lenta.

Transizione energetica e rischio blackout, cosa sta succedendo in Europa

Ed eccoci al tema su cui vale la pena svolgere alcune considerazioni in questo momento. Come riportato da Il Sole 24 Ore, sono le stesse maggiori società elettriche a confermare che è necessario mantenere alto il livello di attenzione. Al tempo stesso però fanno sapere che non vi sono le condizioni per essere preoccupati.

Quello che bisogna evitare, spiegano, è che i fattori di rischio non finiscano col sommarsi. Nel caso in cui le fragilità dovessero emergere tutte insieme infatti potrebbe innescarsi una vera e propria crisi e la conseguenza più prevedibile sarebbe appunto il blackout generale che, oggi più che mai, appare dietro l’angolo.

Il sistema su cui si fondano gli approvvigionamenti energetici di milioni di famiglie europee è insomma quanto mai fragile, e questo anche per via della lentezza con cui la transizione energetica sta procedendo. Ad incidere però sono anche le condizioni climatiche: poco vento e poco sole che non alimentano a sufficienza pale eoliche e pannelli fotovoltaici.

Nel frattempo l’apporto di energia elettrica che dovrebbe arrivare dal nucleare invece di sopperire alle condizioni sfavorevoli sta mostrando la sua inadeguatezza. La Germania ha spento da poco due reattori e si affida sempre più a metano e carbone visto che il vento soffia troppo poco. Alle prese con l’inevitabile incostanza del vento sono anche le società eoliche del Mare del Nord.

Quanto al nucleare non possiamo scordare che anche in Francia qualche reattore ha dovuto fermarsi, d’altra parte parliamo di centrali piuttosto vecchie e quindi bisognose di sempre più frequenti interventi di manutenzione. L’energia anche da lì quindi arriva un po’ a singhiozzo con ricadute sulla disponibilità di corrente sulla linea d’importazione tra Grand’Ile e Rondissone.

Molte grandi centrali a carbone, che offrivano una garanzia di inerzia, sono state spente e rimpiazzate con tanti piccoli impianti con conseguente diminuzione di stabilità dell’alta tensione. Un problema che si potrebbe risolvere quando il sistema elettrico sarà dotato di potenti batterie in grado di offrire quella stabilità che manca, e nel frattempo si programmano centrali a gas.

Mancano poi le materie prime energetiche, e non parliamo solo del gas, ma anche del litio necessario per le batterie delle auto elettriche e per i sistemi di comunità.

Aumentano i costi e si fermano gli investimenti

Lo stato delle cose sopra sommariamente descritto comporta un aumento accelerato dei costi e al tempo stesso paralizza gli investimenti che erano già stati programmati nel campo delle vecchie energie fossili.

In tal caso si parla di ritorni in tempi lunghi e le risorse per l’immediato futuro in questo modo rischiano di scarseggiare, in particolare “se i grandi sviluppi nelle energie rinnovabili e nei vettori energetici non raggiungeranno in tempo gli ambiziosi obiettivi. E tale rischio potenziale, non solo per i prezzi, ma per la sicurezza e la qualità degli approvvigionamenti energetici, potrà avere seri impatti” spiega Alessandro Clerici.

Questa situazione preoccupa molto anche gli industriali del settore siderurgico, tra i quali alcuni iniziano a vedere di buon occhio il progetto Interconnector che è stato appena confermato dall’ultima manovra economica, e che consiste in grandi linee private di alta tensione, mentre altri ragionano sull’interrompibilità, vale a dire su tariffe elettriche a prezzi molto più bassi ma con la contropartita di accettare possibili interruzioni della fornitura di energia elettrica.

Il vicepresidente di Federacciai Antonio Gozzi, dopo aver ascoltato il parere di diverse siderurgie di tutta Italia ha spiegato: “molti di noi si chiedono se il corrispettivo economico dell’interrompibilità è adeguato”.

“Noi mettiamo a disposizione un carico elettrico da 2.500 megawatt pronto a essere staccato in 200 millisecondi in caso di crisi della rete di alta tensione, è come se fossimo una centrale elettrica pronta a entrare in funzione, ma per molti il valore in contraccambio non ci conviene più, perché ogni distacco rischia di far perdere una fusione di centinaia di tonnellate di acciaio” spiega quindi Gozzi.

Secondo Alessandro Clerici del World Energy Council “per contrastare la variabilità e l’intermittenza degli impianti eolici e solari si prevedono nel 2050 circa 16 miliardi di chilowattora di sistemi di accumulo a batteria, oltre a un significativo supporto delle batterie di milioni di veicoli elettrici quando connessi alla rete”.

“Tuttavia, nessun dispositivo collegato tramite inverter può fornire un contributo alla potenza di cortocircuito e all’inerzia del sistema elettrico necessaria per controllare variazioni rapide di frequenza e la stabilità complessiva” spiega ancora Clerici del Wec.

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