La situazione rincari su materie prime ed energia non si sblocca, e sembra che all’orizzonte non ci siano ancora svolte significative, anzi per le imprese le cose stanno peggiorando di giorno in giorno, con ripercussioni che poi, inevitabilmente, riguarderanno sempre più da vicino anche i consumatori finali.

Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza nazionale in cui a rischio è l’industria della trasformazione. Le aziende, ed in particolare le piccole e medie imprese, stanno riscontrando difficoltà sempre maggiori nel fra fronte ai rincari a cifra doppia che riguardano sia l’energia che le materie prime. La decisione di trasferire i suddetti aumenti sui consumatori è di fatto obbligata.

Una prospettiva che non può che allarmare i produttori di beni di largo consumo confezionato che come spiega Il Sole 24 Ore sono “in pieno braccio di ferro con le catene della moderna distribuzione nella fase di rinegoziazione dei listini 2022”.

Ed è proprio il tema dei rincari sulle materie prime ad essere stato al centro di una riunione straordinaria tenutasi sabato pomeriggio alla presenza dell’intero Consiglio direttivo di Centromarca. Si tratta di un’associazione che rappresenta oltre 200 aziende attive in Italia con 118 mila dipendenti che producono i due terzi dei beni di largo consumo confezionato di marca.

Francesco Mutti, presidente di Centromarca, ha spiegato a proposito del preoccupante aumento dei prezzi che continua ad interessare sia l’energia che le materie prime che è “un momento di particolare complessità a causa di una esplosione dei costi inaspettata e al di fuori delle logiche dell’economia. I listini di tutte le materie prime vedono rincari a doppia cifra oltre a gravi problemi di reperibilità delle merci”.

“I produttori sono in una situazione di significativa difficoltà e non sappiamo per quanto tempo durerò questa situazione, ma sono passati mesi dai primi allarmi” dice ancora il presidente dell’associazione “serve per questo l’impegno di tutti gli stakeholder, incluso il Governo, per garantire il corretto rapporto qualità-prezzo dei beni di largo consumo”.

Serve insomma, secondo Francesco Mutti, che ogni componente della filiera faccia la propria parte, e una parte, volenti o nolenti, la dovranno fare pure i consumatori.

In un comunicato che Centromarca ha diffuso nella giornata di lunedì 22 novembre, si legge che “la moderna distribuzione dovrebbe porre la massima attenzione agli effetti negativi che questa straordinaria anomalia dei mercati internazionali genera su un sistema produttivo strategico per il Paese”.

Ed ecco che si arriva alla questione rincari per i consumatori finali. Una parte dei costi dovranno essere sostenuti proprio da chi riempie il carrello della spesa, e Mutti si rivolge allora al Governo, “interlocutore poco propenso a condividere i rincari” al quale chiede “una presa d’atto di questa situazione emergenziale e interventi mirati per ammortizzare e cercare di neutralizzare con l’aiuto della mano pubblica questi aumenti, con la riduzione delle accise e altri interventi mirati ad assorbire i rincari”.

Il presidente di Centromarca fa anche notare che la Grande distribuzione organizzata non è affatto incline ad ammortizzare i rincari e questo potrebbe produrre delle conseguenze tutt’altro che trascurabili.

Mutti parla quindi di “una crisi dell’industria italiana dei beni di largo consumo” che “avrebbe pesanti ripercussioni sull’indotto a monte e a valle, con ricadute occupazionali negative in un contesto già per sé critico”.

Del problema dei pesanti rincari ha parlato in questi giorni anche Aldo Sutter, presidente e amministratore delegato dell’azienda di famiglia che produce detergenti e prodotti per la casa. Sutter ha definito “devastanti” le conseguenze dei rincari.

“Quest’anno è aumentato tutto con un incremento medio del 20% ed è un problema globale” ha detto Sutter stando a quanto riportato ancora da Il Sole 24 Ore “i rincari non li può sopportare solo l’industria” ha precisato.

Il problema delle Pmi è che nel momento in cui si rende necessario trattare con i fornitori si ha poco potere per negoziare. Essere una Pmi, se un tempo significava beneficiare di maggior flessibilità, ora e in questo caso in particolare, significa partire da una condizione di netto svantaggio.

“Serve uno sforzo di tutta la filiera per trovare una via d’uscita e salvare le Pmi” ha detto quindi Sutter, che ha poi tenuto a ricordare che “le Pmi sono la spina dorsale dell’imprenditorialità, creano e danno occupazione in Italia e vanno aiutate a superare questa particolare fase perché questi aumenti non li può supportare solo l’industria”.

Ed è ancora Sutter a ricordare come in altri settori gli aumenti vengono puntualmente riversati sui consumatori. Le Pmi tuttavia si trovano da mesi a lottare contro i rincari ed in questa lotta sono state lasciate sole, e per via della mancanza di potere contrattuale nella trattativa coi fornitori rischiano di uscirne con le ossa rotte con tutte le conseguenze che ne derivano per l’economia italiana.

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