La Cina non sta tenendo fede agli accordi commerciali con gli Usa, o quanto meno sta progressivamente rallentando sul piano delle importazioni, con un conseguente allontanamento dagli obiettivi prefissati.

Gli accordi commerciali tra Washington e Pechino prevedevano che la Cina acquistasse dagli Usa determinate quantità di prodotti rientranti in specifiche categorie dettagliate nel testo dell’intesa.

Nel mese di ottobre 2021 però il Paese ha importato solo 9,5 miliardi di dollari di prodotti manifatturieri, agricoli ed energetici, che hanno portato a raggiungere la quota del 56% circa rispetto all’obiettivo biennale fissato da raggiungere entro la fine dell’anno.

Il governo cinese ha fatto sapere che intende diversificare le fonti di importazione, e intanto le attività commerciali cinesi in tutta Europa sono fortemente diminuite negli ultimi due anni stando a quanto emerge da un rapporto della Commissione Ue.

Gli Usa immettono nel mercato le riserve strategiche di petrolio

Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che circa 50 milioni di barili di greggio provenienti dalle riserve strategiche Usa verranno immessi nel mercato con il contributo di Cina, Giappone, Corea del Sud e Regno Unito.

La decisione è legata alla crisi energetica in corso, ma in seguito alla decisione i prezzi del petrolio sono aumentati. Dopo un calo iniziale infatti il prezzo del WTI americano è tornato a salire per via del fatto che i volumi annunciati sono risultati nettamente inferiori alle attese di mercato.

Parte dei barili che provengono dalle riserve strategiche Usa verrà con ogni probabilità destinata alla Cina e all’India. Secondo Bloomberg questo potrebbe produrre delle conseguenze negative rispetto al piano dell’amministrazione Biden, visto che amplia il divario tra i futures del greggio statunitense e quelli legati invece al Brent.

Nelle prossime ore è attesa la decisione dell’Opec+, che in risposta dovrebbe rinunciare a due mesi di aumenti della produzione dal momento che gli Usa hanno deciso di attingere alle riserve strategiche.

Cresce il Giappone, futures sul Nasdaq positivi

Il Giappone registra un crollo del -1,6% alle ore 7.20 italiane che segue la scossa di assestamento sul Nasdaq. La Cina invece ne trae beneficio, con un Hong Kong che guadagna il +0,56% e Shanghai il +0,16%.

Sale l’oro del +0,64% fino a 1,795 dollari l’oncia, e il petrolio Wti americano guadagna il +0,36% fino a 78,77 dollari al barile.

L’Euro resta intorno a 1,1244 mentre lo Yen si rinforza del +0,16% a 114,94. I mercati asiatici stanno acquistando T bond Usa a dieci anni con un rendimento che passa da un 1,67% iniziale all’1,63%. Positivi i futures sul Nasdaq con un +0,24%, mentre nessuna variazione significativa per Standard & Poor e Dow Jones.

Stando ai primi dati, nel mese di novembre il Pmi manifatturiero di Jibun Bank Japan Manifacturing è cresciuto fino a 54,2 dal 53,2 segnato a fine ottobre. Un dato significativo in quanto è il primo a indicare il ritmo di espansione più forte da gennaio 2018, e viene attribuito all’allentamento delle misure restrittive.

Nella serata di ieri il Nasdaq ha chiuso con un -0,5% a causa dell’aumento dei rendimenti obbligazionari che ha messo sotto pressione i titoli tecnologici. Vengono venduti Tesla (-4,14%), Roblox (-4,45%) e Crowdstrike (-3,78%). Zoom subisce un vero crollo perdendo il 14,7% in seguito ad un rallentamento delle entrate e Best Buy perde il 12,3% per via della scarsa crescita delle vendite,

“Nel trading afterhour, Nordstrom e Gap sono scesi rispettivamente del 23% e del 16%, per i guadagni sotto le attese” apprendiamo da MilanoFinanza “gli investitori ora attendono una serie di dati economici, comprese le richieste settimanali di disoccupazione, le stime del Pil, gli ultimi verbali del Fomc e i dati Ppc, la misura dell’inflazione osservata dalla Fed”.

Bank of New Zealand: inflazione oltre il 5% per tre trimestri

Nella giornata di oggi la Reserve Bank of New Zealand ha aumentato il tasso ufficiale (OCR) di 25 punti base allo 0,75% in occasione dell’ultima riunione politica del 2021. Questo è stato il secondo aumento consecutivo operato sui tassi della banca centrale Neozelandese, e si colloca in un contesto di crescenti pressioni inflazionistiche e di allentamento delle restrizioni in chiave anti-Covid.

Il Consiglio della banca centrale ha anche annunciato un’ulteriore rimozione dello stimolo della politica monetaria per via delle prospettive a medio termine su inflazione e occupazione.

Secondo gli esperti della banca centrale per i prossimi tre trimestri l’inflazione supererà il 5% con un picco del 5,7% tra i mesi di gennaio e marzo, e questo sarà determinato da un ulteriore aumento dei valori del petrolio, dai costi di trasporto e dal calo dell’offerta.

I prezzi al consumo in Nuova Zelanda sono cresciuti del 4,9% su base annua nel terzo trimestre 2021, quindi molto al di sopra dell’obiettivo fissato tra l’1 e il 3% dalla banca centrale.

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